approfondimenti

ITALIA

Un “pacco” di Natale per l’Università. Tagli, riforma e la finta compensazione del FIS

Le promesse del FIS selezionano un ristretto gruppo di salvati rispetto alla galassia frammentata dei precari sommersi e la loro stabilizzazione urta con la struttura, ripartizione geografica e ristrettezza del Fondo ordinario per l’Università, che è stato tagliato nella stessa misura in cui è stato finanziato il FIS

Il governo ha preparato un bel “pacco” natalizio per l’Università: mentre con una mano lancia a pioggia mezzo miliardo di euro sulle teste dei ricercatori per Natale, grazie al Bando FIS 3 (Fondo Italiano per la Scienza 2024), con l’altra taglia più o meno lo stesso importo al Fondo ordinario degli atenei pubblici. La somma dunque è zero e va tutto bene? Non proprio…

Il FIS: i sommersi e i salvati

Sono uscite pochi giorni fa le graduatorie del Bando 2023 (FIS 2)[1]. Come si è detto sembrerebbe una buona notizia in un periodo di pessime notizie – dai tagli al FFO (Fondo di Finanziamento Ordinario dell’Università pubblica) alla precarizzazione selvaggia annunciata dal Ddl Bernini. Anzitutto va detto che è trascorso più di un anno dalla chiusura della call e, se si guarda la cosa dal punto di vista dei tanti precari che hanno partecipato senza esito, la cattiva notizia del mancato avanzamento di carriera arriva insieme a quella degli arretramenti annunciati dal Ddl Bernini. Va detto comunque che il “pacco” che il Ministero ha messo sotto l’albero dei ricercatori è duplice, perché è anche uscita la nuova call (FIS 3)[2], con un budget complessivo di 475 milioni, quasi mezzo miliardo… Una montagna di soldi destinata alla ricerca fondamentale, ripartiti in diversa misura su tre fasce di avanzamento delle carriere: Starting Grant (fino a 7 anni successivi al conseguimento del dottorato), Consolidator Grant (fino a 12 anni post-doc), Advanced Grant (oltre i 12 anni post-doc)[3]. Ma facciamo il punto su questo strumento, per verificare che non si tratti in realtà di un pacco rifilato ai ricercatori nell’accezione gergale del termine.


L’importanza del FIS è legata al fatto che è uno dei principali “programmi di ricerca di alta qualificazione” rivolto ai singoli ricercatori, i quali possono candidarsi come Principal Investigator (PI), cioè responsabili di un proprio progetto di ricerca.


Se gli va bene, staccano dal ministero un assegno ingentissimo, da 1 a 1,9 milioni, con cui finanziare il proprio contratto e i costi della ricerca (personale, strumentazione, pubblicazioni, ecc.) per tutti gli anni di durata del progetto (da 1 a 5 anni). Ma i vantaggi non finiscono qui. Nella proposta, il fortunato PI deve indicare una host institution, cioè un’università in cui installarsi, alla quale però non è vincolato, perché se vuole può portarsi l’assegno dove sono disposti a concedergli maggiori vantaggi.

Per quanto si possano candidare anche gli strutturati, quasi la metà dell’intero stanziamento è destinato alla fascia degli Starting Grant. Questi ultimi, per vincoli temporali dalla data di conseguimento del dottorato, saranno principalmente appetibili per i non strutturati, in un sistema precario come quello italiano in cui persino nella stessa fascia Consolidator (rivolta a personale ricercatore già avviato)  probabilmente la componente precaria è molto consistente. Chiaramente, il principale vantaggio che chiederà il fortunato precario all’istituzione ospitante è la stabilizzazione. Una richiesta che il Ministero ha voluto fortemente agevolare tramite il Decreto MUR n. 919 del 22 luglio 2022 («Identificazione dei programmi di ricerca di alta qualificazione, finanziati dall’Unione europea o dal MUR»), stabilendo che i vincitori di alcuni programmi di ricerca definiti di “alta qualificazione” possono essere «destinatari di chiamata diretta per la copertura di posti di professore di ruolo di I e di II fascia e di ricercatore a tempo determinato da parte delle università». Oltre al “Fondo Italiano per la Scienza (FIS)” e al “Fondo Italiano per la Scienza Applicata (FISA)”, il decreto identifica come programmi di “alta qualificazione” il “Rita Levi Montalcini per giovani ricercatori”, i programmi “European Research Council (ERC)” e diverse fellowship dei programmi “Marie Sklodowska Curie Actions” (MSCA).

