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Se il virus è una questione di razza e classe. Covid-19 e comunità afroamericana

Negli Stati Uniti il virus sta colpendo soprattutto la comunità afromericana, mettendo in luce le disegueglianze che ancora persistono in termini di accesso alla salute, condizioni di vita e reddito.

Alla data del 4 aprile nella contea di Cook in Illinois 107 dei 183 deceduti per la Covid-19 dall’inizio della pandemia negli Stati Uniti d’America, il 58,5%, erano afroamericani. A Chicago, nello stesso stato, lo erano 61 degli 87 morti per Covid-19, una percentuale del 70%. Nella contea di Cook i residenti afroamericani rappresentano il 23% dell’intera popolazione, a Chicago il 29%.

Fino a venerdì 3 aprile nella contea di Milwaukee in Wisconsin quasi la metà dei 945 contagiati era afroamericana e sempre tali erano l’80% dei 27 morti di Covid-19 della contea. Nella città di New York, dove i dati su contagiati e deceduti finora non rilevano l’origine etnica, i dati di alcuni quartieri a prevalenza afroamericana registrano dati tassi di contagio più elevati rispetto a quartieri a prevalenza bianca, come nel caso di Wakefield nel Bronx con una popolazione composta al 58% da afroamericani e al 15% da bianchi e un rapporto tra testati e positivi alla Covid -19 di 304 contagiati su 556 persone sottoposte a tampone.

 

A livello federale non esistono al momento negli Stati Uniti numeri sul contagio da Covid -19 che diano conto dell’origine etnica dei contagiati e dei deceduti; gli unici dati con un tale livello di raffinatezza vengono rilevati su scelta autonoma a livello di contea e, in pochi casi, a livello statale.

 

Dai pochi numeri disponibili sembra però emergere una netta sovraesposizione degli afroamericani. In altri ambiti della società americana essi risultano storicamente sovra-rappresentati: nella popolazione carceraria, nelle classi più basse di reddito, in quelle con il grado di scolarizzazione più basso. Questi sono alcuni degli aspetti della vita sociale ed economica nei quali gli afroamericani, una minoranza che nel 2018 costituiva il 13,4% dell’intera popolazione statunitense, si ritrovano a rappresentare una maggioranza, spesso assoluta negli Stati Uniti.

Se per quel tipo di sovra-rappresentazioni si sono spesso date spiegazioni che indicavano negli afroamericani di volta in volta una certa propensione al crimine, una scarsa capacità imprenditoriale, una limitata capacità di apprendimento, cercando di mantenere ben saldo il concetto base che il sistema capitalistico statunitense garantisse a tutti la possibilità di successo in qualunque campo a patto che il singolo avesse le capacità per conquistarselo, appare più difficile utilizzare quegli stessi stereotipi per spiegare una eventuale maggiore incidenza della Covid -19 sulla popolazione afroamericana.

 

Dopo oltre un decennio di colorblindness da una parte e di identity politics dall’altra, l’andamento della diffusione della Covid -19 negli Stati Uniti sembra indicare un segnale chiaro di collegamento della questione di classe con quella razziale.

 

In una situazione nella quale le modalità di lockdown non sono omogenee su scala federale e variano da stato a stato, la maggior parte della popolazione che continua a muoversi e che quindi aumenta la propria possibilità di contagio appartiene alla categoria di persone impiegate nelle attività considerate essenziali.

Il carattere di essenzialità di queste attività dichiarato dal sistema sembra corrispondere in questo caso anche al carattere essenziale che i lavoratori coinvolti danno al reddito percepito, impossibilitati, in mancanza di interventi ad hoc in materia di welfare, a poter continuare ad avere un sostentamento. In questo modo, come sta accadendo in tutti i paesi toccati dalla pandemia, quotidianamente chi moltiplica in maniera esponenziale il proprio rischio di contagio, oltre al personale ospedaliero, sono i lavoratori dei supermercati, quelli dei servizi pubblici, operaie e operai delle fabbriche. Lavoratrici e lavoratori il cui impiego non può essere smart ma che, per guadagnare il proprio salario, devono muoversi.

Quell’insieme di lavoratrici e lavoratori sono accomunati dal percepire un basso salario rispetto al potere d’acquisto della moneta, dal prestare la loro opera all’imprenditore in cambio di una tariffa oraria, dall’avere scarse assicurazioni sanitarie. Secondo l’American Community Survey, per gli anni 2016-2018, il 9,9% degli afroamericani si muove con mezzi pubblici per il tragitto casa-lavoro a fronte del 3,3% dei bianchi, mentre il 65,5% degli afroamericani occupati lavora nei settori dei servizi, delle costruzioni e delle produzioni, negli stessi settori è occupato il 48,7% dei bianchi, e nei settori business e management il 29,6 degli afroamericani occupati a fronte del 42,9% dei bianchi.

 

E i dati del 2018 raccontano che una famiglia afroamericana in un anno guadagna in media 41361 dollari, rispetto ai 63179 di media dell’intero paese, ai 70642 dollari di media di una famiglia bianca, ai 51450 dollari di una famiglia ispanoamericana e agli 87194 di una famiglia asio-americana.

 

Uno squilibrio che rimane pressoché inalterato dal 1965. Nonostante con l’abolizione delle leggi Jim Crow e proprio a partire da quell’anno il calendario civile statunitense celebri l’inizio della nuova era post-segregazionista del paese, le condizioni economiche degli afroamericani sono rimaste, in media, le più basse tra tutti i gruppi etnici del paese.

Un altro elemento importante che potrebbe avere una qualche influenza sulla possibile maggiore esposizione della comunità afroamericana al contagio lo si può riscontrare nella maggiore incidenza sulla comunità di malattie respiratorie quali l’asma. Secondo il rapporto del 2012 del National Center for Health Statistics erano affetti da asma l’11,2% degli afroamericani, la percentuale più elevata tra tutte i gruppi censiti. Nello stesso rapporto si indicava come la presenza dell’asma fosse stata riscontrata in percentuali maggiori (l’11,2%) tra la popolazione con un reddito basso e sotto la soglia di povertà, mentre andasse a diminuire con l’aumentare del reddito (7,3% nei redditi più elevati).

A dispetto della minoranza numerica che gli afroamericani costituiscono rispetto al totale della popolazione statunitense, essi rappresentano una parte cospicua se non maggioritaria della classe proletaria, sulla quale la pandemia, secondo questi primi dati starebbe evidentemente colpendo in maniera significativa. Se i dati venissero confermati in queste proporzioni, l’evoluzione della pandemia negli Stati Uniti metterebbe in discussione un assunto che finora è stato ampiamente utilizzato, non soltanto negli Stati Uniti, nel discorso che ha accompagnato la diffusione della Covid -19: che il virus colpisce tutti indistintamente. Se, come ha sostenuto recentemente l’antropologo Umberto Pellecchia in un’intervista, a livello biologico il virus può colpire tutti, «le condizioni sociali fanno la differenza». E se alle differenze strutturali in termini di opportunità, salute e qualità della vita generate dai sistemi a capitalismo avanzato sommiamo i maggiori rischi che nell’emergenza della pandemia quei lavoratori «essenziali» devono accollarsi per poter portare a casa il salario e mandare avanti il sistema, forse quel virus anziché prendere una strada a caso si ritroverà davanti un senso unico.