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Venezia 4/ La seconda settimana del concorso e i premi
Si è chiusa la 76ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia con i premi principali a “Joker” di Todd Phillips e “J’Accuse” di Roman Polański. Ma la seconda settimana del concorso è stata nettamente sottotono rispetto alla prima. Con l’eccezione di “Babyteeth” della regista australiana Shannon Murphy e di “Martin Eden” di Pietro Marcello
Dopo l’ultimo atto, quello più inutile eppure da molti il più atteso, la premiazione, superata in quanto a sterilità solo dalle immancabili polemiche che le fanno seguito, si spengono i riflettori su Venezia 76. Sembrerebbe ovvio ricordare che l’oggettività è un elemento impossibile da pretendere da giurati chiamati a esprimere il verdetto di un concorso artistico, quando poi a formulare i responsi sono addetti ai lavori che di quel mondo fanno parte le logiche si fanno talvolta oscure e imperscrutabili.
Per dovere di cronaca, riportiamo che la giuria ha premiato Joker di Todd Phillips, mentre il secondo premio è andato al J’accuse di Polanski. Come abbiamo già avuto modo di dirvi, il primo è per noi “semplicemente” un buon film, non privo di limiti, il secondo è invece un’opera molto più importante e solida. Fuori dal palmares rimangono alcuni tra i favoriti, Ema, del cileno Pablo Larraìn, e il sorprendente Babyteeth, della regista australiana Shannon Murphy, al suo lungometraggio d’esordio. Un piccolo gioiello, quest’ultimo, da molti erroneamente e colpevolmente scambiato per un semplice teen drama, è invece un testo esemplare e potentissimo sul complessità delle relazioni, sul desiderio e sulla disarmonia affettiva che attraversa i legami familiari. Il film racconta di Milla, ragazzina quindicenne nella cui vita irrompe Moses, ventenne sbandato. Lei è gravemente malata, lui tossicodipendente, provengono entrambi da famiglie borghesi problematiche: la madre di Milla (la bravissima Essie Davis, già vista in The Babadook), per affrontare la malattia della figlia, si riempie di ansiolitici e oppiacei forniti dal marito Henry, psicologo fragile e smarrito. La madre di Moses ha messo il figlio fuori di casa e vive con il fratellino minore Isaac, mentre del padre non si sa nulla. Milla, i suoi genitori e Moses finiranno per creare un surreale nucleo familiare in grado di raggiungere un effimero quanto inspiegabile equilibrio. Con uno stile leggero, fresco e potente, che evita miracolosamente il patetico, e una direzione d’attori superba, la Murphy ha indubbiamente confezionato uno dei film più belli del concorso.
Durante la cerimonia di premiazione, il momento più intenso è stato la premiazione di Luca Marinelli, Coppa Volpi come miglior attore per Martin Eden. Marinelli, infatti, ha dedicato il premio «a coloro che sono in mare a salvare altri esseri umani che fuggono e che ci evitano di fare una figura pessima con il prossimo», suscitando la prevedibile e incommentabile scia di polemiche social.
