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MONDO
Vince ancora Modi, ma cresce l’opposizione in India
La destra di Narendra Modi va al governo per la terza volta, ma è costretta a formare una coalizione non avendo ottenuto i 400 seggi sperati. Alleanza per lo sviuppo inclusivo con i 232 seggi conquistati si prepara all’opposizione contro la destra hindu-nazionalista
La mattina del 4 giugno Delhi si sveglia con un’aria diversa. Il sentimento generale che avvolge la capitale indiana è quello dell’apprensione rispetto al risultato elettorale, i cui segnali si avvertono nei gesti quotidiani delle persone: il suono confuso dei reel in metro è sostituito dalle voci degli anchor man televisivi che stanno seguendo lo spoglio, al mattino i venditori ambulanti di giornali hanno già quasi esaurito le copie dei principali quotidiani nazionali e a Connaught Place, piazza centrale di Delhi, capannelli di persone seguono lo spoglio dai megaschermi piazzati in un angolo. Nonostante gli oltre 40° l’aria sembra più calma, quasi a presagire che il peggio è passato nella settimana del voto dove si sono raggiunti i 52.3°.
Introiettando lo spirito comune seguo anch’io lo spoglio degli oltre 600 milioni di voti raccolti nei due mesi precedenti nelle 543 circoscrizioni elettorali indiane. Già dal primo sguardo alla diretta televisiva capisco il perché di questo stato emotivo: l’invincibile macchina elettorale della destra hindu-nazionalista guidata da Narendra Modi mostra le prime crepe. Già dalle prime ore del mattino le proiezioni degli exit-poll pubblicate a conclusione della settima tornata elettorale del 1 giugno che davano l’Alleanza democratica nazionale del primo ministro uscente con una forbice tra i 360 e i 400 seggi parlamentari, si rivelano sovradimensionati.
Al quartier generale del BJP nelle prime ore del pomeriggio l’atmosfera è a metà tra la festa e il cordoglio. Tra le strade adornate con le gigantografie di Modi in disparate vesti solo pochi militanti, la banda chiamata per i festeggiamenti e centinaia di giornalisti. Solo dopo qualche ora, quando lo spoglio dei voti delle circoscrizioni di Delhi danno conferma dell’all-in nella capitale, cominciano ad arrivare i primi pullman carichi di attivisti. Mentre all’esterno la folla euforica si lancia in balli e cori “Modi, Modi“, all’interno i più anziani funzionari di partito assistono preoccupati alla diretta televisiva dal canale vicino al partito, Republic TV. Quando il risultato del partito si assesta quasi definitivamente sui 240 seggi e la coalizione sui 295 seggi, gli sguardi dei funzionari si fanno sempre meno gioiosi. La tanto agognata vittoria è arrivata ma con numeri ben lontani dal leitmotiv della campagna elettorale dei 400 seggi. A ravvivare gli animi ci pensa il comizio di Modi in serata. Il leader accolto dai fuochi d’artificio ha per una volta messo da parte gli attacchi a opposizioni e minoranze per autocelebrare il suo terzo mandato, primato riuscito prima d’ora solo a Jawahrlal Nehru.
Nel poco distante quartier generale del partito del Congresso i sondaggi dei giorni precedenti, bollati dal leader Rahul Gandhi come «frutto della fantasia di Modi» sembrano ormai un incubo passato con la nottata. Lo spoglio ha ribaltato i risultati, dando alla coalizione alleanza per lo sviluppo inclusivo (INDI) 232 seggi, molti più dei previsti 120-160 previsti dai sondaggisti. I 99 seggi conquistati portano il Congresso a diventare il principale partito d’opposizione, seguito dai partiti regionali Samajwadi Party, Trinamool Congress e Dravida Munnetra Kazhagam, i cui buoni risultati rispettivamente in Uttar Pradesh, Bengala e Tamil Nadu, hanno contribuito a stravolgere i progetti massimalisti della destra hindu-nazionalista.
Il contesto
Le elezioni cominciate il 19 aprile si sono subito infiammate. Un mese prima delle elezioni la pubblicazione dei finanziamenti privati ai partiti sotto lo schema electoral bonds, l’arresto del leader del partito d’opposizione e primo ministro di Delhi Arvind Kejriwal e le dichiarazioni di Rahul Gandhi rispetto al congelamento dei fondi al partito del Congresso hanno riscaldato la competizione elettorale. Il susseguirsi di eventi ha fatto passare in sordina il passaggio delle direttive esecutive della nuova legge di cittadinanza Citizenship Amendement Act, con cui si mette a rischio il diritto di cittadinanza di milioni di persone, soprattutto di religione musulmana.