L’istituto della “chiamata diretta” per vincitori di programmi di ricerca di alta qualificazione era già nell’articolato della Riforma Gelmini (Legge n. 240 del 30 dicembre 2010, seguita dal DM n° 276 del 1° luglio 2011 che identificava i programmi)[4], ma questo dispositivo ha cominciato a guadagnare terreno come strumento privilegiato di reclutamento solo successivamente, quando il Ministero ha cominciato ad assegnare dei premi a chi assumesse a chiamata diretta, in questo e altri casi (chiara fama, o chiamate di ricercatori italiani all’estero), indicando nei criteri di riparto del FFO il cofinanziamento del Ministero a copertura del 50% del costo dei nuovi contratti. Per quanto riguarda il 2024 (DM n. 1170 del  7 agosto 2024)[5], vengono destinati 10 milioni per coprire il costo di queste chiamate.


Si tratta di un quadro normativo che ha indotto gli atenei a identificare questo meccanismo come uno strumento di reclutamento da privilegiare, stendendo tappeti rossi ai vincitori.


E di fatto si è creata una competizione tra atenei nella capacità di attrarre e stabilizzare i fortunati precari vincitori di questi “programmi ad alta qualificazione”, che vengono privilegiati per due motivi:  costano la metà e si portano in pancia la “dote” del milione e rotti del finanziamento. Il problema è che gli atenei più attrattivi, che “catturano” la maggior parte di queste galline dalle uova d’oro sono quelli più ricchi, che hanno la capacità di  offrire più opportunità in termini di posizioni e risorse e farlo più rapidamente. Inoltre, questi atenei nel corso degli anni si sono dotati di uffici e borse dedicate per massimizzare la percentuale di domande di successo, al punto di aver raggiunto la saturazione (in termini di coperture economiche per strutturare i vincitori), smettendo di garantire contratti da RTT (strutturanti) per alcune borse (es. MSCA Global Fellowships). Il FIS diventa, in quest’ottica, un ulteriore meccanismo di drenaggio di risorse verso l’alto: verso atenei con ranking superiore e il cui baricentro si sposta fortemente verso il nord Italia. Ma non solo in questo senso, vediamo perché.

Per sintetizzare quanto emerso finora, si può dire che il FIS di per sé potrebbe essere uno strumento utile per premiare singoli progetti di ricerca di base particolarmente promettenti. Tuttavia, convertendosi in un meccanismo di stabilizzazione a chiamata diretta in un quadro di tagli e precarizzazione in cui il collo di bottiglia dell’accesso si stringe sempre di più[6], diventa molto problematico. Lo è sia per il fatto che, come si è detto, sposta risorse dove già ci sono, sia perché la modalità di selezione, concepita per premiare un progetto, non può funzionare per valutare una carriera. Vediamo perché, ipotizzando due casi limite di fantasia.

