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ITALIA

Verso il 29 novembre: uno sciopero che rompe gli schemi. Intervista a Tiziano Trobia, attivista CLAP

Il 29 novembre è organizzato uno sciopero generale che sfida le politiche del governo Meloni, tra precarizzazione del lavoro, attacco al welfare e criminalizzazione del conflitto. Superando i limiti delle liturgie tradizionali, lo sciopero mira a unire categorie, movimenti e lotte trasversali – dal lavoro alla giustizia climatica, passando per il transfemminismo. Tiziano Trobia delle CLAP racconta la genesi e l’ambizione di questa mobilitazione: non solo resistere, ma ridefinire il presente e il futuro collettivo

Il 29 novembre non sarà un’altra data nello stanco calendario delle mobilitazioni: è un appuntamento decisivo per sfidare l’offensiva senza precedenti portata avanti dal Governo Meloni. Il terreno di battaglia è chiaro: la legge di bilancio, le proposte normative che precarizzano ulteriormente il lavoro e criminalizzano il conflitto sociale, le riforme costituzionali che rischiano di chiudere ulteriormente l’agibilità della democrazia.

A lanciare questa sfida è un appello ambizioso, che nasce dalla consapevolezza che nessuna lotta, da sola, può fare la differenza. L’obiettivo è costruire uno sciopero generale che abbia davvero queste caratteristiche: capace di superare i confini tra lavoro e non lavoro, produzione e riproduzione, giustizia sociale e ambientale. Un’esperienza di sciopero sociale e unitario in cui risuona anche l’eredità dei movimenti francesi, in grado di ridefinire non solo le politiche, ma anche l’immaginario collettivo del paese.

Dietro questa mobilitazione non c’è solo la volontà di fermare una serie di provvedimenti ingiusti, ma il desiderio di creare un inedito spazio di convergenza. In un panorama segnato dal caos – economico, sociale e politico – e dalla guerra sistemica, questo sciopero vuole essere una risposta nuova e radicale, un momento per rompere l’isolamento delle lotte e sperimentare un’ipotesi di via d’uscita.

Il percorso verso il 29 novembre si intreccia con due dense settimane di mobilitazioni: dallə studentə al movimento transfemminista passando per le mobilitazioni ecologiste. È un invito alla tessitura paziente e alle alleanze coraggiose, alla costruzione di una protesta che non sia solo testimonianza, ma uno strumento di trasformazione del presente e del futuro.

Abbiamo parlato dello sciopero sociale e generale del 29 novembre, della sua genealogia e delle sue caratteristiche con Tiziano Trobia, attivista sindacale delle CLAP – Camere del lavoro autonomo e precario.

Partiamo dal contesto generale: come nasce l’idea di uno sciopero generale unitario, organizzato dai sindacati conflittuali il 29 novembre? Quali sono le urgenze che l’hanno ispirato?


L’idea di uno sciopero generale nasce dalla necessità di rispondere a un attacco sistematico contro i diritti sociali e del lavoro. Le misure in discussione, come la legge di bilancio e il collegato lavoro, rappresentano una spinta verso un’ulteriore precarizzazione e la riduzione degli spazi di organizzazione per i lavoratori. In particolare, la legge di bilancio colpirà i settori chiave, inclusi i Ministeri e gli enti locali, e la sua approvazione avrà un impatto devastante. In parallelo, il collegato lavoro, con misure come l’inasprimento delle norme sulla Naspi, riduce ulteriormente le possibilità di protezione per le lavoratrici e i lavoratori.

L’attacco al welfare e la crescente militarizzazione della spesa pubblica mostrano chiaramente dove vanno a finire le risorse: in spese militari, invece che in misure sociali. Di fronte a questo scenario, abbiamo scelto di promuovere uno sciopero che non fosse solo simbolico, ma che si configurasse come uno strumento di lotta collettiva e di convergenza tra diverse realtà. Non volevamo che fosse uno sciopero identitario o di minoranza, ma un momento per provare a unire le forze contro l’offensiva del governo.

Abbiamo costruito lo sciopero insieme alle realtà sindacali con le quali siamo in rete da tempo: ADL Cobas, SIAL Cobas e Cobas. Al corteo organizzato a Roma parteciperanno anche CUB e SGB. Per noi è interessante l’incontro tra piattaforme differenti intorno allo stesso desiderio: superare la frammentazione e aprire spazi non minoritari

Lo sciopero arriva all’interno di una congiuntura globale di guerra: che relazione c’è tra il caos sistemico globale, la guerra e la condizione della forza lavoro?


