approfondimenti
MONDO
Vantaggi e svantaggi della connessione per i popoli indigeni in Amazzonia
Il problema non sono i vantaggi e gli svantaggi della connessione Internet per i popoli indigenti, ma l’estrattivismo di Starlink di Musk, il cui X è stato appena bloccato in Brasile dalla Corte Suprema Federale
La Terra Indigena Vale do Javari è situata nella parte occidentale dello stato di Amazonas, in Brasile, al confine con il Perù e comprende i comuni di Atalaia do Norte, Benjamin Constant e São Paulo de Olivença. Demarcata nel 2001 è la seconda terra indigena per estensione (la prima è la Terra Indigena Yanomami) occupando 8,5 milioni di ettari in cui – secondo dati del Ministero della Sanità del 2022 – si stima che vivano circa 6.102 persone. Un’area continua ed estesa di foresta amazzonica con alcuni villaggi e piccole città. Oltre ai sette popoli che già mantengono un significativo periodo di contatto ( Matses, Marubo, Matis, Kulina-Pano, Korubo, Kanamari, Tsohom-dyapa) è una delle maggiori concentrazioni al mondo di popoli “isolati”, parenti isolati, come vengono chiamati dai propri indigeni. La definizione di isolamento utilizzata dal governo riguarda il livello di interazione sociale di queste persone con le istituzioni statali. Sono persone che hanno scelto di non avere rapporti permanenti con il resto del Brasile, e del mondo, includendo anche altri popoli della Valle Javari. L’articolo 231 della Costituzione Brasiliana, riconosce «l’organizzazione sociale, gli usi, i costumi, le tradizioni e le differenze culturali dei popoli indigeni, garantendo loro il diritto di mantenere la propria cultura, identità e forme di vita». Garantisce quindi il rispetto della politica di non-contatto, tranne in caso di gravi minacce alla loro vita. Certo è che questa garanzia, di fronte alla violenta esplorazione delle risorse della foresta e alle politiche dei governanti, sta diventando sempre più discutibile.
La Valle do Javari è apparsa alla ribalta della stampa internazionale nel giugno del 2022 quando la morte di Bruno Pereira e Dom Philips era stata l’ennesima prova della criminosità – tuttora impunita – del governo Bolsonaro. Durante la campagna elettorale quello che poi sarebbe diventato presidente, aveva promesso di «prendere per il collo la Funai», Fundação Nacional do Índio ora, grande rivendicazione del movimento indigena, rinominata Fundação Nacional dos Povos Indígenas. A luglio del 2019 l’elezione di Marcelo Xavier – persona contraria ai diritti dei popoli indigeni – come presidente dell’organo, con significativa approvazione del Fronte parlamentare per l’agricoltura (APP) e dell’allora ministro dell’ambiente Ricardo Sales marchettaro del settore dell’agroindustria e proprietari terrieri, aveva perfezionato il piano. Era stato poi Sérgio Moro, nel 2019, a firmare l’espulsione di Bruno Pereira dalla FUNAI – semplicemente perché stava facendo il suo lavoro di prevenire la pulizia etnica promossa dal governo brasiliano. Disgustose erano state le insinuazioni sulla negligenza dei due attivisti da parte del governo. Bolsonaro aveva dichiarato che «Philips infastidiva molte persone in Amazzonia così come in Brasile e doveva stare più attento», mentre Xavier aveva aggiunto che «le persone scomparse non erano state autorizzate a viaggiare in territori in mano al narcotraffico». Come nel caso Marielle, esistono evidenze delle orchestrazioni necessarie per facilitare queste morti.
