ITALIA
Dalle elezioni italiane, un nuovo modello per l’Europa?
Guardando la scena politica emersa dalle elezioni italiane del 4 marzo, rimaniamo sospesi nel dubbio se essa costituisca un’eccezione o sia il prodromo di un nuovo modello nel cuore del continente europeo.
Il minimo che si possa dire è che le “forze della stabilità”, in entrambi i campi, subiscono un colpo pesantissimo: tutte le formazioni che hanno sostenuto il precedente Governo Gentiloni ne escono con le ossa rotte. La Lega di Salvini ottiene un risultato straordinario, ribaltando i rapporti di forza all’interno dello schieramento del Centro Destra, mutandone dunque la natura. I Cinque Stelle consolidano la loro base elettorale ponendosi ora, come essi stessi ripetono con una certa soddisfazione, come ago della bilancia dello scacchiere politico.
Ma il punto che assegna una singolarità al caso italiano, è l’insieme della conformazione politica emersa dalle urne.
Se è vero infatti che in tutta Europa si riscontra la tendenza al crollo delle formazioni socialdemocratiche che hanno garantito, al costo della propria sparizione, la continuità delle politiche di austerità e antisociali negli anni della crisi economica, solo in Italia a questo ridimensionamento non ha fatto da contraltare l’emergere di formazioni di sinistra alternative che, seppur non vincenti, mostrassero una tendenza anche timidamente espansiva. Del resto, bisogna pur ricordare che siamo l’unico paese nel quale si è tentato l’ardito esperimento (LeU) di presentare una forza politica come fosse l’“equivalente” di Corbyn (traducendone alle bell’e buona gli slogan) con all’interno una classe politica che sarà ricordata come l’equivalente di Tony Blair. Meglio non è andata a Potere al Popolo, il quale, seppur depurato da quel genere di ambiguità, non è stato capace di superare le cerchie organizzate che ne hanno costituito l’ossatura di partenza. In queste condizioni, i 5 Stelle hanno intercettato da soli il voto utile anti-destra, in particolare al Sud, con l’esito paradossale di essere la forza depositaria di buona parte del voto orientato al contenimento del blocco razzista e conservatore e, contemporaneamente. la forza che ha spostato negli ultimi tempi il baricentro del proprio discorso politico proprio nella direzione del conservatorismo populista.
Fatto sta che il combinato disposto tra la messa fuori gioco della dialettica tra socialdemocratici e cristiano-democratici che in tutta Europa ha garantito lo schema delle Grandi Coalizioni, con in più l’irrilevanza di alternative di sinistra, avvicina pericolosamente l’Italia più al “blocco di Visegrad” dell’Europa orientale che all’asse franco-tedesco.
È il partito di Di Maio il punto di convergenza di questa ambiguità: nella sua logica di incorporazione degli opposti, il Movimento 5 Stelle, negli ultimi mesi, ha flirtato tanto con il populismo euroscettico quanto, più di recente, con il governismo neoliberale europeo, facendo di questa commistione la cifra del suo successo: dovrà ora sciogliere l’ambiguità, in un senso o nell’altro. Mentre l’ipotesi di un asse con la Lega esporrebbe il futuro governo al regime emergenziale dei mercati finanziari e della governance europea, un governo sostenuto anche esternamente dalle forze di centro e centro-sinistra uscite sconfitte dalla tornata elettorale, lo spingerebbe a svolgere una funzione di stabilizzazione politica in condizioni tutt’altro che favorevoli. Distorcendo la propria immagine politica.
In ogni caso, l’eccezione italiana potrebbe presto tramutarsi in un modello emergente nel cuore del vecchio continente: un nuovo paradigma di governo frutto dell’incorporazione di istanze tipiche del populismo conservatore ma al contempo interno ai dettami della stabilità europea.
Nonostante la situazione politica si presenti come del tutto aperta a scenari tra loro assai differenti se non divergenti, quello che è certo è che i movimenti sociali italiani dovranno fare uno sforzo di analisi cogliendo l’estrema “singolarità” della situazione. Come già accaduto diverse volte nella storia di questo paese, l’”arretratezza” e l’”eccezionalità” del caso italiano potrebbe trasformarsi ben presto in “prototipo”. In altri termini, l’Italia potrebbe essere oggi vista come il laboratorio dove testare una provvisoria configurazione di quel ciclo politico reazionario che sta modificando i sistemi politici in Europa, e non solo. Da questa particolare angolazione, pensare di poter ridurre l’estrema complessità di queste tendenze al fenomeno (pur reale, ma secondario e derivato) dello “sdoganamento istituzionale” dei “neofascisti”, rischia di far imboccare vie con poche uscite.
La mobilitazione di istanze di libertà, emancipazione e uguaglianza dovrà sempre più confrontarsi con forze non immediatamente codificabili, e per questo più pericolose, e con scenari istituzionali perlopiù inediti. Le energie antifasciste, che si sono attivate nel periodo immediatamente successivo alla tentata strage di Macerata, devono oggi ripensare nuovi caratteri dell’azione politica collettiva, ponendo con urgenza la necessità di ripensare i movimenti antirazzisti all’altezza della sfida che ci spetta di giocare, e collocando al centro della propria agenda politica le battaglie sul campo del Welfare, dell’organizzazione del lavoro postfordista e della composizione sociale su cui maggiormente si esercita la violenza istituzionale, come le mobilitazione dei migranti e delle donne stanno già facendo.
L’esaurimento delle alternative in campo può, e deve, diventare l’occasione propizia per un salto in avanti, a patto di superare gli elementi “esauriti” del nostro stesso antagonismo.