MONDO
Un mese di rivolta in Colombia, Duque militarizza le città
Ad un mese dall’inizio della sollevazione popolare contro il governo, ancora centinaia di migliaia in piazza: a fronte di manifestazioni pacifiche e di massa, paramilitari e polizia sparano sulla folla ed uccidono 13 manifestanti, il presidente decreta lo stato di assistenza militare in sette dipartimenti. Organizzazioni per i diritti umani denunciano fosse comuni e centri clandestini di detenzione
Non si fermano le mobilitazioni contro le politiche neoliberiste e la violenza di Stato in Colombia: dopo aver ottenuto il ritiro della riforma fiscale, le dimissioni del ministro delle Finanze Carrasquilla, il ritiro della riforma della Salute, immense manifestazioni popolari rivendicano la fine della repressione, un reddito di base, la garanzia del diritto all’educazione e alla salute, un cambiamento radicale delle politiche pubbliche, lo smantellamento del corpo di polizia antisommossa Esmad, il rispetto degli accordi di Pace firmati nel 2016 e la difesa dei territori minacciati da estrattivismo, paramilitarismo e narcotraffico.
Giorno dopo giorno si acuisce la crisi di legittimità del governo, quando manca poco più di un anno alle elezioni presidenziali. Le proteste coinvolgono nuovi territori e settori sociali tanto nelle grandi città come nelle aree rurali, abitate da popoli indigeni e contadini. Le prese di posizione contro il governo si moltiplicano nel mondo artistico, musicale e sportivo, con performance, concerti e dichiarazioni da parte di cantanti, musicisti, esponenti del mondo del ciclismo e del calcio, con l’associazione dei calciatori che ha espresso solidarietà con le rivendicazioni popolari chiedendo ed ottenendo la sospensione del campionato colombiano.
La farsa del “dialogo nazionale” non ha mai prodotto nessuna istanza di negoziazione reale attorno alle rivendicazioni popolari per la totale assenza di volontà politica da parte del governo a negoziare con i diversi settori sociali e sindacali in sciopero. Inoltre, questione fondamentale, il governo non ha mai accettato la richiesta del Comitato dello Sciopero di fermare la repressione per permettere lo svolgimento delle istanze di dialogo, aspetto decisivo per poter portare avanti la negoziazione garantendo il legittimo diritto alla protesta nelle strade del paese, diritto che la militarizzazione di fatto impedisce.
La sera stessa del 28 maggio il presidente Duque ha emanato il decreto di urgenza 575 con cui ha dichiarato lo stato di emergenza: la dichiarazione, per la seconda volta, della cosiddetta “assistenza militare”, che prevede l’invio di truppe militari nelle città per assistere le forze di polizia nella gestione dell’ordine pubblico in sette dipartimenti. Nello stesso giorno sono stati inviati migliaia di soldati nei dipartimenti di Valle del Cauca, Cauca, Risaralda, Nariño, Huila, Norte de Santander, Putumayo y Caquetá, con una particolare concentrazione di truppe nella città di Cali dove sono arrivati settemila effettivi dell’esercito per ristabilire l’ordine pubblico.
L’occupazione militare della città, secondo le organizzazioni per i diritti umani, maschera uno “stato di commozione interiore” de facto (la misura di emergenza che trasferisce il potere ai militari e sospende le libertà democratiche prevista dalla Costituzione) che nega il diritto a manifestare, usa le forze militari contro i civili, ed ostacola la possibilità di un dialogo di emergenza come via di uscita dalla crisi.
La Commissione Interamericana per i diritti umani ha preso posizione chiedendo chiarimenti sulla gestione dell’ordine pubblico e il ruolo di civili armati, mentre Michelle Bachelet, Alto Commissario Onu per i diritti umani, ha espresso preoccupazione per i 14 morti e i 51 feriti di armi da fuoco del 28 maggio a Cali, chiedendo una “inchiesta rapida e indipendente” sulle responsabilità di civili armati e sui funzionari delle forze di polizia accusati di aver sparato ed ucciso manifestanti. Infine, l’Organizzazione Non Governativa “Fondazione per i diritti umani” ha denunciato il presidente Ivan Duque e il ministro della Difesa Molano per torture, violazioni dei diritti umani, assassini extra giudiziari, uso dell’esercito contro civili e altri crimini di lesa umanità, sollecitando le organizzazioni internazionali a procedere con l’arresto nei loro confronti.