Anche le istituzioni hanno avuto un ruolo nel condizionamento delle elezioni, su tutti, gli organi di polizia Enforcement Directorate e Central Bureau Investigation hanno agito in modo non neutrale nello svolgimento delle indagini e l’Electoral Commission of India, organo atto a vigilare su procedimenti di voto e sulla campagna elettorale, è stata più volte additata per non aver preso posizione rispetto a discorsi d’odio dei politici di maggioranza. Ingerenze non di secondo piano dato che la campagna elettorale è andata avanti incessantemente durante i 71 giorni intercorsi tra la prima e l’ultima giornata di voto del 1 giugno. Altri elementi di condizionamento legale del voto si sono dati nelle circoscrizioni di Surat e Indore, nella prima il candidato del BJP Mukesh Dalal ha vinto il seggio senza che vi fossero elezioni grazie al ritiro delle candidature da parte degli altri otto contendenti e l’invalidazione dei documenti di Nilesh Kumbhani del partito del Congresso, nella seconda il candidato del Congresso Akshay Kanti Bam si è ritirato dalla competizione aggiungendosi alle fila del BJP poche ore prima delle elezioni.
Il discorso politico del BJP
Il risultato elettorale bipolare è anche conseguenza di una serrata campagna elettorale polarizzata, segnata da narrazioni politiche atte a ridefinire ulteriormente il paradigma di nazione entro cui iscrivere il futuro politico dell’India. Il BJP ha puntato tutto su di una campagna politica centrata sul simbolismo religioso, partendo dall’inaugurazione del tempio dedicato a Ram ad Ayodhya ad opera di Narendra Modi e Yogi Adityanath, primo ministro dell’Uttar Pradesh, il 22 gennaio.
L’inaugurazione è stata preceduta da una campagna martellante dei media vicini alla maggioranza di governo e da un appello ai fedeli hindu a esporre bandiere e simboli riferiti al tempio nelle loro abitazioni; i festeggiamenti per l’inaugurazione del tempio si sono estesi in tutto il paese, con feste nelle strade e cerimonie in vari templi, lasciando pensare alle fazioni hindu-nazionaliste che questa fosse la chiave di volta vincente per raggiungere un risultato ancor migliore dei 303 seggi raggiunti nel 2019. Nelle parole pronunciate da Modi in versione di officiante di cerimonia è condensata l’idea che sta dietro al significato meta-politico dell’inaugurazione del Ram mandir raggiunta «superando la mentalità della schiavitù e prendendo coraggio da ogni sfida del passato, la nazione sta creando la genesi di una nuova storia».
L’inaugurazione del tempio è stata il perno del discorso politico di cui Modi si è fatto portatore nei 206 eventi elettorali tenuti nei due mesi di voto, a cui sono seguiti discorsi centrati sul rafforzamento della sua persona e del nazionalismo hindu. La conformazione Modi-centrica del discorso, constatabile nel programma elettorale “garanzia Modi” in cui il discorso politico-religioso si è accompagnato all’elenco dei programmi attivati negli anni di governo, ha raggiunto dei picchi di divinizzazione della figura del primo ministro. Nelle 80 interviste rilasciate in questi mesi, Modi ha ricalcato i propri tratti divini arrivando ad autoconsacrarsi in un’intervista fatta sulle rive del Gange a Varanasi – circoscrizione in cui Modi è stato eletto: «Quando mia madre era viva, credevo di essere nato biologicamente. Dopo la sua morte, riflettendo su tutte le mie esperienze, mi sono convinto che Dio mi ha mandato. Questa energia non poteva provenire dal mio corpo biologico, ma mi è stata donata da Dio… Ogni volta che faccio qualcosa, credo che Dio mi stia guidando».
