ROMA
G20 di Roma, le mobilitazioni verso il vertice
La capitale è sempre più blindata in vista del vertice internazionale guidato da Mario Draghi ma i movimenti sono determinati a scendere in piazza per chiedere maggiore giustizia sociale e climatica, che non potranno essere ottenute senza uscire dalle logiche del profitto
Più che un summit internazionale, una roccaforte nel cuore dell’Eur: in vista del G20 di sabato e domenica la città di Roma si sta “militarizzando” con l’istituzione di un’ampia zona rossa attorno alla “Nuvola” di Fuksas, edificio che ospiterà l’incontro dei leader delle maggiori economie del globo. Blindate anche le aree del centro, della stazione Termini e i Parioli. Inoltre, proprio ieri mattina, attivisti e attiviste del Climate Camp sono stati fermati e identificati dalla polizia per aver affisso uno striscione davanti al Nuovo Centro Congressi (con la scritta: «La catastrofe arriva, è ora di agire!»).
È il segno che – sulla scorta anche di quanto successo sempre a Roma lo scorso 10 ottobre con l’assalto neofascista alla sede della Cgil e delle tensioni che si stanno creando con le mobilitazioni “no green-pass” in diversi centri italiani – il clima è sempre più d’allerta: si stanno preparando 5mila uomini delle forze dell’ordine, 500 militari dell’esercito, cecchini a presidio delle zone sensibili e no flying zone a “pattugliare” pure il cielo.
Intanto (e come sembra già avvenire da un po’) la Questura sta concedendo con grande difficoltà le piazze.
Un’ampia coalizione di movimenti e realtà sociali (dai movimenti ecologisti dei Fridays For Future e di Extinction Rebellion ai sindacati di base, dagli spazi sociali romani al Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua e alla Società della Cura fino ad arrivare alle reti dei collettivi studenteschi) si sono incontrate in queste settimane nello spazio capitolino Esc Atelier, dando appuntamento alle 15 di sabato a piazzale Ostiense (fermata della metro “Piramide”, a circa sette chilometri dalla “Nuvola”!) per un corteo di contestazione al G20: se i temi all’ordine del giorno del summit sono riassunti nello sloganistico “People, Planet, Democracy” le persone e i soggetti che scendono in strada ribadiscono quanto si tratti di parole vuote. «Come accade a ogni edizione – si legge nel comunicato della manifestazione, cui parteciperanno anche lavoratori e lavoratrici Gkn – i rappresentati di soli 20 Paesi continueranno a decidere le sorti del mondo intero, guidati dai consigli delle grandi multinazionali e silenziando le richieste della società civile, sistematicamente esclusa dalle discussioni».
Altri appuntamenti di contestazione e condivisione avranno luogo nella mattinata di venerdì 29, con lo sciopero e il corteo studentesco chiamato dalla Rete della Conoscenza e da Fridays For Future, e durante la giornata di domenica 30, con un’assemblea di convergenza dei movimenti sociali presso il Teatro Garbatella.
Nel mentre, dalla sera di giovedì 28 fino alla mattinata di lunedì primo novembre, continua anche presso lo spazio autogestito di Acrobax il Climate Camp organizzato dalla rete eco-sociale delle realtà romane. «In pratica questa edizione del G20 non fa altro che affermare, in maniera ancora più forte di prima, la centralità del business a scapito dei diritti», riassume la giornalista e attivista Monica Di Sisto, membro della Società della Cura.
«La strada è quella di un indebolimento generale degli impegni assunti in sede delle Nazioni Unite a favore di accordi bilaterali, stipulati di volta in volta con le varie realtà economiche e commerciali. La volontà dei leader mondiali, guidati dal nostro premier Draghi, è avere le mani completamente libere per dare tutto il potere decisionale alle aziende e non certo alla società civile».
I paesi che fanno parte del vertice di Roma rappresentano più dell’80% del Pil mondiale, il 75% del commercio globale e il 60% della popolazione: sono, in questo senso, anche i maggiori responsabili delle crisi e delle problematiche di cui andranno a discutere possibili soluzioni.
