ITALIA

Verona, «un po’ di glitter vi seppellirà»

Cronaca dalla piazza di Non Una Di Meno: voci, suoni e colori del futuro che avanza

«C’è una gioia enorme in questa piazza, una grande allegria – dice Martina, nata a Lecce ma residente a Verona – Si sente che tante persone avevano il desiderio di partecipare. Questa è una città chiusa, con tanti retaggi conservatori che hanno un impatto forte sulla vita politica. Non ci sono mai manifestazioni del genere. Stavolta è incredibile».

Al concentramento le persone arrivano a ondate. Da Roma e Torino sono partiti dieci pullman. Sette da Napoli e Bologna. Cinque da Milano. E poi da Alessandria, Fano, Firenze, Genova, Lucca, Modena, Pavia, Piacenza, Pisa, Ravenna, Reggio Emilia, Rimini, Siena e Trieste. Ci sono treni da Bergamo, Brescia, Lucca, Mantova, Milano, Padova, Treviso e Venezia. Le macchine hanno attraversato la penisola in tutte le direzioni, partendo anche dai centri più piccoli.

A nord del piazzale si trova una chiesa, a sud la stazione. In mezzo si agita una folla colorata e festosa. Il fuxia è ovunque: nei pañuelos appesi ai colli, alle braccia e agli zaini; su capelli e parrucche; sulle labbra di uomini e donne; sopra cartelli e striscioni; sotto le magliette e dentro i reggiseni.

@vittorio_giannitelli

«Vogliamo più diritti per poterci fare una famiglia, vogliamo che nessuno ci consideri più ‘figli di Satana’», dice Nicole. Poi per un attimo scoppia a piangere. Ha poco più di 20 anni, è di Verona e nella mano stringe quella della fidanzata. «Dentro a quel congresso ci sono individui che pensano che l’omosessualità sia una deviazione mentale. Invece è solo amore tra due persone. Ciò che conta è che chi hai accanto ti faccia stare bene, non di quale sesso è».

Testa, cuore e pancia del corteo sono donna. Ma in piazza ci sono anche tantissimi uomini e soggettività non binarie, di tutti gli orientamenti sessuali. «Stiamo manifestando per un mucchio di motivi. Per i diritti che già abbiamo e per quelli che vogliamo ottenere. Per i diritti che devono essere estesi anche ad altri e per quelli che ancora dobbiamo immaginare. E poi siamo qui contro quel mucchio di stronzi rinchiusi là dentro». Con il dito Andrea, 38 anni di Torino, indica il luogo in cui si sta svolgendo il XIII World Congress of Families. Continua a camminare in quella direzione, trascinato dal flusso di gente: «L’accozzaglia è veramente impressionante. Dagli ipocriti nostrani, come il vicepremier Salvini che ha due figli con due donne diverse con cui non è sposato, a Giorgia Meloni, anche lei madre more uxorio, fino a una sfilza di preti e presidenti di stati retrogradi come non se ne vedeva da tempo».

@daniele_napolitano

Il sole primaverile riscalda e rende più belli i corpi che marciano vicini, sfiorandosi, accarezzandosi, abbracciandosi. La musica che viene dal camion segna il ritmo dei passi e delle braccia sollevate al cielo. I cori danno la carica e sono accompagnati dal battito delle mani.

La skyline del corteo riflette la varia umanità che scorre sotto: scopini colorati, matriosche, ombrelli arcobaleno, migliaia di cartelli con scritte e disegni. «La famiglia naturale è quella in cui due persone si amano», recita uno. «L’amore è tra persone, non tra sessi», un altro.

In alto spicca una sola bandiera: è viola glitterata. Il movimento femminista Non Una Di Meno – che ha lanciato, organizzato e riempito la mobilitazione – aveva chiesto a partiti e sindacati di non esibire le loro insegne, per evitare che la battaglia delle donne diventasse una vetrina per soggetti che spesso hanno evitato di sostenerla. «O abbassi la bandiera, o è meglio che vai dietro con gli altri. Si è deciso così», spiega una ragazza con una fascia fuxia in testa e un’altra color oro al braccio. Ce l’ha con un attempato militante di un partito di sinistra. «Hai ragione, la abbasso subito», risponde quello. Bandiere di partito ne hanno portate i Verdi, i Radicali Italiani e la Cgil. Spariscono in fondo a un corteo troppo lungo. Secondo google maps la coda dista più di un chilometro dalla testa.

@gianluca_rizzello

«Siamo venuti a dimostrare che anche le famiglie come la nostra stanno in questa piazza e non in quel congresso», dice Stefania. È di Verona, accanto ha il marito e davanti un passeggino con due gemelli. «Ognuno deve avere il diritto di vivere la propria vita come preferisce, come lo rende felice», continua la donna. Vicino a lei passa Mirella: «Non pensavo che a 70 anni sarei dovuta tornare in piazza per difendere vittorie strappate tre decenni fa. È importante esserci oggi, anche se credo che il convegno sia meno grave di quello che sembra: sono meno di quanto credono».

Visto da questo caleidoscopio di colori, suoni e profumi, il congresso della famiglia in cui si alternano uomini in completi grigi o abiti talari neri sembra l’unica cosa innaturale della giornata. Nonostante riunisca un potente think tank di quella reazione globale che lega Trump a Bolsonaro, Salvini a Orbán e Putin, gli ultrà ortodossi agli estremisti cattolici, nuovi e vecchi fascisti, il Wcf ha l’odore di un rigurgito del passato. Il futuro qui a Verona scorre per le strade. «Dall’altro lato? Non conosco nessuno, non voglio parlare con nessuno, né sentire nessuno. Non li vedo proprio», dice Stefania continuando a spingere il doppio passeggino. «Oggi quello che conta è annusarci in questa piazza, riconoscerci, sapere che c’è tanta gente come noi – esclama Andrea – A volte capita di andare per il mondo e sentirsi un alieno. Chiedersi perché nessuno ti capisce. Invece qui lo sai, lo senti che ci si comprende. E ci si vuole bene».

@gaia_di_gioacchino