Felice è un PhD fresco di discussione presso un piccolo Ateneo del Sud. Grazie alla premura di un docente che gliel’ha spiegate (siamo liberi di immaginare chi possa essere, un tutor generoso, un parente, un amico), conosce bene le regole bizantine del grande gioco universitario e riesce a pubblicare come autore principale un paper durante il dottorato, in modo da potersi candidare subito dopo con le carte in regola a un programma di alta qualificazione – FIS, Marie Curie, ERC – che hanno soglie di accesso molto basse nella fascia Starting (un solo articolo all’attivo pubblicato senza il proprio tutor). Felice è bravo, sveglio e anche fortunato, oltre a scegliere un tema avvincente e attuale, costruisce bene la sua proposta ed è assistito ottimamente dai suoi uffici per la parte tecnica, soprattutto per quanto riguarda il complesso budget per WP (Work Package) e HR (Human Resource). Ne consegue che centra il bersaglio, ottenendo il ricco Grant, ma in quel momento purtroppo il suo ateneo non è in grado di garantirgli la stabilizzazione per carenza di copertura economica (punti organico disponibili). Siccome ci sa fare, Felice tratta il suo contratto con un grande ateneo del Centro Italia, così che, a 27 anni e con una sola pubblicazione all’attivo, ottiene un Contratto da ricercatore in Tenure Track (RTT)[7] a chiamata diretta e, dunque, con l’unica condizione di guadagnarsi l’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) in sei anni, può già considerarsi di ruolo. Quando sbarca nel suo dipartimento, a Felice assegnano uno studio condiviso con Sofia, una collega che ha 40 anni ed è al secondo anno di un RTD-a con fondi PNRR. Sofia viene da 10 anni di precarietà fatta di 6 assegni annuali alternati a borse di studio e sussidi, 3 contratti di docenza in un altro Ateneo, due PRIN (Progetti di Interesse Nazionale) che lei ha contribuito a progettare, vincere e realizzare. Sofia nel frattempo accumula anche titoli, raggiungendo le “mediane” di un Professore Ordinario, ovvero il numero di prodotti di ricerca necessari per abilitarsi a quella fascia di docenza nel suo settore disciplinare: 2 monografie, 5 paper in riviste di fascia A, 10 partecipazioni a convegni con pubblicazione ecc. Le prospettive di Sofia, al contrario di quelle di Felice, sono nerissime. Il suo Ateneo non ha accantonato fondi per le stabilizzazioni dei contratti attivati su fondi PNRR, i tagli del FFO impediscono al suo dipartimento e al suo docente di riferimento di accedere ai necessari  punti organico per richiedere il bando di concorso per una risorsa, e, probabilmente, la riforma Bernini, su richiesta della CRUI, metterà un tetto agli anni complessivi di precarietà per dare una minima decenza di facciata alla legge[8]. Ciò vuol dire che Sofia a brevissimo si troverà di fronte a un bivio, dentro o fuori: o gli fanno un RTT o dovrà accettare degradanti contratti di collaborazione esterna privi di tutele e di valore curriculare per l’accademia – rinunciando di fatto alla carriera di ricercatore. Eppure Sofia non ha lavorato o sta lavorando solo per sé, lavora in un gruppo di ricerca molto affiatato di 5 persone, oltre al docente di riferimento, che ha portato all’università molti fondi, privati e pubblici, grazie a un lavoro di squadra nella progettazione su bandi nazionali e internazionali (PRIN, Erasmus, Civis), o da fondazioni filantropiche che hanno finanziato assegni a tutto il gruppo. Ha anche contribuito ad avviare un Master di II livello. Ed è esattamente questo lavoro di squadra e questa dedizione al gruppo di ricerca, in cui crede molto, ma anche il lavoro di cura familiare in quanto madre di un bambino di due anni, che gli ha impedito di mettersi a corpo morto su bandi individuali impegnativi come i programmi di Alta Qualificazione. Ci ha provato una volta in verità, con enorme sacrificio, ma non è andata bene. Nel caso di Sofia prevale il fatto che a lei piace lavorare per il gruppo, ma in molti altri casi sono i docenti stessi che inducono a lavorare su progetti collettivi, sia perché arricchiscono il loro curriculum, sia perché hanno l’esigenza di tenere in piedi il gruppo di ricerca. Il contesto, del resto, incentiva questa logica: vista la scarsità di risorse ed il crescente sostegno politico-economico a un modello, quello del new public management, che incentiva e promuove la collaborazione tra università e settore privato per finanziare la ricerca, i/le precari/e della ricerca ottengono per lo più contratti di lavoro parasubordinato per lavorare a progetti altrui, rinunciando spesso alle proprie ambizioni, per poi rimanere disoccupati/e. I/le docenti, quindi, tendono a non spiegare i bizantinismi che stanno dietro i programmi di Alta qualificazione, e in parte neanche li conoscono perché a loro interessano poco. I/le precari/e della ricerca sono lavoratori e lavoratrici usa e getta per parecchi docenti: una volta terminati i progetti, non servono più. Ciò è funzionale a un settore di ricerca che si alimenta di un esercito intellettuale di riserva. Altri docenti, più in buona fede, cercano di tenere in piedi gruppi di ricerca validi usando tutte le leve della flessibilità ma senza poter dare alcuna continuità e prospettiva ai singoli. E anche quando il docente è in buona fede, che poi è il caso di Sofia, i/le precari/e sono del tutto assorbiti/e dall’impegno di tenere in piedi i gruppi: devono studiare, scrivere paper e libri, progettare, realizzare i progetti, rendicontarli, fare docenza o supportarla, formare altre risorse, andare per convegni, fare lavoro redazionale per riviste, peer review…


A queste condizioni è impossibile impegnarsi sui programmi di alta qualificazione se non hai grande know how e notevoli privilegi che ti sgravano da ogni cura familiare, difficoltà economica o abitativa, discontinuità contrattuale.


