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ROMA
Da zona industriale a quartiere vivace, Ostiense cambia pelle. Ma la rinascita non è per tutti
Tra nuove case di lusso, murales ecosostenibili e locali alla moda, il quartiere romano secondo alcuni sarebbe rinato. Ma i progetti pubblici per il quartiere sono bloccati. Il bando Reinventing Cities cerca privati per rigenerare una delle aree ex-industriali in attesa di bonifica, dove da anni i cittadini attendono un parco pubblico. L’unico esperimento di rigenerazione sociale finora riuscito è l’occupazione abitativa di Porto Fluviale, che ha festeggiato 17 anni di vita
Dal terrazzo al quarto piano la vista spazia sul Campo Boario e sulle case popolari di Testaccio, costruite a inizio secolo per ospitare gli operai della prima zona industriale della capitale. Da qui si vede bene il Monte dei Cocci, un colle artificiale di anfore olearie di epoca romana. Ma da lì il nuovo complesso residenziale blocca la vista del gazometro. Più in basso, la ferrovia. Dalla strada sale il brusio del traffico in via del Porto Fluviale.
Simone ha comprato la sua casa quando la costruzione del palazzo era ancora in corso. «Sì, è come nel rendering. Hai il vantaggio di decidere la sistemazione degli ambienti interni. Di base, loro propongono due moduli, io ne ho comprati quattro, a circa 6mila euro al metro quadro. Il quartiere sta rinascendo, come le zone portuali di molte città europee», racconta Simone. Oggi molti degli appartamenti, 185 in tutto, sono stati venduti, molti come investimento. I prezzi di vendita delle case partivano dai 6.500 euro al metro quadro, e arrivavano anche ai 10.000, ben oltre la quotazione massima dell’area, 3.700 secondo l’Agenzia delle Entrate.
Portofluviale71, il complesso di case di lusso, costruito dopo la demolizione dei magazzini del Consorzio Agrario, foto di Luca Dammicco
A pochi passi dal Ponte dell’Industria, un piccolo fabbricato di mattoni rossi è sopravvissuto alla demolizione dei magazzini e del Silos del Consorzio Agrario, costruiti nel 1921. Due blocchi di edifici, cinque piani di appartamenti, si alzano fuori scala alle sue spalle. Una griglia irregolare di travi e pilastri bianchi compone la facciata. Sporadiche macchie di verde ne interrompono la monocromia e la geometria rigorosa. Dentro, corridoi vuoti e ascensori con comandi touch, codici alfanumerici e video-citofoni. I passi sulle scale lucide rimbombano nel silenzio. Ai piedi dell’edifico una striscia di marciapiede nuovo di zecca prosegue verso il nulla lungo la riva Ostiense. Sulla sponda del fiume c”è un’automobile incendiata.
La riva Ostiense, Portofluviale71, foto di Luca Dammicco
«La zona del Porto Fluviale è il fulcro di un grandioso progetto di riqualificazione urbana che sta rendendo Roma una delle grandi capitali mondiali del terzo millennio» – recitava due anni fa la presentazione del complesso residenziale Portofluviale71 di Roma Docks, gruppo Navarra Saviotti, architetto progettista Bruno Moauro, sul sito web. Oggi quel sito web non c’è più. Ce n’è un altro: Portofluviale Suites, il soggiorno ideale. Quattro appartamenti, evidentemente invenduti, sono offerti come suite di lusso per periodi brevi.
Portofluviale71 e il Gazometro, foto di Luca Dammicco
«Forse è iniziato tutto con “Messico e Nuvole”, il ristorante messicano in via dei Magazzini Generali, aveva una terrazza con le palme», racconta Francesco Careri, docente di architettura all’Università Roma Tre. «Questa zona era la periferia di Testaccio, e negli anni Novanta Testaccio stessa era ancora “periferia”. Era una zona di magazzini all’ingrosso, ancora oggi qualcuno c’è. Poi da Testaccio i locali si sono spostati qui, perché lì non si poteva più entrare con la macchina. Ma anni fa non c’era proprio nulla, io sono venuto ad abitare qui per questo. Forse sono io il primo gentrificatore», scherza Careri.
Porto Fluviale Occupato, il murale di Blu, foto di Luca Dammicco
Un motivo in più per comprare una casa qui era, secondo il sito Roma Docks, il grande murale di Blu sulla facciata del Porto Fluviale Occupato, all’altra estremità della via: una ex caserma dell’aereonautica militare inserita nei piani di dismissione del patrimonio pubblico, vuota da anni, occupata nel 2003 da circa duecento famiglie rimaste senza casa con il Coordinamento cittadino lotta per la casa.
