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EUROPA

Youth For Climate: dal Movimento per il Clima ai Soulèvements de la Terre

Pubblichiamo un estratto della traduzione italiana di “On ne dissout pas un soulèvement. 40 voix pour les Soulèvements de la Terre”, l’abbecedario collettivo dei Soulévements de la Terre, in uscita per Orthotes Editrice. La voce “Youth For Climate” dà conto di una importante traiettoria di soggettivazione

Pubblichiamo un estratto della traduzione italiana di On ne dissout pas un soulèvement. 40 voix pour les Soulèvements de la Terre, l’abbecedario collettivo dei Soulévements de la Terre, in uscita a breve per Orthotes Editrice (che ringraziamo). Tale pubblicazione serve anche a rilanciare i momenti italiani di lotta e confronto con il movimento ecologista francese durante la Traversata delle lotte per l’acqua, cioè il campeggio di Ecologia Politica in Val di Susa e il Climate camp di Vicenza. La voce “Youth For Climate. Dal Movimento per il clima ai Soulevements de la Terre” di Léna Lazare dà conto di una importante traiettoria di soggettivazione che ha investito i giovani movimenti per il clima emersi nel 2018-19. Per quanto singolare, e riferita al particolare e dinamico contesto politico francese, la riflessione su tale traiettoria ci sembra rilevante e ricca di spunti di riflessione attorno alle evoluzioni che hanno investito i movimenti per il clima negli ultimi anni. (Nota introduttiva a cura della redazione)

15 febbraio 2019. Con centinaia di giovani abbiamo proclamato gli scioperi per il clima a Parigi, bloccando la strada davanti al Ministero della Transizione Ecologica. Abbiamo deciso di dedicare i nostri venerdì di ogni settimana alla lotta per una società ecologica e giusta: occupando le nostre università, manifestando in massa e realizzando azioni di disobbedienza civile. Fin dall’inizio, a fondamento del movimento c’era la convinzione che solo un’ecologia radicale ci avrebbe permesso di arrestare la devastazione in corso. Un’ecologia in grado di fronteggiare le radici stesse della catastrofe.

Un’ecologia basata sulla constatazione che il capitalismo si fonda sul dogma di un’infinita crescita economica (nonostante il nostro mondo sia finito), sulla riproduzione delle disuguaglianze e sulla massimizzazione dei profitti a vantaggio di pochi.

Un’ecologia che prende sul serio le questioni democratiche e sociali, proprio come il movimento dei Gilets jaunes che in quel momento avanzava le stesse richieste. Un’ecologia che non si accontenta di qualche aggiustamento o di miracolose soluzioni tecniche promesse dai governi o dalle grandi imprese e che non si lascia ingannare dalle loro operazioni di greenwashing.

La strategia degli scioperi per il clima era semplice: affidarsi alla mobilitazione di massa per trasmettere la necessità di questa ecologia radicale nei media e nelle strade. Poi dare ai giovani l’opportunità di imparare la disobbedienza civile al fine di intraprendere azioni di massa per colpire i centri di potere. Costringere i leader ad agire attaccando la loro immagine e minacciando l’economia. Durante questo periodo di rinascita del movimento per il clima, la mobilitazione è stata impressionante. Si è trattato di un periodo di rinnovata azione diretta all’interno del movimento ambientalista. Le sedi delle aziende e i luoghi del potere venivano presi di mira ogni settimana

Le nostre azioni hanno avuto sempre più impatto, come testimonia in particolare l’azione contro la sede della Black-Rock (Colosso multinazionale nel campo della gestione dei risparmi, sponsor della riforma delle pensioni voluta da Macron, N.d.t.). Tuttavia, non siamo riusciti a ottenere le grandi vittorie che avevamo sperato: l’esecutivo ha proposto solo una legge sul clima molto al di sotto della posta in gioco, riprendendo soltanto alcune proposte di quella farsa democratica che è stata la Convenzione cittadina per il clima.

Le ragioni di questo modesto bilancio sono molteplici: azioni non continuative scollegate da lotte a lungo termine, difficoltà nel far passare messaggi radicali sui media di fronte al greenwashing dei nostri avversari e così via. Sulla scia della legge sulla resilienza climatica, la questione della strategia è emersa con più forza all’interno del movimento ambientalista. Come molti altri, ho sentito il bisogno di dare una base più solida al mio attivismo. Quando si lotta per la giustizia ecologica e sociale, si può rapidamente essere sopraffatti dalla portata dei compiti che ci attendono. Dietro il cambiamento climatico e il crollo della biodiversità si nascondono processi complessi e globali e si può avere l’impressione che, se non si attaccano i responsabili, almeno a livello nazionale, la lotta sia vana.

Eppure, la devastazione del vivente avviene ogni giorno vicino a noi. Le stesse multinazionali e le stesse politiche pubbliche contro cui a volte lottiamo così duramente a livello nazionale stanno ogni giorno schiacciando i nostri corpi, distruggendo la nostra terra e uccidendo molti esseri viventi nei luoghi in cui viviamo.

È a livello locale che abbiamo il maggior controllo sulle loro attività distruttive. Le lotte ambientali locali lo hanno dimostrato negli ultimi anni: laddove la pressione delle ONG sulle istituzioni e in occasione di manifestazioni generali avrebbe ottenuto ben poco, la nostra resistenza locale è stata in grado di far arretrare governi e multinazionali. Per citare solo i casi più emblematici, abbiamo fermato il dispiegamento del nucleare a Plogoff, abbiamo respinto l’esercito nel Larzac e abbiamo vinto la battaglia contro Vinci a Notre-Dame-des-Landes.

Dietro queste vittorie c’è una cultura della resistenza che si sta radicando e sta gettando le basi per la società giusta ed ecologica che vogliamo realizzare. Attraverso i legami che stiamo tessendo e il sostegno reciproco che ne deriva. Attraverso l’autonomia materiale che stiamo riconquistando con la lotta, sia con il recupero delle terre che con l’organizzazione delle mense. Attraverso l’auto-organizzazione e le basi della democrazia diretta che costruiamo riconquistando il potere sulle nostre vite in occasione di queste proteste.

Al di là della necessità di ancorare le nostre lotte, se c’è una cosa che il movimento per il clima ha capito nel 2019 è che la via istituzionale è un vicolo cieco. Per questo il movimento ambientalista deve diventare una forza di resistenza capace di smantellare la gigantesca macchina responsabile della devastazione stessa. Queste ipotesi strategiche, che hanno attraversato me e molti altri giovani del movimento per il clima, stanno ora prendendo forma nei Soulèvements de la Terre.


Immagine di copertina di Valentina Altavilla e Vittorio Giannittelli

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