La guerra è un elemento centrale nel contesto globale a cominciare dalla dimensione economica: sposta enormi risorse verso il riarmo, a discapito dei servizi pubblici e del welfare. L’allocazione di ingenti somme per le spese militari avviene mentre molte misure sociali sono sacrificate, con tagli che colpiscono direttamente i lavoratori e le lavoratrici.

In Italia, la politica del governo sta incrementando il gap tra ricchi e poveri, mentre le risorse vengono dirottate verso la guerra e le spese per gli armamenti, senza alcun investimento significativo nel welfare. In questo quadro, ci troviamo di fronte a un tentativo di disciplinare le forme di vita, in cui le persone non devono protestare, ma concentrarsi sulla difesa contro un nemico esterno. Questo regime di guerra globale nega i diritti e i miglioramenti delle condizioni di vita, imponendo un clima di rassegnazione, dove la sicurezza e il controllo diventano priorità, mentre le lotte sociali vengono criminalizzate. È una realtà che, se lasciata andare avanti, condurrà a un futuro sempre più precario e segnato da disuguaglianze.

Su molti media, chi sciopera è descritto come folle o irresponsabile. Al contrario, secondo noi è irresponsabile rimanere immobili di fronte a delle scelte che sono un’ipoteca sul futuro di milioni di lavoratori e lavoratrici, più o meno precari e precarie.

Nella convocazione si sottolinea la necessità di uno sciopero “sociale”: cosa significa e come è possibile costruire lo sciopero con chi è al di fuori dei contesti lavorativi tradizionali?


È per noi una domanda aperta: CLAP nasce anche intorno a questo quesito. Lo sciopero sociale è un tentativo di superare i confini tradizionali del lavoro salariato. È un tentativo per organizzarsi sindacalmente anche al di là dei tradizionali settori di lavoro, come i precari e le precarie, le donne nel lavoro di cura non retribuito, i e le le migranti. Costruirlo significa dar voce a chi è generalmente escluso dalle mobilitazioni tradizionali. Non è una sfida facile, ed è per questo che il nostro sciopero rappresenta una tappa di un processo più ampio che deve anche essere un laboratorio di sperimentazione. L’idea è costruire un’infrastruttura di solidarietà che permetta a chi non ha accesso a strumenti sindacali convenzionali di partecipare e far sentire la propria voce.

La difficoltà sta nel fatto che molte persone sono in condizioni di grande precarietà, dove scioperare può essere rischioso o addirittura impossibile, come nel caso di lavoratori autonomi (o con contratti a termine questo lo leverei perchè non è impossibile, solo molto difficile), ma anche in settori come quello dello spettacolo, dove per alcuni lavoratori non è semplice comprendere quando ci si possa astenere dal lavoro.

Quindi lo sciopero sociale vuol dire aggiornare lo strumento dello sciopero alla luce delle nuove forme di lavoro, creando un’azione che possa abbracciare anche i settori più vulnerabili. Abbiamo la necessità di inventare e ibridare lo strumento dello sciopero a 360 gradi, ripartendo dai contesti in cui l’arma dello sciopero è più spuntata.

È uno strumento da mettere a disposizione di quei movimenti sociali e per quelle lotte che nei loro percorsi incrociano in continuazione alle questioni del salario e del lavoro, del lavoro produttivo e riproduttivo. Penso al movimento transfemminista, all’indispensabile collegamento fra la transizione, la giustizia climatica e le tematiche del lavoro, al protagonismo di chi lavora dentro questi processi. Per noi lo sciopero può essere anche un’occasione per tutte queste realtà perché, come abbiamo detto, la convergenza non si fa con l’unità delle sigle, delle realtà, dei collettivi, ma si fa sui temi e sulla capacità di costruire proposte che intrecciano tutti questi ambiti e tutte queste battaglie.

Fate riferimento ai «dispositivi normativi del Governo”»che mirano a «demolire la vita comune»: quali sono, secondo voi, i rischi più rilevanti nell’azione del Governo?

In aggiunta ai temi già trattati, è indispensabile soffermarsi sul disegno di legge in tema di sicurezza, che va a colpire soprattutto le esperienze di lotta sindacale più efficaci sindacali degli ultimi anni. Penso ai picchetti della logistica o a chiunque perderà il lavoro e si mobiliterà per protestare bloccando una strada.

La sensazione è che si vada anche verso scelte politiche che determinano segmentazione e razzializzazione del welfare. Il messaggio del governo è chiaro: «siamo in guerra, le poche risorse che ci sono, le dividiamo a seconda della cittadinanza, della lingua, del sangue e del colore». Questo impianto che merita un’opposizione complessiva.

Questo tipo di retorica rischia di alimentare divisioni e disuguaglianze tra le persone, creando categorie di “privilegiati” e “non privilegiati”, in un contesto in cui le risorse vengono dirette esclusivamente verso le spese militari.

