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Vita e morte di Umberto Eco
Una settimana fa moriva, a Milano, Umberto Eco ; poi, martedì scorso,nel cortile tetro del Castello Sforzesco,si è svolta la cerimonia funebre.
Davanti alla bara, quasi a spartirsi il cadavere, una folla di anime morte: giornalisti esausti per eccesso di menzogne, ministri improbabili, rettori improvvisati, arrampicatori sociali ambo sessi, tutori dell’ordine annoiati, autori senza editori, editori senza autori e così via.
Insomma, proprio quel “demi-monde” contro cui Eco aveva, fin dagli anni sessanta del secolo appena trascorso, scagliato la sua cattiveria sognante; quella umanità questuante che proprio là, nel cortile di un castello eretto per sorvegliare e punire il popolo di Milano, era finalmente riuscita a metabolizzare l’intellettuale venuto da Alessandria.
Eco era posseduto da una personalità poliedrica, viveva una moltitudine di vite — e questo sempre comporta una pluralità di morti.
Un tempo c’è stato un Eco anche per noi : proveniva dal “Gruppo ’63” e,sodale con Nanni Balestrini e Angelo Guglielmi, aveva fondato la rivista “Quindici”,una sorta di lenzuolo stampato alla maniera dei giornali settecenteschi.
Questa rivista, in assoluta solitudine, aveva pubblicato e commentato criticamente i documenti del Movimento studentesco del “68 — perché Eco era tra quei docenti universitari, rari in realtà, che discutevano con gli studenti quando questi ultimi interrompevano le lezioni per porre questioni di rilievo circa la vita morale e civile del nostro paese — insomma, Eco non chiamava i carabinieri per dare potenza persuasiva alle parole.
Umberto Eco,un intellettuale che ha esercitato per anni ed anni il pensiero critico, è morto.
Davanti alla sua bara, a noi sono tornate in mente le parole di Adorno: ciò che l’uomo in sé può essere è sempre e soltanto che era : egli vive inchiodato allo scoglio del suo passato.
L’articolo è stato pubblicato dall’autore sul suo profilo facebook. Lo ripubblichiamo per gentile concessione.