Esattamente due anni dopo i drammatici fatti la Valle do Javarí è di nuovo al centro dell’attenzione internazionale. Questa volta gli eventi sono meno drammatici ma hanno causato problemi interni alla comunità. Un articolo apparso sul “New York Times” ha scatenato un’onda di giudizio moralista da parte della società bianca sull’uso inappropriato di internet da parte “degli indigeni”. Le reazioni sono state tale che Jack Nicas, il giornalista del NYT, ha dovuto scrivere una risposta in cui smentiva i contenuti che stavano circolando – e che comunque dovrebbero e potrebbero essere letti come un allarme di una situazione complessa che si sta diffondendo a macchia d’olio dentro la foresta amazzonica. L’articolo denunciava come il diffondersi di internet non solo distragga i giovani dalle loro attività tradizionali, ma li spinga a un consumo incontrollato di contenuti pornografici. L’abuso è tale da cambiare oltre alle loro forme di vita tradizionali anche quelle inerenti le relazioni intime. La cultura Marubo disapprova persino il bacio in pubblico. Nell’articolo non mancano referenze antropologiche esotizzanti, riflesso di un certo romanticismo che raramente i non indigeni riescono a superare: «le persone del popolo Marubo parlano la loro lingua, consumano l’ayahuasca per connettersi con gli spiriti della foresta e intrappolano le scimmie ragno per preparare la zuppa o tenerle come animali domestici». Sembra quasi l’immagine delle fiabe per bambini, dove la maga, o strega, secondo l’enfasi che si vuole dare al racconto, è intenta a preparare pozioni magiche. L’articolo ha spinto lo stesso promotore del movimento – Enoque Marubo – che in Instagram alcuni giorni prima commentava orgoglioso che il NYT parlasse della loro esperienza – a pubblicare un post in cui dichiara che l’Associazione Kapyvanaway dell’etnia Marubo, di cui è presidente, «ripudia il contenuto dell’articolo». Enoque che ha portato l’antenna Starlink a entrare nella comunità, non è la sola voce a rispondere all’articolo. Alfredo Marubo, un altro leader indigeno intervistato dal NYT ha affermato che »i titoli fuorvianti hanno il potenziale di generare un’esposizione irreversibile delle persone finendo per esporle a una errata interpretazione della realtà».
L’uso incontrollato di Internet è problematico, ma non è di certo l’unico problema
Tra i differenti gradi di problematicità allarmante è il quasi totale monopolio stabilito dall’accordo del precedente governo Bolsonaro con il fornitore di internet: Starlink, un servizio Internet via satellite sviluppato dalla società SpaceX di Elon Musk, implementato in Brasile nel febbraio 2022. Se l’impresa ha ottenuto maggiore visibilità recentemente, dopo la donazione di mille kit per assistere l’emergenza dell’alluvione nello stato (regione) del Rio Grande do Sul, in realtà un dato allarmante, commentato quasi esclusivamente da nerd del controllo digitale e da soggetti legati alla realtà della foresta (e a volte neppure quelli perché troppo entusiasmati dalle facilità acquisite nella logistica del lavoro in terre indigene) è che – come ha già fatto nel deserto del Sahara e in disperse isole del pacifico – Starlink/Musk sta invadendo la foresta pluviale più grande del mondo portando il web in uno degli ultimi luoghi offline sulla terra. E catturando tutte le informazioni sensibili che li stanno circolando.
Secondo l’articolo del NYT gli anziani membri della comunità reclamano che «i giovani stanno diventando pigri per causa di internet [..] Imparano i modi dei bianchi». Le società indigene non sono destinate all’immobilismo della purezza originale, come spesso i bianchi vorrebbero. Un numero crescente di registi indigeni, ad esempio, dimostra come l’uso delle immagini in movimento sia sempre più accettato. Certo non è immediato, e neppure semplice, ma le trasformazioni non sono così distanti da quelle della società non indigena. Come anche l’articolo del NYT sottolinea, i Marubo si stanno confrontando con problematiche simili alle nostre. L’attenzione di chi non è stata catturata da questo e da altri meccanismi compulsivi di comunicazione e riduzione esponenziale di contenuto? Massimo Martellini nel suo libro Bassa Risoluzione (ed. Einaudi) non parla certo di società indigene. Di certo, come commentava un ex-missionario dell’Istituto Missionario della Consolata di Boa Vista (Roraima), «sono passati all’aereo (letteralmente perché nella foresta ci si sposta a piedi o in aereo) senza passare per la macchina (visto che “a estrada” – come ci si riferisce alla BR210, progetto di sviluppo della dittatura brasiliana degli anni ’70 • è esistita solo per il tempo necessario a creare una tragedia di morti e poi venire ingoiata di nuovo dalla foresta)». La dipendenza da reti sociali, eccesso di comunicazione, e non ultimo pornografia, questo sembra essere stato il tema che ha riverberato di più in rete: ma non è certamente una novità che internet abbia introdotto nel momento in cui ha raggiunto comunità indigene isolate. Sicuramente le trasformazioni culturali e identitarie per le quali stanno inevitabilmente passando e di cui i commentatori all’articolo si preoccupano molto hanno già pregiudicato tutte le nostre vite. In realtà, alcuni indigeni sembrano più consapevoli dei danni di molti di noi.