Sappiamo infatti, come si legge nell’Emission Gap Report 2020, che attualmente il 50% più povero della popolazione mondiale (sotto i 6mila dollari l’anno) genera appena il 7% del totale delle emissioni di gas serra. Similmente – per quanto riguarda il contrasto alla pandemia da Covid-19 – mentre in Europa vari paesi hanno tassi di vaccinazione superiori al 70% della cittadinanza, in molte nazioni a basso e medio reddito non si arriva neanche al 10% e dei quasi due miliardi di vaccini promessi dai paesi ricchi ne sono stati consegnati solo 261 milioni (il 14%).
Anche in questo caso, invece che potenziare il pur problematico programma Covax dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la direzione sembra essere quella di stringere accordi direttamente fra stati e case farmaceutiche, passando per la Banca Mondiale.
Foto di gruppo al summit argentino del 2018 (fonte Flickr).
«Che si tenga un summit di questo tipo non è negativo di per sé», spiega l’attivista di Fridays For Future Emanuele. «Il problema è quando una fetta così grossa di potere viene assegnata a organismi non democratici e votati al profitto. Istituzioni quali l’Organizzazione Mondiale del Commercio e la Banca Mondiale funzionano di fatto come delle società per azioni: è normale che facciano gli interessi di chi “ha le maggiori quote”. Andrebbero completamente ripensate».
Si tratta di sbilanciamenti e disequilibri che dunque si ripercuotono negli ambiti che verranno discussi in occasione del vertice: dall’ambiente alla recente “riconquista” dell’Afghanistan da parte dei talebani, dalla transizione ecologica alla gestione della crisi pandemica, fino ai diritti sul lavoro e allo sfruttamento su scala planetaria.
«I milioni che verranno investiti per la crisi climatica riguardano solo gli adattamenti a fronteggiare i mutamenti già in atto», incalza ancora Emanuele. «Si tratta di un mero punto di partenza. Al contrario, la mitigazione per prevenire gli effetti futuri viene quasi completamente affidata agli investimenti aziendali per compensare le emissioni di carbonio: è un meccanismo che non funziona, che provoca solo acquisizioni indebite di terreno, e al quale è necessario opporsi».
Una dinamica di gestione delle risorse iniqua che, in qualche modo, fa il paio con la questione dei vaccini, all’oggi appannaggio quasi esclusivo dei paesi più ricchi: com’è noto, alcune realtà come la campagna europea “Nessun profitto sulla pandemia” stanno chiedendo la sospensione dei brevetti sui farmaci anti-Covid, per facilitare l’immunizzazione in quei paesi che sono stati tagliati fuori. Ma non si tratta solo della pandemia: il sistema delle proprietà intellettuali crea diseguaglianze anche in campo agricolo e della biodiversità, come denuncia da tempo il movimento popolare della Via Campesina.
«In generale, non ci può essere sostenibilità ambientale né sostenibilità sociale senza una riduzione del debito verso i paesi del sud del mondo», chiosa l’attivista dei Fridays For Future. «Per molte nazioni gli interessi da pagare sono di gran lunga più alti delle risorse a disposizione per istruzione e sviluppo. Si tratta di rompere quel meccanismo di scambio ineguale, per cui lo sfruttamento del lavoro in certi parti del pianeta consente ad altri di far profitto all’interno del regime capitalistico».
Foto di Alberto Berlini da Flickr.
È chiaro che una simile rottura non possa darsi senza un ascolto e un impegno diretto da parte dei movimenti e della società civile, che pare invece essere stata tenuta “ben a distanza” dai centri decisionali, non solo per quanto riguarda la giornata di sabato. Conclude infatti Di Sisto: «Il Governo Draghi non ha concesso alcuna finestra di dialogo, semplicemente si sta facendo i fatti suoi mentre nel nostro paese sono vent’anni che crollano i salari. Ma non possiamo stare fermi e aspettare che la smettano di rapinarci, dobbiamo agire. È una lotta del debole contro il forte, è una lotta per il diritto al lavoro e alla sopravvivenza».