Nel testo di convocazione emerge un certo scetticismo verso gli scioperi generali “rituali”: cosa rende questa mobilitazione diversa nel merito, nel metodo e nel percorso di lancio?

La differenza fondamentale è che questo sciopero non è solo una risposta alla situazione attuale, ma è anche un tentativo di costruire qualcosa di più ampio e di prospettiva. Il percorso che abbiamo intrapreso con altre realtà sindacali è diverso da quello tradizionale, che spesso lancia scioperi in maniera rituale, senza investire davvero sui luoghi di lavoro, senza creare un legame forte con i lavoratori e le lavoratrici. Noi stiamo cercando di dare continuità alla mobilitazione, non come un evento isolato, ma come una parte di un percorso che parte dalla base, dal confronto e dal dialogo con chi sta realmente vivendo le difficoltà quotidiane nel mondo del lavoro. È questo il metodo che ci permette di costruire uno sciopero che non sia solo formale, ma che abbia un impatto concreto, unendo lotte diverse e puntando su temi che sono trasversali a tutte le categorie. Vogliamo andare oltre la ritualità degli scioperi, anche di quelli del sindacalismo di base: cogliamo una finestra di opportunità, che va attraversata con coraggio. Più che sulla quantità degli scioperi, puntiamo sulla qualità del percorso. Dobbiamo superare l’inefficacia di questo mondo – anche la nostra – e mettere in moto le energie migliori.

La frammentazione è una delle critiche principali nel testo della convocazione: come intendete superare le divisioni tra categorie, sindacati e movimenti?


Superare la frammentazione è un obiettivo cruciale per la riuscita di questo sciopero. La divisione tra le categorie e i movimenti esiste, ma non è un destino immutabile. La sfida è creare una mobilitazione che non si fermi alla somma di singoli settori o lotte, ma che miri a unire queste realtà, a partire dalle loro specificità. La frammentazione non è solo una questione di sigle sindacali, ma anche di attitudine: bisogna superare la litigiosità che spesso caratterizza il mondo sindacale. La divisione tra le sigle, così come la separazione tra i vari settori, limita la capacità di costruire mobilitazioni. Per questo, l’unità si deve costruire non solo a livello sindacale, ma anche sui temi comuni, come la giustizia sociale e il contrasto alla precarizzazione. Superare le divisioni significa imparare a lavorare insieme, mettendo al centro i temi che riguardano tutti, senza restare prigionieri delle rivalità storiche.

Che tipo di relazione intercorre tra la convocazione dello sciopero generale a cura di CGIL e UIL e quella dei sindacati conflittuali come CLAP?


La differenza sostanziale non bisogna cercarla soltanto nella proclamazione di scioperi o mobilitazioni, ma da un approccio quotidiano totalmente differente dal nostro, da scelte che spesso purtroppo risultano dannose nelle battaglie che portiamo avanti nei posti di lavoro e da una debolezza nell’opporsi al susseguirsi di norme che hanno devastato i rapporti di forza all’interno del mondo del lavoro.  Quello che ci interessa non è convocare uno sciopero per richiedere un posticino  nella contrattazione delle poche briciole a disposizione ma creare un percorso più inclusivo e radicale. La nostra convocazione non nasce solo dalla necessità di fermare la politica economica del governo, ma da un desiderio di costruire un movimento che sfidi le politiche in modo concreto e strutturato. La nostra proposta è quella di unire i vari movimenti sociali e le categorie più colpite dalla precarizzazione, affinché lo sciopero non sia solo una giornata di protesta, ma una vera e propria occasione di mobilitazione e di cambiamento. Nei luoghi di lavoro ci capita di incrociare l’inimicizia dei sindacati confederali, che ci percepiscono come competitor.

In quali comparti produttivi in particolare immaginate ci potrà essere adesione diffusa allo sciopero?


La partecipazione allo sciopero dipende da molte variabili, tra cui la capacità di coinvolgere i settori più precari e vulnerabili. Ci aspettiamo una forte adesione in comparti come la logistica, il terzo settore, l’istruzione e i servizi, dove la precarietà è maggiore e le condizioni di lavoro sono sempre più difficili..

Tuttavia, il nostro obiettivo è che lo sciopero diventi un punto di riferimento anche per quei settori che non sono tradizionalmente coinvolti nelle mobilitazioni sindacali, come il lavoro precario o i lavoratori autonomi. La difficoltà sta nel fatto che in questi settori è più complicato organizzare forme di resistenza diretta, ma siamo fiduciosi che la rete di solidarietà che stiamo costruendo possa rafforzare la partecipazione. In ogni caso, in alcuni settori non è possibile valutare lo sciopero con la mera astensione dal lavoro.