Va detto che il film di Pietro Marcello tratto da Jack London è stato sicuramente tra i più interessanti della seconda settimana della rassegna. Il regista campano è stato per lo più, fino a oggi, un documentarista originale e raffinato. Con Martin Eden debutta nel racconto finzionale tout court, ma lo fa mantenendo alcuni cardini del suo cinema precedente, in particolare la scelta di attingere da un repertorio di materiali diversi: frammenti di vecchi film, estratti di repertorio e pezzi di documentari si intrecciano alla linea narrativa principale. Marcello, inoltre, apporta due grandi cambiamenti al romanzo americano: sposta la storia dalla baia di San Francisco al golfo di Napoli e soprattutto accosta in modo molto libero elementi provenienti da momenti differenti del Novecento: abiti di inizio secolo indossati da uomini al volante di auto anni ‘70, truppe fasciste e televisori anni ‘50. In pratica, l’ambientazione storica del film è semplicemente “il XX secolo”, dipinto come un unico grande presente. Un bel rischio, ma è la sfida che Marcello, per almeno un’ora e mezza sulle due complessive, vince con più lucidità, riuscendo ad ancorare l’americanissima storia del self made man di Jack London a un “eterno ritorno” tutto italiano, proiettando sullo sfondo delle gesta del protagonista un paese che si trasforma per rimanere drammaticamente com’è sempre stato. È un eroe “contro”, Eden, un introspettivo anti-socialista, anti-fascista, anti-borghese e anti-populista, segnato da un individualismo nietzschano provocatorio e violento: un idealista che si costruisce da solo, che lotta contro il perbenismo e che diventa idolo di quella stessa società che lo disprezzava, ringhiando di rabbia per questo. Luca Marinelli, che ha strameritato il premio che, pare, si è conteso fino all’ultimo con il Joker di Joaquim Phoenix – bloccato però dalla regola non scritta per cui lo stesso film non può aggiudicarsi sia il Leone d’oro sia la Coppa Volpi al suo protagonista – lo interpreta alla grande, anche se, come il film, la sua prova è in qualche modo “asimmetrica”: è come se a un certo punto, dopo un’ora e mezza superlative, il coraggio di Pietro Marcello e la sua ispirazione finiscano di colpo, lasciando il passo improvvisamente a una convenzionalità calligrafica un po’ stucchevole che affossa l’ultima mezzora dell’opera quando il protagonista raggiunge l’apice del successo. Lo stesso Marinelli nel finale si appiattisce su una forma caricaturale che non rende giustizia alla sua bravura e che toglie forza e dinamismo al film. Un film che, sebbene non risulti interamente riuscito rimane un’opera importante per il cinema italiano.
Della seconda settimana, nettamente sottotono rispetto alla prima, salviamo poco altro: The Laundromat, il saggio, didascalico e divertente, di finanza neoliberista di Soderbergh e l’epopea portoghese di A Herdade di Tiago Guedes. Le delusioni sono tante e alcune di queste figurano nel palmares, come il manierato On Endlesness di Roy Anderson o il mediocre Gloria Mundi di Robert Guediguian, del quale è stata premiata la brava protagonista Ariane Ascaride. Decisamente fuori forma anche Olivier Assayas, con lo sgangherato Wasp Network e Ciro Guerra, con Waiting for the Barbarians. Velo pietoso invece su The Painted Bird di Václav Marhoul.
Gli altri due film italiani in concorso hanno ben figurato, in particolare Il sindaco del rione Sanità di Mario Martone, una riuscita riduzione cinematografica del classico di De Filippo che lo stesso regista ha portato in giro per l’Italia nel 2017 con la compagnia teatrale Nest. La mafia non è più quella di una volta di Franco Maresco invece racconta in parallelo due figure: Letizia Battaglia, la fotografa ottantenne che con i suoi scatti ha raccontato le guerre di mafia, definita dal New York Times una delle “undici donne che hanno segnato il nostro tempo”; e Ciccio Mira, già visto in Belluscone, organizzatore di feste di paese e portatore insano della mentalità di Cosa Nostra, con le sue più imprevedibili evoluzioni. Un film che ha il pregio, come ci si aspettava, di far discutere, ma che la consueta foga di Maresco fa incappare in una serie di ambiguità irrisolte per il discorso complessivo, specialmente quelle un po’ forzate che chiamano in causa Mattarella.
Una selezione asimmetrica, quindi, che ha avuto un altro punto di debolezza nelle sezioni cosiddette collaterali, Orizzonti in particolare, non all’altezza di edizioni precedenti. In questa sezione, una menzione particolare la meritano a nostro modo di vedere due film: l’opera prima di Carlo Sironi Sole, un film di un rigore sorprendente per un esordiente, un autore di cui sentiremo certamente parlare, e Atlantis, che si è aggiudicato il premio come miglior film della sezione, che è una sorta di distopico intimista sci-fi ucraino firmato da Valentyn Vasyanovych, film di grande spessore narrativo e visivo che proietta in un futuro prossimo e (quasi) senza speranza gli effetti del conflitto tra Russia e Ucraina. Appuntamento al Lido il 2 Settembre 2020 per l’edizione numero 77. Ora spazio a una stagione di cinema che si preannuncia tra le più ricche degli ultimi anni.