ITALIA

«Una parte della nostra economia si fonda sulla violazione sistematica dei diritti umani» intervista a Marco Omizzolo

Ricercatore in sociologia, Omizzolo svolge da anni un’accurata ricerca sulle dinamiche dello sfruttamento nelle campagne dell’Agro Pontino. Lo abbiamo intervistato in vista della prossima manifestazione della CGIL a Latina dopo la morte violenta di Satnam Singh, bracciante agricolo proveniente dall’India

Hai fatto molta ricerca sul campo nell’Agro-Pontino, potresti spiegarci qual è la situazione nei campi?

Ho iniziato a lavorare nell’Agro Pontino nel 2008 quando ho adottato per la mia tesi di dottorato una metodologia di osservazione partecipante, quindi ho abitato con i braccianti indiani per un’anno e mezzo, ventiquattr’ore su ventiquattro, nelle baracche, nei container, nei mini appartamenti, nei vecchi magazzini di edilizia adibiti a luoghi di residenza. Poi per tre mesi ho lavorato come infiltrato nelle aziende agricole, reclutato da caporali indiani per conoscere la condizione materiale dello sfruttamento e infine ho seguito un trafficante di esseri umani in India. Da lì è iniziato un percorso di ricerca, di inchiesta sociale, giornalistica, e azione, che continua ancora oggi. Lavoro su questo fenomeno da oltre quindici anni e ne conosco l’evoluzione e la complessità.

Nel 2008/2010, quando ho cominciato la ricerca, la condizione era di gravissimo sfruttamento e impoverimento. Ho lavorato con braccianti indiani che venivano retribuiti 50 centesimi l’ora per lavorare 14 ore al giorno, obbligati a chiamare padrone il datore di lavoro, a fare tre passi indietro, ad abbassare la testa dinanzi a lui, costretti a subire l’utilizzo di linguaggi razzisti e violenti, con l’obiettivo di produrre la completa subordinazione di queste persone.

Tutto questo mi ha portato – attraverso un’azione che riprende la pedagogia degli oppressi di Freire – a organizzare dei momenti di formazione sui diritti fondamentali e sui diritti del lavoro, fino allo sciopero del 18 aprile 2016, che è stato il più grande sciopero mai organizzato in Italia di braccianti gravemente sfruttati. Arrivarono 5000 braccianti a Latina. Da quel momento le cose sono cambiate né in meglio né in peggio: si sono fatte più complesse. Il sistema di sfruttamento, oggi, si è di fatto professionalizzato grazie all’aiuto di liberi professionisti. Attualmente le retribuzioni variano tra i 4 e i 5 euro l’ora, inferiore del 50% rispetto a quanto previsto dal contratto provinciale del lavoro e dentro questa dimensione si è aggiunta la perversa organizzazione dei Decreti Flussi.

Potresti approfondire come i Decreti Flussi e la legge Bossi-Fini alimentano questo sistema di sfruttamento nelle nostre campagne?

I Decreti Flussi hanno fallito nella loro missione e hanno determinato in Italia, e non solo nell’Agro Pontino, un esercito di manodopera di riserva straniera irregolare che è clandestinizzata sul piano legale civile ed è gravemente sfruttata sul piano lavorativo. Cioè quei Decreti hanno cancellato i diritti fondamentali e nel contempo hanno determinato il grave sfruttamento nei confronti di queste persone. La storia di Satnam è questa.

Dietro questi Decreti c’è una legge la Bossi-Fini che prevede l’arrivo in Italia di uomini e donne inseriti nel quote del Ministero dell’Interno su richiesta diretta dello stesso datore di lavoro. Qui c’è un’anomalia fondamentale: ma come fa l’imprenditore agricolo Mario Rossi che ha tre ettari di terra coltivata nell’Agro Pontino a volere proprio il bracciante indiano o nigeriano residente nel paesino rurale che vive dall’altra parte del mondo?

Questa pone il datore di lavoro in una condizione di vertice, il bracciante riesce ad arrivare solo se ha una relazione con un trafficante, che in accordo con il datore di lavoro, si inserisce nel sistema quote, a fronte di un pagamento di una somma di denaro. Così il lavoratore arriva già con un debito, ma una volta arrivato non è detto che venga assunto, anzi abbiamo molti casi di datori di lavoro che prendono i soldi ma che non assumono. In questo modo chi è arrivato si trova in una condizione di irregolarità e ricatto totale ed è obbligato a lavorare in condizioni di enorme sfruttamento.