Diverse organizzazioni per i diritti umani hanno denunciato l’esistenza di fosse comuni e il ritrovamento di cadaveri appartenenti a desaparecidos durante la protesta, così come l’esistenza di centri di detenzione clandestina, poche ore fa è stata denunciata l’esistenza di un centro di detenzione con 400 arrestati di cui non si conoscono né le identità né lo stato di salute.
Viva el paro nacional: le manifestazioni del 28 maggio
Il 28 maggio è stata l’ennesima giornata di mobilitazione generalizzata nel paese; a un mese dall’inizio del Paro Nacional decine di cortei, blocchi stradali, manifestazioni, concerti, eventi culturali e cucine comunitarie hanno occupato le piazze e le strade di tutte le principali città del paese. Da Cali, Bogotà e Medellin fino a Popayan, Bucaramanga e Cucuta, ma anche nei centri minori e nei territori abitati dalle comunità indigene, contadine ed afrodiscendenti che mantengono il blocco di diverse vie di comunicazione. Intanto, nei quartieri popolari le proteste continuano senza sosta per la gravità della situazione di miseria, povertà e assenza di prospettive, problemi strutturali che si sono intensificati drammaticamente con la crisi pandemica.
Proprio a Cali si sono verificati ancora una volta gli eventi più gravi e drammatici. Dopo una giornata di manifestazioni pacifiche e di massa, concerti e manifestazioni culturali, gruppi di civili armati hanno sparato sui manifestanti, uccidendo 13 giovani in diversi punti della città, dall’università fino ai quartieri popolari, ma anche nella zona di Ciudad Jardin, area ricca abitata dall’oligarchia locale, causando oltre cinquanta i feriti da colpi di armi da fuoco in una sola giornata, mentre durissime repressioni poliziesche e paramilitari sono continuate per tutta la notte. Tra i giovani uccisi dalla repressione, uno studente indigeno dell’Universidad del Valle, difendore dell’ambiente e dei territori indigeni, Sebastián Jacanamijoy, assassinato presso il punto di resistenza del quartiere Menendez.
Il governo Duque ha scelto di usare pratiche di terrorismo di Stato contro la crescente opposizione sociale alle sue politiche e al sistema di potere basato sulla violenza, sul razzismo e sulla diseguaglianza strutturale.
Molto scalpore ha destato l’arresto di Álvaro Herrera, studente universitario e musicista dell’orchestra sinfonica di Cali che stava suonando il corno durante il picchetto sinfonico, una manifestazione musicale in sostegno allo sciopero: è stato violentemente arrestato dalla polizia che lo ha costretto, ferito e pieno di sangue, a registrare un video in cui ammetteva, in evidente stato di shock, di essere un “vandalo” che stava rompendo vetrine e lanciando pietre quando era stato arrestato. Lo scandalo per questo ennesimo arresto arbitrario e montaggio giudiziario ha scatenato una ondata di solidarietà e di denuncia, fino alla liberazione del giovane musicista che uscendo dal commissariato ha intonato un canto di resistenza ringraziando gli avvocati, i difensori e per i diritti umani e i manifestanti che lo hanno abbracciato dopo la liberazione.
A Bogotà si è tenuta una giornata di concentramenti e manifestazioni in diverse aree della metropoli, da Usme a Soacha, Ciudad Bolívar e Portal Resistencia nella zona di Kennedy, dove il mondo dell’hip hop si è radunato per un concerto con migliaia di persone, poi attaccato dalla polizia con la prima linea di scudi che ha resistito per tuta la notte. Nella notte almeno 85 persone sono state ferite, di cui 12 con gravi ferite oculari, e diversi centri di prima assistenza medica sono stati attaccati dalla polizia. In diversi quartieri sono state interrotte le forniture di elettricità proprio mentre la polizia attaccava violentemente i presidi dello sciopero, la stessa dinamica avvenuta nelle scorse settimane in modo sistematico nei quartieri popolari a Cali, per preparare uno scenario di terrore contro chi si mobilita e occupa le strade e le piazze. Arresti illegittimi, casi di tortura e violenze di genere sono state denunciate anche ieri, mentre continuano a non esserci risposte da parte delle istituzioni rispetto agli oltre quattrocento desaparecidos durante il mese di protesta.