A chiudere il cerchio gli attacchi alle opposizioni, con artifici retorici tesi a toccare il senso comune della popolazione mettendo al centro le passioni popolari come la sostituzione etnica della squadra nazionale di cricket a favore dei musulmani e il toccare le corde della spoliazione programmata delle famiglie hinduiste in favore delle minoranze islamiche. È esemplificativo il discorso tenuto da Modi a Banswara, Rajasthan, subito dopo la prima tornata elettorale dove ha definito i musulmani come infiltrati:
«l’oro delle vostre madri e sorelle sarà confiscato e redistribuito dal partito del Congresso. È accettabile? Hanno il diritto di confiscare i vostri patrimoni guadagnati con duro lavoro? [..] Se andranno al potere, hanno detto che i musulmani saranno i primi beneficiari di questa redistribuzione. A chi andranno i vostri risparmi? Loro li vogliono dare a chi ha più bambini. Li daranno agli infiltrati».
Le opposizioni all’arrembaggio
Il passaggio a questo risultato dalla débâcle del 2019 – 120 seggi per le opposizioni – è frutto di anni di lungo e radicato lavoro tra la gente del subcontinente, e contemporaneamente sintomo del fallimento della strategia di un’India ridotta al nome del programma elettorale del BJP “Garanzia Modi”. Un riconoscimento d’eccezione va dato a Rahul Gandhi, che in questi anni ha girato il subcontinente da sud a nord e da est ad ovest, riportando i vertici del partito a interfacciarsi con la propria base. La “marcia per la giustizia’“in cui ha percorso l’India da est a ovest ha assunto un maggior significato simbolico partendo il 27 dicembre dal Manipur, martoriato da una guerra civile iniziata un anno fa, e concludendosi 6.200 km e 66 giorni dopo a Mumbai.
La coalizione non ha mancato di mostrare segni di cedimento data la conformazione paragonabile a quella di una provetta armata brancaleone, che ha portato a una competizione intra-coalizione in alcuni Stati, come il Bengala, Kerala e il Punjab, dove il Congresso e alcuni suoi alleati si sono trovati a scontrarsi direttamente nella competizione e nella campagna elettorale.
L’agenda dettata dal partito del Congresso ha messo al centro le istanze sociali, parlando al paese di disoccupazione, schemi di welfare, censimento delle caste, istruzione e difesa della costituzione. L’obiettivo è stato perseguito attraverso un costante impegno dei leader del partito, famiglia Gandhi su tutti, a raccordarsi con partiti e candidati locali, privilegiando marce e comizi di piccola-media portata rispetto a grandi eventi.
La composizione delle liste elettorali stilate dalla coalizione è stata tesa a dare maggior rilievo a componenti delle caste svantaggiate, dalit e leader locali, le quali si sono autorganizzate in ottica di autodifesa piuttosto che di consenso disinteressato. È esemplificativa l’esperienza delle organizzazioni Dalit Ambedkarite (Buddhist) nello Stato cruciale del Mahrashtra, che raccoltesi in assemblea hanno fatto appello alle proprie comunità per votare compatte per la coalizione INDI al fine di difendere la costituzione e la democrazia.
Questo tipo di narrazione è stata accolta da gran parte dei membri delle opposizioni, spaventate dai proclami dei leader del BJP di voler raggiungere i 400 seggi necessari a modificare la carta fondamentale e poter finalmente portare a termine la battaglia per la cancellazione dal preambolo di essa dei termini secolare e socialista che connotano la Repubblica federale indiana. In non pochi casi capannelli di persone hanno ribadito la centralità della difesa delle garanzie costituzionali come imprescindibile atto democratico, dovuto anche alla memoria dei martiri che persero la vita per raggiungere l’indipendenza del paese.
Le ragioni del risultato
La crescita delle opposizioni è frutto di una ricomposizione politica della domanda di rappresentanza politica dell’elettorato indiano, invertendo il trend degli anni precedenti. Questo è vero soprattutto guardando al voto nelle circoscrizioni rurali dove il BJP ha perso 71 seggi e il Congresso ne ha guadagnati 44, lasciando i restanti tra le file dei partiti regionali minori, tra cui spicca l’incremento del Samajwadi Party da 5 a 37 seggi in Uttar Pradesh. Qui le contraddizioni interne alla destra hindu-nazionalista si sono sublimate, portando il BJP a raggiungere 33 seggi, poca roba rispetto ai 71 ottenuti nel 2014 e ai 62 del 2019. Tra gli sconfitti di spicco il presidente statale del partito Bhupendra Singh e la ministra Smirti Irani, i cui risultati sono figli della centralizzazione delle scelte del partito nella scelta dei candidati. Lo scontento è leggibile anche nella base del partito che ha patito lo scollamento dalla base, riflesso nella mancata mobilitazione dei militanti del Rashtriya Swayamsevak Sangh, relegato a un ruolo di secondo piano nelle decisioni di partito, cercando rifugio nella figura di Modi. A rimarcare la gerarchia è stato il presidente del BJP, JP Nadda «Ognuno fa il proprio lavoro. La RSS è un’organizzazione culturale e noi siamo un’organizzazione politica. All’inizio siamo stati meno capaci, più piccoli e avevamo avuto bisogno della RSS. Oggi siamo cresciuti e siamo capaci. Il BJP si autogestisce».