Quali iniziative sono previste il 29 novembre?


Il 29 novembre sarà una giornata di mobilitazione che vedrà diverse iniziative in tutta Italia. A Roma, abbiamo organizzato un corteo che partirà alle 9:30 da Piazza Indipendenza e si concluderà a Piazza Barberini, passando vicino ai ministeri del Lavoro e dell’Economia e Finanze. Questo percorso è stato scelto perché ci permette di passare davanti ai palazzi del potere, facendo arrivare simbolicamente le nostre richieste direttamente lì dove si prendono le decisioni. Inoltre, ci saranno altre iniziative di settore, con particolare attenzione ai lavoratori e lavoratrici precari e precarie nel mondo accademico, nel settore dello spettacolo e ai movimenti sociali che si oppongono alle politiche del governo. Le iniziative non si limiteranno al corteo: ci saranno azioni simboliche, momenti di sensibilizzazione e iniziative sul tema della guerra, del genocidio in Palestina e delle spese militari, che sono al centro del nostro dibattito. La giornata vuole essere un’occasione per riunire diverse realtà che combattono contro lo stesso sistema di sfruttamento.

Lo sciopero del 29 novembre si inserisce in un calendario di mobilitazioni che parte dallə studentə e arriva a Non Una Di Meno, passando per i movimenti ecologisti: come si intrecciano questi percorsi con il vostro?

Il nostro sciopero si inserisce in un quadro di mobilitazioni ampio, che comprende movimenti studenteschi, il movimento transfemminista e i movimenti ecologisti. La connessione tra questi percorsi è naturale, poiché le questioni che trattiamo sono tutte legate dalle stesse dinamiche di sfruttamento: il lavoro precario, la giustizia sociale, la difesa dei diritti delle donne e l’emergenza climatica. L’obiettivo è che il 29 novembre non sia solo uno sciopero generale, ma una vera e propria occasione di convergenza tra queste lotte, per unire i temi del lavoro con quelli della giustizia sociale, ambientale e di genere. Questo sciopero vuole essere un punto di partenza per costruire alleanze più forti e per allargare la partecipazione a tutte quelle realtà che sono oggi marginalizzate dalle politiche governative. Ad esempio, è indispensabile riprendere la discussione pubblica sul reddito incondizionato.

Guardando all’estero, ad esempio in Francia, si fa riferimento a scioperi capaci di cambiare l’immaginario collettivo: quali lezioni possiamo trarre da quelle esperienze, dal punto di vista dello sciopero?


Le esperienze di sciopero in Francia, come quelli contro la riforma delle pensioni, ci insegnano molto. In Francia, lo sciopero è visto come uno strumento che va oltre la semplice rivendicazione, ma diventa un mezzo per mobilitare una parte significativa della società, rendendo visibili le contraddizioni sistemiche. Non esistono modelli immediatamente riproducibili, ma è un esempio che può essere di stimolo. Il problema del modello francese non è tecnico, è politico: in Francia i sindacati conflittuali si mobilitano all’interno degli scioperi organizzati dalla CGT, provando a estendere e radicalizzare le mobilitazioni.

Quello che possiamo imparare è che lo sciopero deve essere un momento di massima visibilità, ma anche di radicalizzazione delle lotte. Non basta scendere in piazza: è necessario creare un movimento che sia in grado di sfidare il sistema a lungo termine, con una continua mobilitazione e un’attenzione costante. La sfida sta nel riuscire a generalizzare le tematiche delle mobilitazioni, includendo in esse anche temi come la giustizia climatica e i diritti delle donne.

Infine, guardando oltre il 29 novembre: quali scenari immaginate dopo lo sciopero sociale e conflittuale?


Guardando oltre il 29 novembre, l’obiettivo è che questa mobilitazione non sia un punto di arrivo, ma un momento di avvio per un lungo percorso. Vorremmo continuare a sviluppare il dibattito sullo sciopero, esplorando nuove forme e modalità organizzative. È importante che questo sciopero diventi una finestra aperta, attraverso cui continuare a fare pressione sul governo, ma anche a costruire una base sociale più ampia per future mobilitazioni. Inoltre, vogliamo lavorare per costruire una rete di solidarietà che permetta di portare avanti le lotte nei posti di lavoro. Un altro passo fondamentale sarà organizzare momenti di riflessione collettiva, nell’ambito della assemblea metropolitana di Roma, per discutere le prospettive delle lotte e le modalità per ampliare la partecipazione. Il nostro obiettivo è quello di dare vita a un movimento che sia in grado di rispondere alle sfide future, senza rimanere passivo di fronte alle scelte del governo.

Immagine di copertina: Clap – Camere del Lavoro Autonomo e Precario su Facebook

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