Il ruolo di Starlink
Un grave allarme dovrebbe concentrarsi invece sul fatto che Starlink «sia sulla buona strada per generare l’incredibile cifra di 6,6 miliardi di dollari di entrate per il 2024, riscrivendo il futuro di Internet via satellite» e che questo futuro sia nelle mani di Elon Musk, una figura tutt’altro che limpida a cui il mondo sta affidando buona parte delle sue informazioni. Da tempo sostenitore di Bolsonaro, come di molte destre del mondo, condivide con l’amico un gusto peculiare (e un certo delirio) nelle scelta del nome di 3 dei suoi 11 figli (non è segreto il suo approccio eugenetico alla riproduzione): X, X AE, A-XII. Se durante la dittatura la politica nazionalista fortemente contraria alla internazionalizzazione creò il motto dell’allora presidente Castelo Branco “Integrar para não entregar” (Integrare gli indigeni alla società per non consegnare l’Amazzonia agli USA), l’accordo con cui Bolsonaro e Musk hanno permesso l’entrata di Starlink in Brasile, sembra l’opposto: “Connecting the Amazon”, creando l’unione delle peggiori intenzioni. Bolsonaro nel suo mandato non ha mai nascosto l’intenzione di «renderli esseri umani come noi», contemporaneamente aprendo tutti i canali di vendita.
Al momento esistono in Amazzonia 66.000 contratti Starlink attivi, raggiungendo il 93% dei municipi della regione, l’impresa ha una licenza attiva fino al 2027. L’istallazione dell’antenna costa intorno ai 3000 reais (500 euro) e il canone mensile che fornisce accesso illimitato circa 230 reais (40 euro), diversi sono i responsabili per l’acquisto e istallazione delle antenne. Molte sono le associazioni che lavorano in supporto alla causa indigena; il governo federale, ad esempio attraverso la SESAI – la Segreteria di Salute Indigena – e la Força Nacional – un programma composto da polizia militare, vigili del fuoco militari, polizia civile e avvocati che operano previa autorizzazione del Ministero della Giustizia –; la stessa FUNAI; associazioni indigene autonome. Molti sono singoli individui che comprano e istallano la propria antenna, tra questi cercatori d’oro illegali, ma anche persone indigene in cerca di migliori condizioni. Non mancano, come riporta lo stesso articolo, “benefattori“ stranieri, come tale Allyson Reneau, che ha donato l’installazione delle antenne richieste dalla Associazione Kapyvanaway.
I vantaggi della connessione
Come spesso accade relazionandosi con la realtà della questione indigena nulla è bianco e nero. L’introduzione di internet nella foresta, ha portato problemi – fornendo un prezioso strumento nelle mani di organizzazioni criminose (cercatori di oro come trafficanti di droga ed esseri umani), e deve suscitare seri interrogativi etici e legali, ma ha anche aperto nuove possibilità di lavoro, facilitato la logistica in una regione del mondo dove la circolazione di persone e informazioni è estremamente complessa e dove la necessità di stabilire delle reti di aiuto e collaborazione è fondamentale per il monitoraggio delle invasioni illegali dei territori, la cura delle malattie che queste invasioni diffondono tra le popolazioni che vivono queste terre, e la collaborazione tra di loro. È questo il caso, ad esempio, della associazione indigena UNIVAJ, la principale organizzazione dei popoli che vivono nella regione della Vale do Javari. «Ogni popolo ha un’organizzazione. Ad esempio, i Matis hanno la AIMA, i Marubo la Kapyvanaway, i Kanamari l’ Akavaja, e così via. Quindi l’UNIVAJA riunisce tutte queste organizzazioni e ne coordina la comunicazione», spiega Denilson PK Matis della EVU, l’Equipe di Vigilanza della UNIVAJA. Bruno Pereira, l’ambientalista assassinato nel 2022 da pescatori invasori e trafficanti di droga e calunniato dall’ex-governo, era parte della EVU. Bruno ha contribuito alle azioni di ispezione, all’arresto degli invasori e al sequestro delle risorse naturali saccheggiate dalla foresta.
L’esigenza di stabilire una equipe di vigilanza sorge quattro anni fa: «abbiamo notato che in varie riunioni delle organizzazioni indigene della Vale do Javari appariva ripetutamente l’agenda della sorveglianza. I pescatori e cacciatori sono da tempo radicati dentro ai nostri villaggi, dove si crea una convivenza pericolosa […] Abbiamo notato che quando passavano le barche indigene, i pescatori parlavano con loro, come se lì fosse un territorio di libero accesso, ma è terra delimitata [indigena], non è libera, non può entrare chiunque. Così, dopo tante discussioni, abbiamo deciso di creare questo team di monitoraggio del territorio«. Continua Denilson: «i pescatori e cacciatori illegali erano già lì [prima della demarcazione], per questo conoscono molto bene il territorio, sanno dove possono nascondersi».
Se la Terra Indigena do Javari, a differenza della Terra Indigena Yanomami, non è terra di esplorazione mineraria illegale, alcune aree lo stanno diventando, ad esempio São Paulo de Olivença e Jutaí, dove a novembre dello scorso anno un’operazione congiunta della Polizia Federale e Ibama ha smantellato 26 draghe e balsas [zattere usate per il trasporto dei macchinari]. Tra i finanziatori la Ong internazionale Nia Tero che ha donato lance rapide (e care) e l’infrastruttura necessaria alla messa in moto del sistema di vigilanza (tra cui le antenne Starlink). Denilson coordina le operazioni tecniche necessarie della logistica. Installa antenne internet e controlla che tutto funzioni affinché le segnalazioni di allarme funzionino, altri membri dell’équipe si occupano del vero e proprio monitoraggio del territorio. Gruppi di circa 17 uomini prestano vigilanza sulle barche e monitorano le sponde del fiume, in turni di lavoro anche di 30 giorni. Quando a gennaio del 2023 Lula emanò un decreto di emergenza che dava potere alle Forze Armate e ai ministeri governativi per impedire ai cercatori d’oro di operare nel territorio Yanomami, un grande contingente della Força Nacional fu trasferito al nord del Paese.
Dopo sei mesi le forze nazionali hanno lasciato i territori, dopo un anno i principali minatori sono tornati al lavoro indisturbati, protetti dall’impunità dei governi locali. In questo movimento, gli indigeni hanno organizzato l’auto-difesa dei propri territori – un po’ come hanno sempre fatto – ma secondo Jefferson Amaro, coordinatore del Nucleo di Protezione Territoriale delle Popolazioni Indigene Isolate presso il Ministero dei Popoli Indigeni – MPI, «questa difesa deve essere fatta in modo organizzato con un protocollo che tuteli la loro sicurezza». Spesso si tratta di uomini che avevano già collaborato – o tuttora collaborano con le forze nazionali – dirigendo le imbarcazioni, guidandole nella foresta, monitorando, ma «tutto questo deve essere fatto in modo che anche le forze militari nazionali – quando operanti in congiunto – entrino con una certa cautela, ricordando che stanno collaborando con civili e non con militari». Per questo vengono organizzate attività di formazione per garantire che la difesa dei territori sia organizzata in modo più strutturale, non solo attraverso il movimento autonomo indigena.
L’idea è quella di dotare le popolazioni indigene di una preparazione tecnica che ne migliori la capacità di difesa, ma anche mantenga il controllo della situazione senza rischiare di innescare una battaglia mortale tra indigeni e minatori pesantemente armati all’interno della foresta. A fine giugno un gruppo di indigeni ha ucciso un cercatore d’oro ed eventi come questi sono rischiosi, potendo portare a pericolose ritorsioni. Per questo è importante che tale lavoro di monitoraggio e vigilanza sia fatto in collaborazione con gli organi di sicurezza del governo federale. Queste formazioni sono organizzate da associazioni ambientaliste, religiose e in collaborazione con il MPI e la Casa del Governo di Roraima, inaugurata a febbraio del 2024, di competenza diretta della Casa Civil (la Presidenza), il cui compito è quello di espandere le azioni di protezione delle popolazioni indigene nello stato di Roraima e regione Norte, ricordando che, se nel 1975 appena 1% della foresta era stata deforestata e nel 1990 il 6%, nel 2022 la distruzione ha raggiunto il 20%. In 50 anni l’Amazzonia ha perso un territorio pari alla somma della Francia e Germania. A questa distruzione ambientale si aggiungono progetti politici di “integrazione civilizzatrice” che altro non fanno se non decimare persone, popoli e culture.
Una prima versione di questo articolo, in formato ridotto, è stata pubblicata su Il Manifesto
L’immagine di copertina è tratta da Wikimedia Commons
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