Questa è la fotografia del pre-ruolo attuale, nella quale il FIS comincia ad apparire in una luce sinistra – almeno nel quadro di blocco delle stabilizzazioni per altri canali. Anzitutto, come uno strumento di drenaggio verso l’alto di risorse (atenei forti e verso chi ha il privilegio di potersi dedicare esclusivamente alla propria carriera individuale) in un quadro generale in cui a pochi salvati corrispondo tantissimi sommersi; ma anche come uno strumento che incoraggia la  competizione individuale, rendendola incompatibile con la cooperazione in rete e in gruppi di ricerca, che in verità dal 1600 in avanti è la condizione sine qua non di sviluppo della scienza. Nel senso che chi si dedica molto al gruppo, o deve farlo, non può permettersi di provare due, tre, quattro volte i programmi di alta qualificazione. Inoltre, questa enfasi sull’“eccellenza” nella ricerca individuale potrebbe andare a scapito della qualità dell’insegnamento universitario, intensificando l’effetto negativo che già avrà il taglio del FFO: la rincorsa a bandi altamente competitivi drena tempo ed energie che il personale (sia strutturato che precario) può dedicare alla docenza, alla programmazione e più in generale alla comunità accademica di cui è parte.


Sulla base di questa messa a contesto appare chiaro che ogni riforma del pre-ruolo che non affronti la questione del reclutamento in modo sistemico, ridefinendo tutti i meccanismi di stabilizzazione nel loro insieme e le figure disponibili per la stabilizzazione, sarà del tutto inutile, o quanto meno parziale.


In questa prospettiva si comprende meglio  il combinato dei tagli e del DdL Bernini, che approfondisce la già grande cesura tra ruolo e pre-ruolo, moltiplicando le figure precarie senza prevedere alcuna progressione chiara tramite alcun anello di congiunzione al ruolo, come il ricercatore in Tenure Track, e, soprattutto, procedendo con tagli al FFO e il blocco del turnover al 75%. Azioni queste, che andranno a congelare per anni le stabilizzazioni. A fronte di questo blocco, il parziale incremento del FIS è un messaggio chiaro: chiudiamo del tutto il rubinetto delle progressioni e dei concorsi e apriamo giusto un filo d’acqua tramite i programmi di alta qualificazione e la chiamata diretta. Sostituiamo azioni necessarie sul reclutamento con programmi come il FIS e ignoriamo i profili R1-R4[9] e le rispettive disposizioni e tutele essenziali dichiarati dalla commissione Europea e dalla carta europea dei ricercatori[10]. Tutto ciò  significa rendere il pre-ruolo un purgatorio interminabile, e sempre più sottoposto a regole di competizione che svalutano il lavoro quotidiano, meno di spicco e tuttavia fondamentale, che si svolge all’interno dei dipartimenti per mantenerli spazi di educazione e ricerca inclusive e trasversali.

Certo, si predispongono delle uscite di sicurezza azionate dall’esterno. Ma come sono azionate queste uscite e da chi? Come funziona il deus ex machina dei programmi di alta qualificazione?

È importante chiedersi se il FIS, considerato in sé e per sé, funzioni.

Cominciamo dai numeri. Il FIS 1 cubava 50 milioni, il FIS 2 ne cubava 328 circa, il FIS 3 alza l’asticella a 475. Una curva rampante dunque, che non è chiaro se in futuro andrà a stabilizzarsi o sarà soggetta a fluttuazioni poco prevedibili.

Concentriamoci ora sulla fascia Starting Grant, che è quella in cui si concentra chiaramente il più alto numero di precari e precarie, e vediamo i numeri dei recentissimi risultati del FIS 2.

Il totale delle domande in questa fascia è di 710, per complessivi 95 progetti ammessi a finanziamento (13,3%).

Questi numeri sono distribuiti come segue nei tre macrosettori.