Il fattore magico ha avuto di certo un suo spessore. Girando tra i dhaba del nord del paese, è frequente imboccare in locali adornati con gadget, locandine o gigantografie raffiguranti il primo ministro. Parlando con alcuni di loro le conversazioni si sono fermate spesso al giudizio rispetto al ritorno dell’India a un ruolo di primo piano nella scena internazionale o alla costruzione del tempio di Ram, piuttosto che alla politica interna, a cui sono per lo più riservati insulti verso le opposizioni.
Ayodhya, sconfitti nella terra promessa
La sconfitta è ancor più sonante ad Ayodhya-Faizabad, dove il parlamentare in carica dal 2014 Lallu Singh, ha perso con un distacco di oltre 50 mila voti contro il candidato dalit Awadhesh Prasad, in quota Samajwadi Party. L’inaugurazione del tempio non ha portato il paventato entusiasmo tra la popolazione della città del distretto. Molti appartenenti a caste svantaggiate e musulmani con abitazioni nei pressi del tempio si sono visti demolire le proprie case in via del nuovo piano di urbanizzazione o sono stati costretti con la forza a lasciare le proprie abitazioni da membri delle caste alte; da dicembre dello scorso anno il divieto di vendita di carne e alcool nel distretto ha reso molti cittadini, per lo più musulmani, disoccupati e distrutto parte dell’economia di prossimità su cui si regge la città; i pescatori del fiume Sarayu si trovano in evidente difficoltà dato il crescente inquinamento delle acque causato dal congestionamento del sistema fognario e di smaltimento dei rifiuti, cresciuto in conseguenza dell’aumento del turismo.
Gli unici a beneficiare dello “sviluppo” sono stati i grandi costruttori a cui sono andati gli appalti per l’ammodernamento di aeroporto, stazione ferroviaria e autostrade, i fondi immobiliari assieme al boom degli hotel stanno facendo triplicare il costo del mattone nella città e il fondo finanziario istituito dal Governo nel 2020, Ram Janmabhoomi Teerta Ksherta, per la costruzione del tempio. Quest’ultimo, ben analizzato nel numero di gennaio della rivista indipendente “The Caravan“, è al centro di casi di riciclaggio nell’acquisizione di terreni ad opera di santoni hindu, esponenti dell’organizzazione Vishnu Hindu Parishad – appartenente alla stessa famiglia ideologica di RSS e BJP – e del governo locale dell’Uttar Pradesh.
Non sono solo i fallimenti del BJP ad aver costruito la vittoria di Prasad. L’operazione condotta dal candidato del Samajwadi Party è esemplificativa del modus operandi adottato dal partito nell’intero Stato, confidando in fattori come la rappresentanza delle minoranze a livello politico attraverso un’operazione di ingegneria elettorale atta a creare una rappresentazione il più vicina possibile alla struttura della società. La mobilitazione costante dei vertici del partito ha puntato sulla creazione di eventi pubblici più piccoli nelle comunità rurali, dove è stato possibile far interfacciare la base con i propri candidati e rendere l’immagine di un partito con candidati attaccati ai propri elettori.
I risultati
Non è stato il solo Uttar Pradesh a ribaltare le ambizioni di dominio parlamentare del BJP. Il ribaltamento ha interessato 92 seggi concentrati soprattutto gli stati del nord del paese, in particolare in Mahrashtra – meno 16 seggi –, Rajasthan – meno 10 seggi –, Karnataka e Bengala – meno 8 seggi – e Haryana – meno 5 seggi. A far scalpore è la sconfitta nel seggio di Banswara, riservato alle comunità indigene, dove Modi pronunciò il discorso contro gli infiltrati, e la perdita di terreno negli Stati agricoli di Haryana e Punjab, dove il BJP non ha conquistato seggi, protagonisti delle proteste contadine. La sconfitta nel Punjab è conseguenza dell’incessante attività politica dei contadini che in questi mesi hanno impedito l’accesso ai villaggi rurali a candidati e membri del partito di maggioranza, facendo campagna elettorale casa per casa contro il partito fautore delle leggi anti-contadine.
