OPINIONI
Un diario degli errori mai scritto. Note a margine sull’ascesa della Meloni e sul declino del PD
Una tornata elettorale in cui, nella dequalificazione generalizzata della politica ormai del tutto subalterna al marketing prestazionale e alla tecnica, sono risultate assenti due parole che avrebbero potuto fare la differenza: la Storia e la Società
«Il fascismo conviene agli italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi, rassicura la loro inferiorità. Il fascismo è demagogico ma padronale, retorico, xenofobo, odiatore di cultura, spregiatore della libertà e della giustizia, oppressore dei deboli, servo dei forti, sempre pronto ad indicare negli altri le cause della sua impotenza o sconfitta (…). Non ama l’amore, ma il possesso. Non ha senso religioso, ma vede nella religione il baluardo per impedire agli altri l’ascesa al potere. Intimamente crede in Dio, ma come ente col quale ha stabilito un concordato, do ut des. È superstizioso, vuole essere libero di fare quel che gli pare, specialmente se a danno o fastidio degli altri. Il fascista è disposto a tutto purché gli si conceda che lui è il padrone, il Padre. Le Madri sono generalmente fasciste».
Negli anni ’60, Ennio Flaiano descriveva così la personalità fascista. Una sintesi perfetta, caustica, lucida e per certi versi senza speranza incline a costruire un’antropologia dell’italiano medio che, a quanto pare, resta valida anche all’indomani di queste elezioni politiche. Tuttavia, al netto di un’antropologia di base per certi versi incontestabile e rintracciabile un po’ ovunque, non solo nella destra meloniana (non dimentichiamo i risultati ottenuti dalla Lega di Salvini negli anni passati o i risultati ottenuti dall’agire performativo orientato al successo di Renzi) sarebbe profondamente ingenuo fermarsi a questa descrizione.
Infatti, se di base l’antropologia del potere maschile incarnata dal virilismo della Legge del Padre (da cui il nome “Fratelli d’Italia”) e dal potere femminile della Madre, in questo caso incarnato dal simbolico dell’utero della Nazione (“Io sono Georgia”) è importante per comprendere il risultato ottenuto da questa “donna-soldato”, come ama definirsi lei stessa, non possiamo certamente rimuovere che questo successo è anche l’effetto, nonché l’esito, di una serie di variabili e processi, contingenze storico-politiche su cui, specie il Partito Democratico, non ha saputo scrivere il suo personalissimo “diario degli errori”.
Se la Meloni astutamente già sapeva che avrebbe triplicato i suoi consensi rifiutandosi di partecipare al “governo tecnico” di draghiana memoria (per prendere il posto che fu della Lega), il Partito Democratico, nel suo processo di imborghesimento progressivo sancito dal suo etichettare sbrigativamente come “populiste” tutte le istanze provenienti dalla rabbia popolare e dall’adesione spassionata ai processi di neoliberalizzazione dello Stato ha saputo offrirle la vittoria su un piatto d’argento.
Nonostante il tutto si sia consumato in una calda estate che toglieva respiro e pensiero, non possiamo certamente accettare che questo risultato sia solo ascrivibile alla volatilità temporale del presente. In questa campagna elettorale, infatti, nella dequalificazione generalizzata della politica ormai del tutto subalterna al marketing prestazionale e alla tecnica, sono risultate assenti due parole che avrebbero potuto fare la differenza: la Storia e la Società.
Prima parola assente: la Storia.
Appena scoppiò la guerra Russo/Ucraina, divenuta subito dopo una guerra tra Occidente e potenze euro-asiatiche, si era già capito che molti elementi rimandavano agli inizi del Novecento seppure solo dal punto di vista simbolico: una guerra che avrebbe generato una seconda crisi economica depotenziando ulteriormente il potere di acquisto, dunque un aumento della rabbia popolare, una pandemia e un disorientamento generale che certamente non avrebbe potuto risolvere il tecnicismo dell’agenda Draghi e del suo PNRR. Nei primi decenni del Novecento c’era stata una guerra, una pandemia da spagnola, qualche anno “ruggente”, la crisi economica e infine, guarda caso, l’avvento dei fascismi e dei nazional socialismi pressocché ovunque in Europa. Naturalmente oggi il contesto è mutato sul fronte della qualità delle politiche e lo scontro non si consuma tra liberali illuminati e nazional-socialisti, bensì tra neoliberalizzazione soft e neoliberalizzazione autoritaria (due facce della stessa medaglia), ma il risultato è praticamente lo stesso: in Polonia, in Ungheria e ora anche in Italia abbiamo personalità “autoritarie”, per essere eleganti e non esagerare con la parola “fascisti”, al governo.
Il Partito Democratico ha saputo leggere tra queste righe della Storia? Ha capito che per fare la differenza, avrebbe dovuto generare un taglio rispetto al draghismo e alle politiche del riarmo? No e naturalmente le urne non hanno premiato la sua arroganza perché si sa: gli originali sono sempre meglio delle fotocopie.