  • LS – Life Sciences
  • 24 finanziabili
  • 33 idonei non finanziabili
  • 195 non ammessi alla fase 2
  • PE – Physical Sciences and Engineering
  • 26 finanziabili
  • 39 idonei non finanziabili
  • 176 non ammessi alla fase 2
  • SH – Social Sciences and Humanities
  • 45 finanziabili
  • 25 idonei non finanziabili
  • 147 non ammessi alla fase 2

FIS, precari, RTT e strutture del MUR

Rispetto all’incidenza di questi numeri, possiamo fare una valutazione molto a spanne considerando che attualmente, secondo le stime di FLC-CGIL, il bacino complessivo dei precari è di 30 mila unità, suddivisi tra circa 20 mila assegnisti e 10 mila RTDa. Anche ammesso che tutti e 95 vincitori del FIS ottengano il loro RTT, parliamo dello 0,4 per cento, una componente irrisoria, una stabilizzazione col contagocce. Se però si valuta sul regime di stabilizzazioni attuale, e a fronte del prossimo blocco del turnover, la sua incidenza cambia. Se prendiamo il caso di Sapienza ad esempio, sappiamo che dall’entrata in vigore della legge 79 del 29 giugno 2022, dunque da circa due anni a questa parte (considerando qualche mese di scarto dall’approvazione ai primi contratti), sono stati attivati 146 contratti RTT. Considerando che nella fascia Starting, Sapienza ha ottenuto come Host Institution 12 Grant, si può dire con una certa approssimazione che il FIS pesa sul regime attuale delle stabilizzazioni per un 16,4%, una percentuale destinata ad aumentare sensibilmente sia per l’incremento dello stanziamento FIS sia per i tagli al FFO e il blocco del turnover.

Queste le quantità, che ci dicono come il FIS rappresenti un passaggio strettissimo ma sempre più importante di accesso al ruolo. Ora, cerchiamo di osservare le qualità del suo funzionamento entrando per finire nei meccanismi di valutazione.   

Partiamo dalla governance. Il 28 maggio 2021 il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legge n. 77, recante «Governance del Piano nazionale di rilancio e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure». All’art. 64 viene istituito il Consiglio Nazionale per la Valutazione della Ricerca (CNVR) incardinato nel MUR[11], con l’obiettivo di distribuire una montagna di soldi, sia le risorse in capo ai PRIN (circa 500 milioni di euro l’anno), sia quelle in arrivo dal PNRR (circa 10 miliardi). Questo organo sostituiva quello istituito dalla Gelmini, il Comitato Nazionale dei Garanti della Ricerca (CNGR), accrescendo il numero (da 7 a 15) e le prerogative dei componenti. Il DM n. 20 del 31 luglio 2023, nel ratificare l’elezione alla presidenza del CNVR del prof. Marco Mancini, pro-rettore a Sapienza e componente designato dall’Accademia dei Lincei di cui è membro, afferma che il «CNVR è composto da 15 studiosi, italiani o stranieri, di elevata qualificazione scientifica internazionale, appartenenti a una pluralità di aree disciplinari, nominati con decreto del Ministro dell’università e della ricerca, di cui: 3 componenti sono scelti dal Ministro dell’università e della ricerca; 12 componenti sono designati, 2 ciascuno, e nel rispetto del principio della parità di genere, dal Consiglio universitario nazionale (CUN), dalla Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI), dalla Consulta dei presidenti degli enti pubblici di ricerca (CONPER), dall’ERC, dall’Accademia nazionale dei Lincei, nonché, 1 ciascuno, dalla European Science Foundation (ESF) e dal Consiglio nazionale dei ricercatori e dei tecnologi»[12]. L’attuale composizione del CNVR è la seguente:

Se si prendono in considerazione organi e metodi di valutazione del FIS, così come descritti nel bando FIS 2 (art. 6)[13], emergono problemi sia in termini di imparzialità che di efficacia. 

In merito all’imparzialità, occorre rilevare che il CNVR definisce in toto la composizione dei 28 Comitati di Valutazione (CdV), uno per ciascuno dei settori di ricerca ERC[14]. Infatti, non solo designa gli elenchi da cui vengono prescelti gli esperti che, in numero massimo di 7, vanno a costituire i comitati, ma nominano anche il coordinatore che presiede ai lavori dei CdV. Nessun bando, nessun database pubblico di valutatori, nessun meccanismo di sorteggio a bilanciamento della discrezionalità. Di fatto, 15 persone (se va bene una sola per macroarea, ma neanche) decidono in modo insindacabile e privo di reale controllo chi deve decidere l’assegnazione di miliardi di euro. Significativamente nel bando FIS 3 (sempre art. 6)[15] la composizione dei CdV cambia drasticamente: il numero massimo dei componenti passa da 7 a 196! Segno che si sono accorti che qualcosa non andava? Ciononostante il problema non viene minimamente risolto, in quanto il nuovo articolo non cambia il carattere quasi monocratico delle modalità di istituzione dei CdV da parte del CNVR, e non afferma esplicitamente che la valutazione di ogni progetto deve in ogni fase prevedere il suo svolgimento da parte di un esperto appartenente al sottosettore di riferimento del progetto in questione.

