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Uccidete Paul Breitner

Seguendo un pallone che va dalla finale dei mondiali del ’78 nell’Argentina del dittatore Videla al perverso intreccio tra calcio ed economia dei mondiali brasiliani del 2014, la definitiva trasformazione di uno sport a prodotto televisivo che vediamo da uno schermo. Leggiamo “Uccidi Paul Breitner. Frammenti di un discorso del pallone” di Luca Pisapia

Uno dei miti fondativi della storia del calcio è legato alla figura del capitano dell’esercito inglese Wilfred “Billie” Nevill che nella prima guerra mondiale durante la Battaglia della Somme lanciò l’attacco calciando un pallone verso le trincee tedesche. Billie morirà cinque minuti dopo quel calcio d’inizio e con lui nel corso dell’intera battaglia oltre un milione di uomini da ambo le parti del fronte. In quel gesto fondativo c’è l’entusiasmo dell’agonismo calcistico e la sua funzione ideologica di strumento di controllo di massa. Quel pallone continua a rotolare da oltre un secolo e arriva oggi a una finale del campionato del mondo in cui si mette spettacolarmente in scena lo scontro tra il multiculturalismo francese, in cui è forte la presenza di calciatori migrati di varie generazioni, e il nazionalismo della squadra croata, in cui giocano solo calciatori espatriati in mezza Europa, come se invece non si trattasse di due facce dello stesso processo di deterritorializzazione capitalistica.

 

 

In Uccidi Paul Breitner. Frammenti di un discorso sul pallone di Luca Pisapia, appena uscito per la collana Quinto Tipo delle Edizioni Alegre, quella palla viene avvistata al centro del campo dell’Estadio Monumental di Buenos Aires il 25 giugno del 1978. È il giorno della finale dei campionati del mondo d’Argentina e in campo c’è la formazione albiceleste dei padroni di casa contro gli arancioni dell’Olanda. Entrambe le compagini indossano le maglie dell’Adidas, l’azienda tedesca la cui storia è così strettamente legata al nazismo che durante la seconda guerra mondiale prestò le sue fabbriche per occultare la produzione del Panzerschreck, il bazooka anticarro della Wehrmacht.

Le due formazioni in campo paiono assai diverse rispetto a quella storia. Se infatti da una parte c’è l’Argentina del dittatore Videla che assiste alla partite dalle tribuna consapevole del successo con cui ha trasformato i mondiali di calcio in una eccezionale macchina di occultamento delle torture e della repressione politica, dall’altro c’è la nazionale che ha rivoluzionato le regole del gioco del calcio grazie agli schemi partecipativi di Rinus Michels.

 

 

Eppure, dice Luca Pisapia, quella rivoluzione tattica si appresta già a diventare un momento di rifunzionalizzazione del gioco alle mutate esigenze di valorizzazione capitalista e spettacolare il cui esito sarà dispiegato dal Milan di Arrigo Sacchi e Silvio Berlusconi. Il calcio totale di Michels e Cruijff, in cui tutti i giocatori in campo sono chiamati a partecipare attivamente a tutte le fasi del gioco è soltanto il riflesso calcistico della qualità totale del postfordismo toyotista in cui ogni lavoratore è obbligato a dare tutto se stesso nell’intero processo produttivo.

 

 

Alla fine l’Argentina vince ai tempi supplementari sotto lo sguardo passivo di Arcadio Lopez, uno dei protagonisti del libro. Il suo sguardo inerme si sposta dal piccolo televisore Brionvega da undici pollici all’andirivieni di dissidenti torturati mentre alle sue spalle campeggia un poster con i ricercati della Rote Armee Fraktion, l’organizzazione guerrigliera tedesca che pochi mesi prima aveva rapito e ucciso H.M. Schleyer, l’ex-ufficiale delle SS e capo della Confindustria tedesca. Lo sguardo di Lopez appare impotente come quello a cui «è costretto qualsiasi spettatore: il calcio è un dispositivo di potere», scrive Luca Pisapia.

