ITALIA

Verso il G20: «Un’inutile militarizzazione delle piazze e della società»

Ormai siamo a un passo dall’inizio delle mobilitazioni contro il summit e la stretta securitaria è alle stelle. Intervista a Clara Mascia di Flc Cgil Roma e Lazio

Mentre i cosiddetti grandi della Terra s’incontreranno nel quartiere romano dell’Eur in occasione del summit internazionale del G20, negli stessi giorni Roma sarà travolta e attraversata da cortei e iniziative che chiedono maggior giustizia sociale e climatica. Il tutto in un clima di militarizzazione surreale e particolarmente conflittuale: i media parlano, infatti, di tiratori scelti sui tetti, droni ed elicotteri a pattugliare il cielo e oltre cinquemila agenti impiegati.

Ma, oltre questo straordinario sfoggio di forza poliziesca, già da tempo Questura e Prefettura stanno progressivamente riducendo lo spazio per la contestazione pacifica: soltanto poche settimane fa, per esempio, l’Unione sindacale di base denunciava il diniego arrivato dalla Questura riguardo due manifestazioni statiche, mentre anche durante l’estate avevamo assistito a forti limitazioni nei confronti di chi avesse voluto esprimere il proprio dissenso in piazza.

Nella ampia coalizione di movimenti e realtà sociali che parteciperanno al corteo di contestazione al G20 troviamo anche la Federazione lavoratori della conoscenza (Flc), segmento del sindacato confederale che opera nei settori dell’educazione, dell’istruzione, della formazione e della ricerca. Abbiamo intervistato Clara Mascia di Flc Cgil Roma e Lazio per capire i motivi per cui scenderanno in piazza e se, davvero, lo spazio per una legittima contestazione è sotto attacco.

Flc Cgil scenderà in piazza in occasione del G20 romano: quali sono le principali istanze che animano la protesta del sindacato confederale per l’occasione?

«La Flc Cgil ha ritenuto importante partecipare a questo percorso, da una parte perché come sindacato della conoscenza ha sempre interloquito con le esperienze di movimento e, oggi più che mai, è fondamentale farlo con le giovani generazioni ecologiste; dall’altra perché diventa sempre più urgente porre la questione dell’istruzione e della ricerca pubblica al centro dell’uscita dalla pandemia e della revisione ecologica di cosa e come produrre.

Inoltre, fin dall’inizio abbiamo evidenziato le criticità del Piano nazionale di ripresa e resilienza, soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo delle risorse e una certa impostazione neoliberista che trapela dalle sue righe. Sulla scuola, dove invece si dovrebbe portare l’obbligo a 18 anni e rendere obbligatoria la scuola dell’infanzia: non basta, infatti, avere spazi adeguati (su cui ci sono risorse), bisogna anche aumentare gli organici e modificare dunque una politica del personale che oggi accompagna al crollo demografico la riduzione del numero delle persone che nella scuola operano.

Sull’università e la ricerca, dove si rischia di concentrare le risorse al di fuori dei perimetri degli atenei pubblici e degli enti di ricerca pubblici (quindi nelle fondazioni e nei tecnopoli), non si interviene su squilibri e sperequazioni e si gonfia un nuovo precariato (assegni e ricercatori a tempo determinato di tipo A). Occorre in questo momento fare uno scatto anche nella qualità del lavoro. Per questo la Flc sarà presente con un proprio striscione Knowledge and Work for Future».

Foto di Shealah Craighead da Flickr

Riguardo il G20, molte associazioni hanno lamentato una decisa stretta rispetto il diritto a manifestare. Qual è la vostra esperienza in merito? Avete riscontrato difficoltà simili nel chiedere le piazze?

«La Cgil e gli altri sindacati confederali, con la grande manifestazione del 16 ottobre, un’iniziativa sindacale e di popolo, hanno dimostrato l’importanza di dare una risposta di massa e di piazza a questa stagione, all’assalto di corso Italia del 9 ottobre, come più in generale agli sbandamenti e alle pulsioni reazionarie che emergono da più parti in queste settimane. Anche per questo abbiamo ritenuto importante che, in occasione del G20, ci fosse a Roma una manifestazione, il più possibile partecipata e significativa, in grado di raccogliere anche il grande protagonismo mostrato nelle scorse settimane dai giovani (a Milano per la Precop26, per esempio) e dalle istanze sociali e del lavoro (Firenze e la mobilitazione di lavoratori e lavoratrici Gkn).

In questa occasione, come di fronte ad altri appuntamenti internazionali, circolano inutili e fastidiosi allarmismi, gonfiati da chi ritiene queste dimostrazioni “scomode”, spesso volti a minimizzarle e a squalificarle, come anche a creare un’inutile clima di militarizzazione sociale e delle piazze.