Per quanto riguarda l’efficacia, ci sarebbero molti rilievi da fare, ma il principale è il seguente. Essendo previste per il FIS due fasi di valutazione (FASE 1 – Valutazione tecnico – scientifica preliminare; FASE 2 – Valutazione tecnico – scientifica progettuale), nella prima fase viene considerata soltanto la proposta progettuale sintetica, il curriculum vitae e il track record del PI.

Due elementi rendono realmente inaccettabile la modalità di questa prima fase di valutazione: l’elevato numero di esclusioni nel passaggio alla seconda fase (un tasso di esclusione che fluttua tra il 50% e il 67%) e la composizione del Comitato. Quest’ultimo, infatti, come si è detto, nel FIS 2 con i 7 componenti non garantiva neanche la copertura di un intero settore ERC, che in alcuni casi è composto anche da 10, 12, 14, persino 18 sottosettori. E i sottosettori ERC, come è noto, possono a loro volta aggregare diversi dei 370 Settori scientifico-disciplinari definiti dal MUR. Ma anche nella versione FIS 3, nonostante venga spostato il tetto massimo a 196, ma senza soglia minima, non si garantisce esplicitamente una valutazione da parte di esperti appartenenti al medesimo settore del valutato. Ciò significa che molte delle esclusioni, forse la maggior parte, avverranno sulla base della valutazione di un abstract del progetto da parte di un esperto che non appartiene al Settore scientifico-disciplinare del valutato. Solo infatti nella seconda Fase di valutazione è previsto che il CdV possa affidare una consulenza a un esperto del settore specifico – meccanismo analogo, d’altronde, ai Grant ERC.


Oltre ad apparire evidente che si tratta di un sistema da sottoporre a radicale revisione per quanto riguarda organi e modalità di valutazione di singoli progetti di ricerca, non vi è ombra di dubbio che esso risulta aberrante in quanto viene di fatto utilizzato per valutare e selezionare carriere, dato che da esso si fanno dipendere le chiamate dirette che stabilizzano i vincitori. Soprattutto in un contesto come quello attuale, in cui vengono sempre più ridotti i finanziamenti ordinari agli atenei.


Tornando a uno sguardo d’insieme, possiamo concludere che il sistema labirintico e sempre più chiuso delle stabilizzazioni, quello che potremmo definire il purgatorio della ricerca italiana, è concepito in modo da essere dotato di alcune uscite di sicurezza le cui chiavi sono possedute da pochissimi/e, uno schema che sul piano  retorico privilegia il merito individuale, ma che nella pratica  non garantisce né merito né imparzialità.

Sempre più, infatti, domina la retorica e la logica mercatistica che premia il talento nella competizione individuale, mettendo da parte ogni valutazione che riguarda le relazioni costruite nel tempo, la capacità di contribuire alla cooperazione scientifica e alla didattica, l’impegno collettivo in progettualità complesse, tra cui quelle di terza missione. Anche la ricerca è  vittima di una visione manageriale che avanza indisturbata, della progettificazione imperante, dell’esaltazione della performance individuale e della  spettacolarizzazione del concorso a premi – mentre sottovaluta completamente il diritto a un lavoro dignitoso, stabile, ben retribuito e caratterizzato da un equilibrio tra lavoro e vita personale che dell’accademia italiana, soprattutto per le figure precarie, è un miraggio. In fondo anche la scienza si sta adeguando al format di America’s Got Talent.


