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MUSICA
“Se ho vinto, se ho perso”: il ritorno dei Kina a Roma
Intervista ai Kina, storica hard core band italiana simbolo della controcultura degli anni ‘80. A 10 anni dall’ultima reunion, tornano con un nuovo mini tour di 11 date, che arriverà Venerdì 28 giugno al CSOA Forte Prenestino, in una serata a sostegno di Radio Onda Rossa.
Cosa vi ha spinto a rimettere in piedi i Kina per una seconda volta con un nuovo tour di date?
GP: Gian Luca Rossi, un videomaker di Aosta, ha girato un documentario da 80 minuti su e con noi. Il lavoro è finito adesso e le date sono per portare in giro il documentario e raccontare le nostre storie.
Quindi a distanza di tutti questi anni, in Italia c’è ancora chi si ricorda di voi tanto da raccontare la vostra storia e di volervi rivedere su di un palco, non è così?
GP: Sembra di si, incredibile vero? L’ultimo concerto è stato in gennaio 1997 in Germania. Da allora sono successe molte cose. La rete ha cambiato il mondo. Nelle sue maglie la memoria di rumori passati si è tramandata di generazione in generazione. Quando i primi nostri pezzi sono comparsi su YouTube io sono rimasto stupito dalle migliaia di visualizzazioni per brani usciti su dischi in vinile 20 anni prima ed esauriti da 10 anni. Nel frattempo i teenager del Duemila si erano scaricati con Torrent tutti i nostri dischi che chissà chi aveva caricato, e i nostri testi sono stati caricati su decine di siti di testi di gruppi, decine di webzines avevano fatto la recensione dei nostri dischi e i pezzi stavano sui lettori di MP3 di centinaia di ragazzi nati dopo il nostro ultimo concerto. Strano che la tecnologia abbia tenuto in vita la memoria di un gruppo che aveva scritto: «cosa farete quando lo schermo scoppierà».
Questa non è la prima reunion con la formazione originale, se non erro nel 2008 ce n’era stata una prima, giusto?
GP: Sì, hai ragione non è la prima volta che i pezzi che abbiamo creato anni fa vengono suonati dal vivo. Questa però è una volta speciale. Non sono date sporadiche, ma soprattutto a ogni data verrà proiettato Se ho vinto, se ho perso, il documentario di Gian Luca Rossi sul gruppo Kina, su chi ci ha suonato, su chi li ha osservati da vicino e da lontano, su cosa eravamo e su cosa siamo oggi.
In quella occasione come mai vi eravate riuniti?
GP: In questi anni da più posti erano arrivate molte richieste. Non abbiamo mai fatto pezzi nuovi, sono stati sempre dei momenti di ritrovo, ci si è visti, ci si è ritrovati per una sera.
Cosa ne è rimasto del progetto Frontiera? Esiste ancora?
S: Rimangono dei dischi e dei bei concerti fatti un po’ in tutta Europa. Anche i Frontiera sono finiti; probabilmente meritavano di più ma, come al solito probabilmente eravamo troppo avanti rispetto ai vari trend e non siamo mai riusciti a valorizzare a pieno le potenzialità della band. C’è di positivo che coi Frontiera abbiamo mantenuto vivo l’interesse per i Kina, abbiamo continuato a vedere e frequentare amicizie e posti e questo ha contribuito a mantenere vivo lo spirito e la stima.
A quale canzone delle storiche siete più affezionati e quale canzone cantano di più i vostri fan ai concerti? Come mai?
GP: Le canzoni hanno una loro vita, chi le pensa e le crea è solo un piccolo motorino di avviamento. Un brano esce, una cassetta, un disco, un cd, un file su un server di una piattaforma di musica in streaming, e da lì i musicisti non ne sono più responsabili. Alcuni nostri pezzi che a noi piacevano molto non sono passati alla storia, altri pezzi sono stati cantati a squarciagola da migliaia di persone, ai concerti, in macchina, alle manifestazioni e sotto la doccia. Perché? «Raccontare storie è la nostra vita» abbiamo scritto anni fa. I nostri testi raccontano le nostre storie, le nostre storie le sappiamo solo noi, ma basta raccontarle lasciandole aperte e chi sa vibrare con la musica e col senso delle nostre cose, ci si ritrova, e quando racconto la mia storia allora altre persone capiscono che sto raccontando anche la loro storia, lo vedi quando incroci gli sguardi delle prime file davanti al palco.