«Da allora le attività nel quartiere sono cambiate» racconta Marzia del Porto Fluviale Occupato. Accanto e di fronte hanno aperto un fast-food salutista, un locale dove stare “tra design, cuoio e ferro”, un Asian Fusion, un birrificio artigianale, un ristorante open-space con piastrelle bianche e pareti di lavagna, una gelateria-yogurtiera bio che offre anche una selezione di semi e farro soffiato al naturale, tutti rigorosamente bio. I nomi dei locali echeggiano le passate funzioni portuali dell’area. «Non si trova più un alimentari. Noi andavamo sempre dallo stesso, caro, ma buono. Ma ai turisti non serve» dice Marzia. Eataly, il costoso centro enogastronomico del made in Italy, si è insediato all’Air Terminal, la strutturaa realizzata per i mondiali di calcio del ’90 e rimasta a lungo inutilizzata.
Ostiense, Ex Mercati Generali, foto di Luca Dammicco
Il quartiere Ostiense conta numerosi ruderi urbani, opere incompiute, progetti di rigenerazione interrotti, e forse il più esteso e longevo cantiere della capitale dove, al posto degli Ex Mercati Generali, sarebbe dovuta nascere la Città dei Giovani. Molti dei progetti nella zona sono firmati dall’architetto Moauro, progettista delle nuove case di lusso.
«Quello che colpisce sono le altezze, c’è un problema di contesto, di cubature. Non si capisce come abbiano approvato l’aumento di cubature rispetto ai magazzini del Consorzio Agrario, demoliti a Ferragosto», dice Careri. «Il problema è che se adesso da Testaccio guardi verso il gazometro vedi solo il palazzo».
Al Porto Fluviale Occupato le finestre sono diventate occhi nel murale di Blu. «Sul murale abbiamo ragionato insieme a lungo. È un’opera collettiva, nasce dalla vita che si svolge qui dentro», racconta Marzia, mentre disegna i numeri sulle magliette per il torneo di calcio dei bambini. Loro – otto, dieci, dodici anni, equadoregni, peruviani, tunisini e italiani – aspettano il proprio turno seduti in cerchio nel cortile. Francesco, un ciuffo di capelli rossi, sistema le magliette ad asciugare. Barche e scafi colorati sono appesi qua e là. Il cortile è un punto di approdo, di sosta, ma anche un punto di partenza. «Ci siamo interrogati sulla relazione con l’esterno, abbiamo deciso di aprire lo spazio, il cortile, alla città» racconta Marzi. Oggi qui funzionano una sala da tè, uno laboratorio di giocoleria circense, una ciclofficina, una falegnameria, un laboratorio di oreficeria molto frequentato, una scuola di lingue, uno spazio prove per l’orchestra jazz, un laboratorio di cucito che offre corsi di sartoria e di pelletteria.
Ostiense, Ex Mercati Generali, foto di Luca Dammicco
«Gli abitanti della caserma hanno riqualificato lo spazio. Hanno ricavato case dagli ambienti. Abbiamo lavorato, anche con l’Università Roma Tre, a un progetto di riuso a fini abitativi, approvato dalla Regione Lazio, per il recupero dei piani superiori come abitazioni e di quello a pian terreno come servizi pubblici gratuiti» racconta Danilo del Porto Fluviale occupato. Al progetto di riuso hanno collaborato anche Careri e i suoi studenti.
Con lo svuotamento del centro storico e la crisi di molte attività legate al settore del turismo si torna oggi a parlare della necessità di riabitare il centro di Roma, anche attraverso progetti di rigenerazione del patrimonio pubblico dismesso. «Si è parlato a lungo di un progetto di recupero della caserma per farne alloggi popolari – conferma Cristiano – La proprietà della caserma è dell’aereonautica, che dovrebbe cederla al Demanio, la quale a sua volta dovrebbe cederla al Comune di Roma. Ma a oggi, oltre alle dichiarazioni di intenti, nulla è stato fatto».
Ostiense-Marconi, un quadrante in attesa, foto di Luca Dammicco
In compenso il quartiere conta una ventina di murales. Le prime opere di street-art sono comparse nel 2010 con un festival di street-art, l’Outdoor Festival, che avrebbe dato vita al primo «street-art district» della Capitale. Due anni fa di fronte all’ex caserma occupata è comparso grande murale “ecosostenibile”. È un airone azzurro. Nel becco, tra due finestre ad angolo al quinto piano dell’edifico, stringe un pesce. Sopra il pesce c’è un cerchio colorato. Onde geometriche salgono lungo le pareti dell’edificio. Si tratta del «più grande murale green d’Europa» realizzato con una tecnologia «rivoluzionaria», Airlite, «una speciale eco-vernice» che cattura le sostanze inquinanti e purifica l’aria. L’opera è stata commissionata dalla proprietaria dell’edificio, Veronica De Angelis, «giovane imprenditrice romana», con la sua associazione, Yourban 2030.