A interrogare i cronisti è stato invece il risultato scomposto del Mahrashtra, dove nei mesi antecedenti alle elezioni due grandi partiti presenti su base regionale, Shiv Sena e National Congress Party, si sono divisi in due fazioni schieratesi ai poli opposti. La partizione agita dall’alto per mere ragioni di potere e personalistiche, ha avuto conseguenze disastrose per gli alleati del BJP, portando alla coalizione un magro bottino di 18 seggi sui 48 in palio.
Nel Bengala il Trinamool Congress, guidato dalla prima ministra dello Stato Mamata Banjeree, si è riconfermato primo partito, conquistando 29 seggi. Qui la competizione tripartita tra BJP, Trinamool, e Congresso unito assieme ai partiti della sinistra comunista, ha avuto tra i temi principali gli schemi di welfare elargiti dal governo locale, l’identità nazionale bengalese, molto forte nell’area, e ha rimesso al centro la legge sulla cittadinanza. Entrambi gli schieramenti presentatisi in opposizione al BJP hanno fatto appello ai lavoratori informali e ai lavoratori migranti sparsi per l’India a recarsi alle urne, affinché il loro nome non venga cancellato dai registri elettorali.
A pagare maggiormente lo scotto del risultato è stato il Partito Comunista Indiano (Marxista) – CPI(M) – al governo dello Stato ininterrottamente dal 1970 al 2011 e ora ridotto a terzo partito. Quel che resta del partito è una struttura fortemente radicata sul territorio, da cui vengono fuori quadri esecutivi, e un immaginario che fa difficoltà a farsi realtà tra gli scheletri industriali del distretto produttivo di Kolkata e dintorni.
Il Sud del paese, da sempre contraddistintosi per essere impermeabile all’avanzata della destra hindu-nazionalista, è rimasto avamposto delle forze progressiste, dove Congresso e forze partitiche regionali hanno relegato il BJP a 29 seggi, concentrati prevalentemente negli Stati del Karnataka e del Telengana. Gli Stati dell’area sono governati prevalentemente dalle opposizioni anche a causa di fattori etnici, linguistici e culturali, di cui i risultati elettorali sono riflesso. A far sorridere l’esecutivo del BJP ci pensa l’attore Suresh Gopi, primo eletto del partito nel Kerala.
Un Governo di coalizione
A fine conteggio Modi si ritrova col primo partito e una coalizione da consultare per formare il suo terzo Governo. Tra gli alleati a lui essenziali, due ossi duri della politica N. Chandrababu Naidu, leader del Telugu Desam Party, e Nitish Kumar, leader del Janata Dal (United), rispettivamente primi ministri di Andhra Pradesh e Bihar, noti alle cronache per i loro frequenti cambi di schieramento politico. Naidu coi suoi 16 seggi, ha un ruolo di primo rilievo nelle contrattazioni con il BJP e ha intenzione di utilizzarlo per far ottenere allo Stato di cui è a capo il riconoscimento dello statuto speciale, col quale riuscirebbe a ottenere ulteriori finanziamenti dal governo centrale e porterebbe ad attirare imprese nel settore hi-tech grazie alle esenzioni fiscali garantite. Dall’altra parte Kumar ha già messo sul tavolo le proprie richieste di revisione del sistema di reclutamento nell’esercito Agnipath approvato dal governo Modi nel 2022, ha messo in questione la riforma del codice civile e richiesto un registro delle caste. Negli incontri di questi giorni dei membri della coalizione National Democratic Alliance si sono mostrati concordi nel designare Modi come primo ministro per la terza volta consecutiva. La presidentessa della Repubblica Droupadi Murmu ha invitato il leader del BJP a formare il Governo, invitandolo a prestare giuramento il 9 giugno. I 293 seggi ottenuti alle urne saranno messi alla prova del voto parlamentare nei giorni successivi nelle aule del nuovo Parlamento voluto proprio dal leader uscente. Tra i banchi delle opposizioni e nella società tutta si ritorna a respirare, con la nuova consapevolezza che non tutto è perduto.
Tutte le immagini sono di Luca Mangiacotti
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