La trama del libro è una prigione di avvenimenti in cui la riflessione teorica e quella narrativa convivono senza soluzione di continuità tra campioni, faccendieri e onesti operai del pallone. Gli episodi sono fili che si intrecciano e si attorcigliano a disegnare una macchia di Rorschach grande come un campo di calcio «dalle dimensioni variabili di cento-centodieci metri di lunghezza per sessantaquanttrosettancinque di larghezza, sul quale ciascun individuo o gruppo cerca la giustificazione della propria appartenenza». La macchia è in realtà una macchina, il dispositivo di potere che viene narrato nel libro inseguendo un pallone.

È il pallone della morte di Billie Nevill che rimbalza da un capitolo all’altro, arriva con un lancio nel Brasile 2014 per raccontare la relazione tra calcio ed economia attraverso lo sguardo di un emissario della Fifa di nome M. e poi ritorna in contropiede fino ai mondiali degli Stati Uniti del 1994, quando la nazionale italiana del totaalvoetbal di Arrigo Sacchi fa la stessa fine di quella olandese nel 1978 perdendo la finale con il Brasile di Romario. Dall’interno del centro commerciale di Regno a Venire di J.G. Ballard i personaggi evocano le storie di calciatori dissidenti come Eric Cantona e Paolo Sollier o calciatori hacker del sistema economico-finanziario del pallone come Ali Dia o Carlos Kaiser.

Il grande assente del romanzo fino a un certo punto pare essere proprio il protagonista del titolo. Paul Breitner, il terzino sinistro di estrema sinistra, il capellone barbuto che si presentava agli allenamenti con il libretto rosso di Mao. Il giocatore che vinse con la Germania Ovest gli europei del 1972 e i mondiali del 1974. Quello che segnò il gol della bandiera nella finale dei mondiali del 1982 contro l’Italia di Bearzot e Pertini. Paul Breitner era assente anche ai Mondiali dell’Argentina di Videla del 1978. Non si trattò di una forma di boicottaggio, come certa stampa ipotizzò all’epoca. Paul Breitner quel mondiale non lo disputò per questioni di premi partita e problemi con il commissario tecnico Helmut Schön. Non lo disputò dopo aver scelto di giocare con un contratto milionario con il club di un altro dittatore, il Real Madrid di Francisco Franco.

 

 

Per questo la RAF ipotizza di ucciderlo. Se nel mondo realmente rovesciato il vero è un momento del falso, l’aura militante di Breitner si iscrive integralmente all’interno dello spettacolo calcistico come uno dei tanti personaggi di cui la messa in scena ha sempre più bisogno. Un buddista come Roberto Baggio, un bambino come Pippo Inzaghi, un salutista come Alessandro Del Piero.

È quello che prevede il calcio totale: mentre il ruolo tattico si espande sul campo quello spettacolare deve essere sempre più definito. Il campo da gioco è il campo della guerra totale di von Clausewitz, in cui ciascuno è chiamato a svolgere il proprio compito. Per questo serve un comunista come Paul Breitner, disposto a tagliarsi la barba per pubblicizzare una marca di dopobarba, per invitarci a inseguire la palla di Billie Nevill lanciata verso la morte.

 

 

Quel pallone, che è tra i pochi sopravvissuti alla battaglia della Somme, è conservato in una teca dell’Imperial War Museum di Dover. La scritta sul cuoio oramai è illegibile ma proprio lì, come su una bomba sganciata in una guerra recente, i soldati inglesi avevano inciso il messaggio che il nemico non avrebbe mai potuto leggere. «No referee»: non ci sono arbitri. Non ci sono regole da rispettare, in guerra come nel calcio globale. Per questo dobbiamo uccidere Paul Breitner e per questo oggi ci sediamo a godere lo spettacolo di Francia-Croazia già sapendo chi sarà il vincitore.