L’idea del murale sembra essere nata dopo un Master in Real Estate and Finance quando, si legge sul sito di Yourban, Veronica «si è affacciata al mercato immobiliare di New York dove è resa conto di quanto l’arte sia un vero e proprio strumento di rigenerazione sociale e urbana».
Intanto il progetto complessivo di riqualificazione del quartiere, delineato dall’Università, è naufragato nel nulla. Il gazometro, su cui affacciano le terrazze delle nuove case, sarebbe dovuto essere il simbolo della Città della Scienza. Un ponte pedonale doveva collegarla alla sponda destra del Tevere, dove l’area dell’ex saponificio Mira Lanza giace ancora in abbandono da vent’anni.
L’area dell’Ex Mira Lanza, in attesa, foto di Luca Dammicco
Lì sarebbe dovuto nascere un parco pubblico. «Questa è uno delle zone più densamente abitate della città, si continua a costruire, ma non abbiamo neanche un parco, non abbiamo una piazza», mi disse Salvatore Serra del Comitato Marconi, sulla sponda destra del Tevere. «Eppure i fondi ci sono, e anche il progetto: quello del parco Papareschi nell’area Ex Mira Lanza». Quasi due milioni di euro: è l’importo degli oneri di urbanizzazione dovuti per la costruzione delle nuove case di lusso, destinati alla creazione di un parco pubblico al di là del fiume. Ma il Comune non ha ancora acquisito al patrimonio l’area.
Senza il parco, quelle case non si potrebbero neanche vendere. «Evidentemente hanno trovato un escamotage. Ma non è colpa loro: il vero problema è l’assenza del Comune».
Serra era uno dei promotori del Gruppo progettazione partecipata parco Papareschi. I cittadini erano stati coinvolti per questioni quali la scelta del colore delle panchine, ma hanno presto preso in mano la situazione. «Studiando sulle carte abbiamo capito che il progetto del Comune per il parco era inattuabile: per tutta l’area, un’area industriale dismessa, mancava addirittura il piano di rilievo dell’inquinamento per la bonifica, e il calcolo dei costi era completamente sbagliato». Il gruppo ha riscritto daccapo il progetto, immaginando anche il recupero degli edifici dell’ex Mira Lanza e lo ha presentato al Comune. «È tutto fermo, del parco non si parla più, a Roma si parla solo della spazzatura. Eppure i fondi ci sono».
La riva destra del Tevere, rudere ex Cinema Marconi, in attesa, foto di Luca Dammicco
Adesso, con l’adesione al bando internazionale Reinventing Cities per «progetti urbani innovativi, resilienti e a emissioni zero», il Comune di Roma punta a trasformare l’area, insieme ad altri quattro siti sottoutilizzati o abbandonati della Capitale, attirando investitori privati per la realizzazione di servizi, uffici, case. Il Parco Papareschi dovrà restare – o meglio, diventare – un parco pubblico. La presentazione delle proposte è stata prorogata al 6 luglio 2020, e i partecipanti al bando non saranno più tenuti a indicare «uno sviluppatore, gestore o finanziatore in grado di realizzare il progetto proposto». Che quindi potrebbe, ancora una volta, restare sulla carta.
Guardando in direzione del parco che non c’è, sul lato est dell’ex caserma occupata, si vede un altro murale di Blu. Ancora onde, ma irregolari. La grande nave degli speculatori, le enormi gru gialle pronte a entrare in azione, sembra puntare l’edificio di fronte. È accerchiata da imbarcazioni più piccole, quelle dei pirati all’assalto. Naviga indifferente allo sguardo di Marzia, di Francesco e di Simone, dei camerieri e dei proprietari dei nuovi ristoranti, dei turisti e degli impiegati.
Foto di copertina di Luca Dammicco
Il testo è uno dei lavori finali del corso sul “reportage sociale” tenuto da G. Battiston e M. Loche alla Scuola del Sociale di Roma nel 2018
Il 26 maggio Salvatore Serra si è spento. È una grande perdita per tutta la città. Le nostre più sentite condoglianze ai familiari.