Questa visione mercantile dell’accademia, con la sua enfasi sulla performance individuale e sui meccanismi di finanziamento competitivi, fraintende fondamentalmente il modo in cui viene effettivamente prodotta la conoscenza scientifica. Il vero motore dello sviluppo accademico è sempre stata la cooperazione sociale – non nel senso edulcorato e managerializzato del “lavoro di squadra”, ma nel senso più profondo di una produzione intellettuale collettiva che emerge dal dialogo costante, dalle risorse condivise e dal sostegno reciproco all’interno delle comunità accademiche.


Questa cooperazione non è semplicemente un’aggiunta alla ricerca individuale; è il fondamento stesso della produzione di conoscenza. Le storie di Sofia e di innumerevoli altri rivelano come l’attuale sistema mini attivamente questa dimensione cooperativa essenziale. Tuttavia, questa stessa cooperazione sociale – quando riconosciuta e mobilitata politicamente – potrebbe diventare la base per trasformare l’accademia. Organizzandoci attorno alla nostra esperienza condivisa di precarietà e al nostro interesse collettivo nella produzione di conoscenza, possiamo lavorare per un modello alternativo che riconosca sia i contributi individuali sia la natura fondamentalmente cooperativa del lavoro accademico. La sfida che ci attende non è solo quella di resistere all’ulteriore precarizzazione, ma di ricostruire le istituzioni accademiche intorno al principio che la conoscenza scientifica è intrinsecamente una conquista collettiva che richiede condizioni stabili e dignitose per tutti coloro che vi contribuiscono.


[1] https://fis-submission.mur.gov.it/bando-fis-2/

[2] https://fis-submission.mur.gov.it/

[3] Le modalità di finanziamento ricalcano quelle consolidate a livello europeo sul modello dell’European Research Council (ERC), il cui budget per il sessennio 2021-2027 è di 16 miliardi di euro. https://erc.europa.eu/news-events/news/erc-2024-starting-grants-results

[4] https://www.roars.it/ripensare-lingresso-nel-mondo-della-ricerca-fatti-miti-e-proposte/ 

[5] https://www.mur.gov.it/sites/default/files/2024-09/Decreto%20Ministeriale%20n.%201170%20del%2007-08-2024.pdf 

[6] Si veda L. Zamponi, Doppio colpo all’università, Jacobin, 21 giugno 2024. Consultabile a: https://jacobinitalia.it/doppio-colpo-alluniversita/

[7] Si tratta della nuova figura di ricercatore prevista dalla Legge 79/2022 che va a sostituire i ricercatori e le ricercatrici a tempo determinato di tipo a) (junior) e di tipo b) (senior), trovandosi come quest’ultimo inserito in un percorso di assunzione a tempo indeterminato.

[8] Si veda il documento di analisi del Ddl Bernini svolto dalla CRUI, che da un lato chiede un tetto complessivo agli anni di precarietà, ma molto alto (8-10) anni, dall’altro però sollecità persino maggiore flessibilità rispetto a quella del Ddl al di sotto di quel tetto: https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg19/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/431/859/CRUI_-_Conferenza_dei_rettori_delle_università_italiane.pdf

[9] Nella promozione delle carriere dei ricercatori, la Commissione europea ha proposto diverse iniziative e raccomandazioni mirate a sostenere gli oltre 2 milioni di ricercatori che operano in tutta Europa, attraverso la creazione di opportunità di lavoro stabili e ben retribuite. Un elemento importante è la definizione, a livello europeo, dei profili professionali nei quali inquadrare tutti i ricercatori: R1 – Ricercatore junior (First Stage Researcher); R2 – Ricercatore riconosciuto (Recognised Researcher); R3 – Ricercatore confermato (Established Researcher); R4 – Ricercatore principale (Leading Researcher).

[10] https://www.crea.gov.it/carta-europea-dei-ricercatori

[11] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2021/05/31/129/sg/pdf

[12] https://www.mur.gov.it/sites/default/files/2023-08/Decreto%20n.%201228%20del%2031-07-2023.pdf

[13] https://fis-submission.mur.gov.it/wp-content/uploads/2023/08/Decreto-Direttoriale-n.-1236-del-01-08-2023.pdf

[14] https://fis-submission.mur.gov.it/wp-content/uploads/2023/08/Allegato-1-_ERC_panel_structure_2024_calls.pdf

[15] https://fis-submission.mur.gov.it/wp-content/uploads/2024/11/Decreto-Direttoriale-n.-1802-del-21.11.2024.pdf

Immagine di copertina:

SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS

Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. Vi chiediamo di donare tramite paypal direttamente sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno