ROMA
Valerio Verbano. 40 anni attraverso il ricordo e le lotte
A 40 anni dall’omicidio di Valerio Verbano oggi è attesa una grande mobilitazione a Roma. Pubblichiamo un ricordo di chi lo conosceva che ci invita a praticare una memoria attiva, lontana dalle celebrazioni quanto dalla memorialistica pacificatrice.
Sempre più spesso, ogni volta che parlo di Valerio, mi accorgo che tendo, ma potrei dire tendiamo, a rievocare la sua storia innanzitutto come una “questione privata”: quella di un dolore profondo e non sanabile che mi, che ci ha colpito negli affetti e nei sentimenti più profondi e personali. Molto della mia vita giustifica questo atteggiamento. Il legame di un tempo in primo luogo che, per giovane amicizia che fosse, era stato comunque assai vivo e coinvolgente. Una consuetudine con Carla, determinata e instancabile nella ricerca degli assassini di suo figlio. Sardo, un padre scomparso poco dopo, stroncato dagli eventi. Il passare degli anni, capaci di temperare la memoria e di costringerla a una maggiore tranquillità, se non addirittura a una rivalsa pacificatrice sugli slanci e sulle passioni “di allora”.
Oggi voglio però respingere questa tentazione: e chiedo a me stessa di prendere la via non semplice di un discorso più generale e in qualche maniera più indicativo. Lo faccio partendo da un dato oggettivo, oserei dire storico. L’uccisione per mano fascista di Valerio Verbano è un episodio tragico, doloroso e drammatico di una vicenda collettiva come quella rappresentata dai movimenti degli anni ’70 e dalla soggettività rivoluzionaria di cui alcuni di noi stati, a vario titolo, partecipi. Oggi pochi hanno nozione dell’estensione del fenomeno e delle sue vere dimensioni: e pochissimi prendono atto dei dati più oggettivi, come quello relativo al numero dei detenuti per reati politici, a quello degli incriminati e degli imputati per le stesse fattispecie criminali, al numero dei titoli di reato, al numero degli anni di detenzione irrogati alla fine dei processi.
A questa “dannazione della memoria” è immediatamente correlata la difficoltà se non l’impossibilità a ragionare in termini critici reali. Nei pochi studi seri sugli anni ’70 si parla di “migliaia” di giovani coinvolti in episodi di manifesta ribellione sociale e di violenza politica se non di lotta armata vera e propria. nei processi: un’espressione che vuol dire molto, ma ancora non spiega tutto. Non sono certo la prima o la sola a pensare che la critica storica dovrebbe guardare con più serenità e maggior consapevolezza all’accaduto di quegli anni, alla rivoluzione che in quel tempo abbiamo cercato di fare, ai temi e ai valori che in essa si agitavano e che resero così significativa, lo dico apertamente e senza che sembri una sciocca vanteria, la nostra esperienza.
Ma senza andare troppo in avanti con questo discorso: ritengo in ogni caso che sia molto importante da un punto di vista politico, appunto, se intorno a questa nuova o rinnovata consapevolezza, in cui il ricordo di Valerio è come dicevo all’inizio sempre presente, si ricostituisse qui un nuovo motivo di volontà comune rappresentato dalla scelta di agire, di lavorare perché quel passato abbia un “futuro”. Diventi, sia pure sommariamente, un punto di partenza per un nostro più determinato impegno nell’agire in termini di antagonismo politico e sociale. Ci siamo spesso detti che oggi la situazione non è molto semplice, che è sempre più incerta e a suo modo sfuggente. È vero, ma è anche vero però che nella realtà di questi giorni, di questi anni, grandi temi e grandi scenari di lotta si sono aperti e allargati, dall’ambiente alle correnti migratorie, dall’intolleranza civile al razzismo e a tutte le forme di disprezzo e di odio vero i diversi e gli “alieni”, accanto ai “soliti” fronti di lotta in tema di giustizia sociale, di affrancamento dal lavoro, di diritti, di libertà della persona, di femminismo. E dunque la via del cambiamento, della trasformazione, e diciamolo pure della sovversione sociale per lunga che sia è sempre aperta davanti a noi.
Non penso che mi rimanga molto da dire. Voglio solo tornare per un attimo a Valerio. Molti hanno detto, anche pochi giorni fa, che i giovani morti in quegli anni “…non devono oggi essere vendicati, scagliati, usati per protrarre l’odio”. Io dico che il suo assassinio per mano fascista, compiuto in maniera efferata e crudele, è ancora rimasto senza giustizia. Come ho scritto anni fa, giustizia che se esistesse, nella sua vastità e grandezza, potrebbe rendere difficili, se non inutili, riconciliazioni e perdono, specie se tali “gesti pubblici” fossero invocati e richiesti allo scopo di cancellare, nascondere, occultare, depistare, confondere le tracce, allontanare dalla verità e distruggerla. Altro non credo sia necessario aggiungere: se non che io questo non lo dimenticherò, e lo dimenticheremo mai, non possiamo e non vogliamo farlo.
Foto di Luca Bonaccorso