Voi che venite da una piccola realtà come la Valle d’Aosta, che a parere mio, non rappresenta proprio l’epicentro della scena punk hard core europea, ci spiegate come avete fatto a diventare famosi in tutta Europa? E quali sono stati gli aspetti positivi e negativi di abitare in provincia?
GP: Vivere in provincia vuol dire fare delle scelte. Ti adatti e ci stai bene, non ti adatti e cerchi altrove. Noi abbiamo scelto la seconda strada. Viaggiare è stata la nostra via per la sopravvivenza. In una decade, gli anni ’80, che ha visto dilagare l’eroina noi non abbiamo mai fumato nemmeno le sigarette e non siamo mai stramazzati sbronzi sotto i tavoli. A 20 anni ci siamo definiti come persone pensanti in una nazione e in un periodo storico che voleva tutti allineati al caramello della New Wave stucchevole e della televisione che da super seria e istituzionale stava diventando il nuovo oppio dei popoli. Da lì ad andare a suonare in Friuli in autostop e in Dyane a Berlino il passo è breve.
Voi che siete stati i fautori in Italia della musica auto prodotta, cosa ne pensate del fatto che quasi tutti i giovani artisti oggi incominciano auto producendosi su internet? Sono uguali a com’eravate voi oppure c’è qualcosa di diverso?
GP: Massimo rispetto per le nuove generazioni che stanno reagendo con tutto quello che riescono a trovare sotto mano. Stanno usando la rete e semplici software per fare cose che prima si facevano con studi super professionali diretti da super professionisti. Noi usavamo quello che avevamo sotto mano come loro adesso. È tutto in scala.
Siete ancora contro il sistema e soprattutto contro l’industria musicale delle major? Oppure come altri artisti che in passato erano leggende dei circuiti alternativi oggi vi siete tolti qualche pregiudizio?
GP: Bella domanda. Sai che non so cosa rispondere? 15 anni fa lavoravo in università. Il professore ordinario sotto cui lavoravo mi ha chiesto di comportarmi con gli studenti in modi che io ho ritenuto non etici. Mi sono ribellato. Non ho obbedito. Sono stato cacciato. Contro il sistema? Si, forse. Mi piace di più pensare che semplicemente per me le persone vengono prima, dopo ci sono le carriere, dopo ci sono i soldi. Obbedire a ordini lontani dalla mia etica per me non è possibile. «Ho solo obbedito agli ordini» non è uno scudo dietro cui si si possa riparare, dietro cui i mi voglia nascondere, non l’ho mai fatto, non penso che inizierà ora a farlo.
S: Sai, anche le cose intorno a noi a volte scambiano. Così succede che mentre una volta esistevano le major e i fautori del diy, oggi ci sono miriadi di posizioni intermedie. È stato un processo lungo, e a volte anche non troppo liscio, ma credo che anche noi con la nostra etichetta Blu Bus abbiamo contribuito non poco affinché si arrivasse a questo punto. Insomma, abbiamo tracciato una via. Ci sono professionisti appassionati, che lavorano bene e sono vicini (intendo anche ideologicamente) alle realtà che producono e questa secondo me è una bellissima cosa. Noi continuiamo ad essere contro il sistema di mercificazione che non mette al primo posto le persone e le idee ma solo il denaro.
C’è la speranza di qualche inedito? Oppure ci diamo appuntamento tra 10 anni per la prossima reunion?
GP: Inediti? Ma no dai perché abbiamo 80 brani in repertorio, non bastano?
S: Quando entri in sala prove non sai mai cosa si suonerà e come andrà a finire. A volte suonare i pezzi vecchi è proprio bello, a volte però viene voglia di suonare una strofa nuova, suonare un giro nuovo. In fondo è il motivo per cui sono nati i Frontiera e poi gli Ombra. Non abbiamo niente in programma, e questo può voler dire che magari se saremo presi bene ….
I Kina sono formati da Sergio Milani (batteria e voce), Giampiero Capra (basso e voce) e Alberto Ventrella (chitarra e voce)