Operazioni che si ripetono anche oggi su alcuni giornali, a cui si aggiunge la tentazione di alcuni a produrre presunti contrappesi rispetto alle ripetute aggressioni alla stessa Cgil, come abbiamo visto proprio lo scorso sabato a Milano. Come organizzazione sindacale, riteniamo che la risposta più sensata, intelligente e matura sia proprio quella che hanno dato i giovani di Fridays For Future e delle altre associazioni studentesche protagoniste di queste settimane: hanno voluto con forza questo corteo e lo hanno al contempo voluto in un clima pacifico ma determinato, senza forzare dispositivi e indicazioni della Autorità di pubblica sicurezza, anche quando senza motivazione alcune di queste avvertenze sembrano proprio accompagnare questi allarmismi».

Una certa riluttanza a concedere le piazze alle istanze sociali è ormai un refrain consolidato in questi tempi pandemici, nonostante l’attenuarsi dell’emergenza sanitaria e le ormai definitive riaperture. Vi sembra ci sia una tensione maggiormente autoritaria nella gestione dell’ordine pubblico che si basa anche sulla strumentalizzazione dell’emergenza sanitaria?

«La pandemia e l’emergenza sanitaria hanno richiesto un atto di responsabilità di tutti e tutte nei confronti della collettività e quindi necessariamente anche il bisogno di ricalibrare e rivedere le forme delle proteste e delle manifestazioni. Come abbiamo ripetuto più volte, anche nel corso dei lockdown, i diritti sociali e i diritti sindacali non vanno comunque in quarantena. Per questo abbiamo cercato di far vivere sempre, nei posti di lavoro e nelle piazze, la voce degli interessi sociali nel dibattito pubblico.

Non abbiamo avuto remore a convocare uno sciopero generale, con le altre organizzazioni sindacali della scuola, nella primavera del 2020, come abbiamo ritenuto importante proprio in queste settimane tornare a fare assemblee sindacali online, ma anche in presenza nelle scuole e nelle università di questo paese. Non ci sembra che siamo stati gli unici: al di là delle dinamiche di queste settimane, dagli scioperi del marzo 2020 alle tante manifestazioni di quest’ultimo anno, le forze sindacali e sociali hanno mostrato la capacità di dare comunque, quando ritenuto necessario, una risposta collettiva e di massa.

Certo, abbiamo visto qua e là alzarsi tentazioni di sterilizzazione e controllo delle diverse istanze sociali, ipotesi di utilizzare la necessità del contingentamento o il divieto di assembramenti per limitare manifestazioni e proteste. Nel complesso, però, proprio negli ultimi mesi, ci sembra che queste tentazioni alla fine siano state contenute proprio da una progressiva riconquista delle piazze e da una partecipazione di massa a queste piazze».

Immagine dall’archivio di Dinamopress

In tutto questo discorso, bisogna però evidenziare la differenza di approccio rispetto la gestione delle piazze contro il Green Pass. Se a Trieste, la ministra Lamorgese è intervenuta in maniera decisamente dura, a Roma durante la manifestazione del 9 ottobre, le organizzazioni neo-fasciste sono state lasciate libere di guidare le frange più violente dei manifestanti contro la sede romana della Cgil.

«Il 9 ottobre si è sicuramente sottovalutato il ruolo che le organizzazioni neo-fasciste stavano assumendo nelle piazze. Cosa che in realtà era alla luce del sole, perché abbiamo visto alla testa di quel corteo volti noti a tutti e di cui si conosceva la provenienza politica e organizzativa.

In realtà è vero anche che il problema ha radici più profonde: l’aver concesso legittimità e aver dato la possibilità di prendere parola in generale a organizzazioni di stampo neo-fascista. Infatti, fin da subito abbiamo chiesto il loro scioglimento. Sulle scelte e le responsabilità specifiche di quella gestione di piazza, non tocca certo a noi della Flc una valutazione: è evidente che qualcosa non ha funzionato, ma il problema principale rimane comunque quello politico, quello del contenimento e della risposta a tentativi reazionari che, come abbiamo visto, possono sempre rialzare la testa.

Un contesto difficile, segnato da un disagio sociale evidente, che in ogni caso ci interroga come organizzazioni sindacali. Il nostro compito, appunto, è quello di dare una risposta a questo disagio, dando espressione e rappresentanza agli interessi del lavoro, in una forma democratica e partecipativa. Come abbiamo detto, questa è stata sin dall’inizio della pandemia la direzione che abbiamo voluto tenere. Consapevoli dei rischi che implica ogni stato d’eccezione, della necessità della sicurezza sanitaria, della responsabilità che gravava anche su di noi a tener fermi entrambi questi aspetti, essendo una grande organizzazione sindacale di questo paese».

Immagine di copertina dall’archivio di Dinamopress