Questo sistema si fonda sulla tratta internazionale che è diventata un business criminale, basato sul debito capestro che strozza i e le migranti non solo quando arrivano in Italia, ma già nel momento in cui fanno un metro fuori dell’uscio di casa loro. Quindi i Decreti Flussi alimentano un sistema di sfruttamento, vessatorio e ricattatorio. E tutto questo si sa da molti anni, non solo per le ricerca accademiche, le inchieste giornalistiche, ma anche per un lavoro istituzionale. Lo sanno i prefetti e i ministri dell’interno che si sono succeduti, ma si continua a replicare una logica razzista, discriminatoria, finalizzata a costituire manodopera – e non persone – da sfruttare nelle nostre campagne, nel settore della logistica, tra i rider, in edilizia, nel facchinaggio, nella cantieristica navale. Una grande parte della nostra economia si fonda sulla violazione sistematica dei diritti delle persone: non solo i diritti contrattuali e del lavoro, ma i diritti umani e fondamentali.

Il caporale è, quindi, inserito in un sistema più ampio di sfruttamento?

Il caporale è parte del problema, ma concentrarsi solo sul suo ruolo semplifica il problema ed elude altri tre grandi responsabili: il datore di lavoro, i liberi professionisti che con questo lavorano e la grande distribuzione.

Il sistema di sfruttamento non esisterebbe se non ci fosse un padrone che fa diventare una persona il suo caporale e gli dà il compito di reclutare altre persone nella sua azienda. È  il padrone che decide chi lavora nella sua azienda e come lavora, il caporale traduce gli ordini del padrone, ottiene un vantaggio tramite la sua relazione diretta con esso e ha un ruolo criminale nel determinare lo sfruttamento dei braccianti. Ma il padronato è sopra il caporalato.

Poi ci sono i liberi professionisti, perchè tutte le aziende, compresa quella dei Lovato dell’Agro Pontino, non sono aziende fantasma, hanno commercialisti, avvocati, fiscalisti che fanno busta paghe finte, fanno arrivare i fondi regionali ed europei, sono quell’ingranaggio, spesso invisibile ma necessario, per questo sistema che macina milioni di euro sullo sfruttamento sistematico del lavoro nei campi. 

E poi la grande distribuzione che ha una responsabilità diretta nella strozzatura dei prezzi e nell’opacità della struttura commerciale e distributiva.

Quali sono le richieste che vengono dalle piazze?

La prima è la cancellazione della Bossi-Fini, e della logica che regge i Decreti Flussi, ma anche le logiche che hanno ispirato i Decreti Sicurezza. La seconda è l’istituzione di un permesso di soggiorno per ricerca lavoro per uscire dalla clandestinizzazione del migrante. Oggi il migrante che arriva in Italia diventa clandestino per il sistema di sfruttamento del lavoro, sul quale poi cade la tagliola del diritto penale. Allora, questa industria della clandestinità deve essere bloccata.

Questa classe politica non farà mai queste riforme perché è collusa con il padronato e con le logiche securitarie. Sono loro che hanno prodotto l’esternalizzazione dei confini, stretto gli accordi con la Libia, ora quelli con l’Albania, il Decreto Cutro,il mantenimento della legge Bossi-Fini, fino ad arrivare alla mancata riforma della cittadinanza.

Noi continuiamo ad avere persone che sono arrivate qui da bambine, hanno sempre vissuto qui, sono italiane a tutti gli effetti, ma non hanno il diritto di cittadinanza. Chi arriva qui e fa un percorso deve diventare cittadin-o-a. Ma oggi questo non è possibile, perché vige un sistema classista e razzista. E questo i lavoratori e le lavoratrici lo sanno bene.

Il padrone di Satnam votava, Satnam, che era povero, sfruttato ed emarginato non poteva votare, non era considerato un soggetto politico capace di rivendicare i propri diritti fondamentali. In questa partita è necessario cambiare la legge sulla cittadinanza.

Questo 6 luglio si ritorna in piazza a Latina con la CGIL, ma abbiamo visto delle divisioni tra associazioni, comitati e sindacati nelle scorse settimane.

Queste divisioni sono sicuramente un elemento di debolezza. Bisognava fare una piazza unica e doveva essere quella di sabato 21 giugno, che avrebbe dovuto tenere insieme il mondo sindacale tutto, non solo confederale, il mondo del lavoro bracciantile indiano, le associazioni e tutti e tutte le cittadine che hanno a cuore questa problematica. Questa divisione pesa, fino a quando il mondo del lavoro rimarrà diviso potrà solo denunciare, ma non riuscirà a risolvere questo problema. Dobbiamo essere uniti per spezzare queste logiche ricattatorie radicate.

Immagine di copertina in regime di Creative Commons

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