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ROMA
Un racconto a più voci della lotta per la casa a Roma
Bruno Fasciardi e Giulia Zitelli Conti hanno raccolto in un volume “Ma noi non potevamo aspettare più – Memorie e storia della lotta per la casa a Roma” (Editpress, Firenze 2024), le voci dei protagonisti di una lunga stagione di lotte. Un serrato dialogo con Renato Fattorini e sua moglie Elisabetta Nori ricostruisce la storia delle lotte popolari a Roma dal dopoguerra agli anni ’80
Un racconto corale come Ma noi non potevamo aspettare più ci porta agli anni in cui nasce un abitare basato sull’impoverimento progressivo dello spazio della città pubblica e il gonfiarsi di quello della città privata. Dal 1951 al 1961 le case realizzate dagli enti pubblici sono il 15% del totale, 20% quelle in cooperativa e 65% quelle private. Brani interi di città privata che nel decennio successivo arrivano al 90% mentre l’edilizia pubblica scende fino al 4,4%. Si aggiunge poi quanto realizzato dai lottizzatori abusivi che costruiscono la casa per 400mila romani che arriveranno a essere 800mila nei primi anni ’80.
E poi ci sono le baracche, tante baracche che formano borghetti sparsi in tutta Roma dove vivono i protagonisti delle autobiografie raccolte nel volume. A Prato della Signora, verso i Prati Fiscali sotto i ponti dell’Aniene, si estende un’enorme baraccopoli. Più in là, verso Val Melaina, mille persone vivono nelle baracche di Prato Rotondo. Distese di lamiere e tavole di legno rappresentano il rifugio per migliaia di persone lungo il fosso di Sant’Agnese, a Prima Porta, al Mandrione, ai bordi dell’Ostiense, nella Valle dell’Inferno, sotto gli archi dell’Acquedotto Felice. Dal dopo guerra alla fine degli anni ’70 l’abitare di molti romani è stato questo. Grotte, baracche, tuguri disseminati su tutto il territorio.
A Borgata Gordiani «la stragrande maggioranza delle famiglie viveva in una sola stanza, poteva esse ‘na famiglia numerosa, ma abitava in una stanza, in condizioni indecenti. Tozzetti ci diceva: aspettate, aspettate… Ma che aspettamo!» (p. 65)
Il numero esatto sfugge alle statistiche ufficiali. Si valuta che all’inizio degli anni ’60 circa 80mila famiglie vivano in coabitazione o nei borghetti. Si stima che la necessità di un alloggio a prezzi calmierati interessi 400mila persone. In quegli stessi anni si assiste al trionfo della speculazione selvaggia e alla crescita della città secondo la volontà dei proprietari immobiliari. Sempre allora, le masse dei senza casa diventano protagonisti delle lotte che rivendicano case e servizi.
«A Roma c’erano duecentomila famiglie, duecentomila famiglie che abitavano nelle condizioni in cui abitavo io! C’erano mille famiglie all’Acquedotto Felice, peggio de noi!», racconta Renato Fattorini del Comitato Agitazione Borgate (p. 46)
Chi sono i 62mila abitanti dei 57 baraccamenti censiti nel 1968 dal centro delle Consulte Popolari? In quei tuguri abitano non solo gli edili venuti a Roma in successive ondate migratorie per costruire le case nelle quali non possono abitare, ma anche operai delle poche industrie romane e dipendenti delle aziende pubbliche.
Sono loro i protagonisti delle occupazioni che si susseguono per tutti gli anni ’60 e ‘70. Una «lunga e controversa storia della lotta per la casa, una storia segnata da conflitti esterni e interni al movimento». (p. 211) Sono sempre loro le vittime degli sgomberi eseguiti dalle forze di polizia in maniera brutale.
Nel luglio del 1969 vengono occupati 25 appartamenti al Tufello, poi altri 100. A partire da quell’ esperienza si forma il Comitato di Agitazione Borgata (Cab), un organismo composto da baraccati, donne, giovani, studenti, militanti di base del Partito Comunista Italiano e cattolici di sinistra. A San Basilio, Pietralata, Trullo, Montecucco si occupano le case vuote di proprietà dello IACP. Chi è in affitto in case di proprietari privati si autoriduce il canone. Nell’estate del ’69 sono 300 appartamenti pubblici, vuoti da anni, in piazza Celimontana a essere occupati, come i 170 di proprietà delle Ferrovie dello Stato alla Garbatella, sempre sotto la spinta del Cab.
Altrettanto fa l’UNIA che in una sola notte occupa 560 alloggi in tre stabili di proprietà della società Vaticana dei Beni Stabili, dell’Immobiliare e delle Assicurazioni di Venezia. La lotta della casa è anche momento di lacerazione interna al PCI, diviso tra “difesa delle regole democratiche” e ascolto della base proletaria e dei suoi attivisti di base nei quartieri. Nella notte del 29 ottobre del 1971 10mila persone, provenienti dai borghetti, sparsi nella periferia occupano 3.400 alloggi vuoti di proprietà di grandi società immobiliari.
L’occupazione dura solo due giorni, ma dimostra l’enorme forza che aveva raggiunto il movimento di lotta per la casa. Il diritto alla casa viene rivendicato da tutti sempre più come diritto sociale irrinunciabile.
Antonio Molinari, insieme ad altri protagonisti, ricorda le lotte della Magliana dove fra il 1969 e il 1971 società private costruirono enormi palazzi addossati all’argine del Tevere e al di sotto del livello del fiume. Una distesa di fango li circondava. Le case furono occupate nell’autunno del 1973 da 246 famiglie provenienti da tutta Roma, alle quali si aggiunsero un anno dopo altre 100 famiglie che occuparono le case di Piperno vuote da tempo. La Magliana divenne «un punto di riferimento per la nuova sinistra», per l’organizzazione che fu messa in piedi, capace di governare la vita comune con riunioni scala per scala che confluivano nelle assemblee deliberanti. E poi le mense comuni, il consultorio autogestito, il doposcuola, le feste collettive e gli orti condivisi. Le voci di chi a quell’esperienza partecipò ricostruiscono gli anni della lotta fino alla conclusione con l’acquisto delle case nel 1986.
«A quel punto, però, le porte degli appartamenti delle case occupate, quelle porte di cui ci si era riappropriati con la lotta e che erano rimaste in qualche modo “aperte” per tanti anni, si chiusero in un atto che, per la memoria, sancisce simbolicamente la fine di una stagione storica durante la quale l’utopia di una vita collettiva era stata realtà». (p. 233)
È questo un libro importante per ricostruire un lungo periodo di lotte per la casa e per conoscere gli aspetti della vita di chi quella stagione l’ha animata e dei legami che si sono costruiti. Lo fa attraverso dialoghi e ricostruzioni storiche che ci consentono di capire quale blocco di potere ha governato Roma e continua a farlo, ma anche che è possibile immaginare un’altra città.
L’immagine di copertina è di Tano D’Amico
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