Inoltre, a guardare i talk post-elezioni sembra anche che loro siano fieri di essere la prima forza all’opposizione e persino la maggioranza nella società con tanto di calcolatrice alla mano, come se Calenda e Renzi fossero ascrivibili a una qualche forma di sinistra e persino dopo essersi rifiutati di allearsi con la noblesse rimasta nel Movimento 5 stelle che di fatto mira a prendere il posto dei “progressisti”, questa volta senza tecnica e con un discreto popolo di “ragionevoli” che si sentono rassicurati da Giuseppe Conte e dalla sua agenda sociale (molti elettori del PD hanno preferito lui). Cosicché, in questo tempo rapido e nevrotico che nulla deposita, ma tutto distrugge, stupirsi della vittoria della Meloni è un po’ come non aver letto mai neppure un basico manuale di storia per le elementari, a riprova del fatto che inseguire banche e capitali partecipando a feste mondane ed etichettando la rabbia sociale come “populismo” serve solo a chi fa della strumentalizzazione della rabbia sociale la sua personalissima ascesa.
Seconda parola assente: la Società.
Qualche anno fa io e Alberto de Nicola facemmo una ricerca sulle borgate di Roma e sui comitati dei cittadini in alcuni quartieri importanti della città. Il volume si chiama, non a caso, La sindrome identitaria. Dall’analisi dei comitati di matrice qualunquista, dunque di destra, veniva fuori che la rabbia popolare si era stratificata in primo luogo verso il voto al Movimento 5 stelle e subito dopo l’arrivo al governo di questi ultimi, gli stessi viravano verso Salvini. Era pertanto del tutto evidente che il cosiddetto “flusso elettorale” poi sarebbe andato nella direzione di Giorgia Meloni, una volta scoperto l’inganno del piazzista con la croce al collo.
Un fenomeno estemporaneo e stagionale come la nascita di un fungo porcino in Abruzzo? No, solo l’esito e l’effetto del diario degli errori mai scritto dal Partito Democratico e, se vogliamo proprio dirla tutta, anche da altre forze politiche di sinistra divenute via via sempre più minoritarie.
Tutte queste sinistre senza popolo, abbandonando lo stesso al proprio destino, nonostante i dati ci indicavano e ci indicano un aumento del tasso di povertà di notevole portata, nonché un aumento del tasso di diseguaglianze sociali altrettanto impressionante, de facto hanno indirizzato se stesse lungo il vicolo cieco del suicidio assistito. Le masse oggi, oltre ad essere orfane di rappresentanza, sono anche il frutto di un processo di depoliticizzazione progressiva che comincia con la scomposizione del lavoro, continua con il sistema delle privatizzazioni, attraversa la prima crisi economica del 2007 e sbatte la testa più o meno come può ad ogni elezione, esattamente come può fare un disperato.
Nella religione comune che chiede a tutti di divenire “imprenditori di se stessi”, il Partito Democratico si è mai chiesto cosa accade realisticamente nella società e nei singoli territori? Ha mai capito che andando in quella direzione abbracciava l’idea secondo cui la competitività si andava progressivamente sostituendo al welfare e che l’individualismo stava prendendo il posto della società novecentesca segnata dal collettore delle ideologie e dalle politiche redistributive? Si è accorto che esiste la società? Questa campagna elettorale giocata sui social, sulle imprese di marketing politico, sulla misurazione dei sentimenti popolari tramite raffinatissimi algoritmi nella canicola estiva è stata, per chi scrive, la più feroce di tutti i tempi da osservare, proprio perché nascondendo e dissimulando i bisogni reali della società e della sua tenuta, ha lasciato campo libero al ritorno della Storia, come in una sorta di profezia che si autoavvera lasciando tutti attoniti e impotenti.
Ed è qui, dentro queste assenze di parole, pratiche e politiche di sinistra che la Meloni ha potuto raggiungere questo risultato. Ad aiutarla anche un altro elemento pericolosissimo: la “donnità”. Leggendo la sua autobiografia si capisce perfettamente che per lei “essere donne” significa attivare un rilancio simbolico dell’utero della Nazione.
Nulla di tutto questo ha a che fare con il femminismo degli anni Settanta e con parte di quello contemporaneo. Checché ne dicano alcune donne che mirano a tenere alta la bandiera del politically correct, qui c’è solo violenza e ferocia, vendetta, livore, cultura del capro espiatorio. Difenderla solo perché donna e “madre” significa partecipare a quel terribile game collettivo secondo cui la politica si fa a partire dalle identità di genere e non a partire dalla qualità delle politiche stesse, a partire dal modello di sviluppo che si sceglie e a partire dal rimettere insieme politica e società. Ingredienti fondativi anche per le politiche anti-razziste e anti-sessiste.
Stupirsi o non ammettere i propri errori per chi fa politica è a sua volta un errore, però chissà… Forse questa è davvero la volta buona per riconnettere politica e storia, politica e società, per ripensare il conflitto, così come nuove pratiche di relazione e alleanze. D’altronde a mali estremi, estremi rimedi. Probabilmente le piazze si riempiranno per difendere la 194, contro la riforma della Costituzione e il presidenzialismo, ai primi tagli alla scuola e all’università, all’interno di un contesto che certamente acuirà la criminalizzazione del dissenso e tanto altro, come avviene sistematicamente in Ungheria e altrove. Probabilmente la Meloni verrà demitizzata, come già accaduto a Salvini (urlare non è come governare) perché non sarà in grado di rispondere alle imprese e alla rabbia popolare allo stesso tempo e tanto altro. Tutti scenari possibili e da scrivere, vivere. Tuttavia, ciò che appare davvero chiaro in questo orizzonte nebuloso è che non verrà certamente dal PD la nostra liberazione collettiva e singolare. Infatti, se vuole diventare adulto adesso deve davvero scrivere il suo diario degli errori.
Immagine di copertina da Flickr