La primera linea
Moltissime esperienze organizzative collettive e nuove soggettività in lotta stanno nascendo in tutto il territorio nazionale e non solo: dalle biblioteche popolari sorte nei punti di resistenza, alle cucine comunitarie per aiutare le famiglie che soffrono la fame e i manifestanti nei picchetti che sostengono lo sciopero e i blocchi, fino alla proliferazione di manifestazioni artistiche e culturali, alla moltiplicazione della Primera Linea, ai punti medici di prima assistenza, ai concerti di salsa e musica popolare, una socialità e convivialità comunitaria e popolare sta riconfigurando dal basso e a partire dallo sciopero lo spazio urbano e i quartieri popolari in particolare.
Così si sono formate e si espandono nuove esperienze di organizzazione nei cortei, dopo la Primera Linea composta da giovani e giovanissime che con gli scudi difendono i cortei e i punti di blocco dello sciopero dalle violenze della polizia, si sono formate anche le Mamme della Primera Linea in diverse città. Lo scorso corteo a Bogotà ha visto la partecipazione della madre di Dylan Cruz, studente diciottenne ucciso nel novembre 2019 durante i primi giorni del Paro Nacional.
Le Mamma della Prima Linea scendono in piazza con gli scudi e lo slogan “non abbiamo fatto figli per la guerra”, reclamando giustizia per i giovani assassinati dall’Esmad: «Andavamo sempre assieme ai cortei, così ci siamo dette, perché non facciamo lo spezzone della mamme della prima linea? E allora lo abbiamo fatto, per rappresentare le mamme colombiane e le ragazze madri che sosteniamo tra mille difficoltà le nostre famiglie, lottando per il diritto all’educazione e alla salute» – dicono ai microfoni di Colombia Informa. «Le persone che scendono in piazza non sono vandali, ma persone comuni che lottano contro le violenze e le ingiustizie di questo governo: ma soprattutto, per difendere la vita».
Negli ultimi giorni simboli e pratiche di resistenza con gli scudi si sono moltiplicati in tutte le città, come forma di solidarietà contro la criminalizzazione da parte del governo e del potere mediatico concentrato nelle mani dell’oligarchia economica del paese: così, sono scesi in piazza con gli scudi e le matite giganti anche i docenti della Primera linea, mentre a Cali si è formata addirittura una prima linea composta da preti e seminaristi con l’effigie di Gesù Cristo sugli scudi per difendersi dalla violenza della polizia.
Anche all’estero le mobilitazioni dei migranti e degli esiliati colombiani, così come la solidarietà da parte di movimenti sociali e organizzazioni politiche in diverse aree del mondo, sta componendo una geografia della rivolta popolare che, in modo simile a quanto avvenuto con la rivolta cilena, sta espandendo oltre i confini nazionali la protesta. Da New York a Londra, da Parigi a Buenos Aires, da Madrid a Roma, fino a Milano, alla tappa finale del giro d’Italia vinto dal colombiano Egan Bernal, che aveva preso parola in solidarietà con lo sciopero chiedendo al governo di ascoltare le rivendicazioni popolari. Si moltiplicano così mobilitazioni, cortei, presidi alle ambasciate e manifestazioni culturali che in tutto il mondo ripudiano e denunciano le violenze di Stato e sostengono le proteste.
Nelle prossime giornate sono previste nuove manifestazioni mentre si mantengono i punti di blocco e di resistenza, così come i picchetti sulle grandi strade che connettono le grandi città tra di loro continuano: a maggior ragione, a fronte della militarizzazione del paese, risulta fondamentale costruire spazi di visibilità mediatica e politica a livello internazionale rispetto a quanto sta avvenendo in Colombia, sia costruendo connessioni con le realtà in mobilitazione che denunciando i crimini di lesa umanità del governo, rafforzando le azioni di pressione a livello internazionale per fermare il massacro in corso. Nelle strade e nei quartieri la sollevazione popolare giorno dopo giorno costruisce un cammino verso il cambiamento, «affinché finisca questa orribile notte», come campeggia sullo striscione a Loma de la Dignidad, piazza simbolo della resistenza di Cali.
Immagine di copertina di Colombia Informa