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Turchia, partiti e alleanze alla vigilia delle elezioni

I cittadini della Repubblica di Turchia domenica si troveranno a dover scegliere tra 25 partiti di cui 10 raccolti in quattro coalizioni. Erdoğan è pronto con il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo e i suoi alleati. Sono tre i poli decisivi: la coalizione di Erdoğan, La coalizione progressista e La coalizione filo-curda

Il 14 Maggio le popolazioni che vivono nella Repubblica di Turchia saranno chiamate a decidere nelle urne il futuro dello Stato turco, da cui dipendono gli equilibri di tutta la regione con forti ripercussioni fino all’Europa.

Ai seggi, gli aventi diritto dovranno votare per rinnovare la Camera dei Deputati ed eleggere un nuovo presidente, a ormai vent’anni dall’ascesa politica di Recep Tayyip Erdoğan, il tutto in un contesto di estrema polarizzazione e repressione politica.

La legge elettorale turca prevede la formazione di coalizioni come strumento per superare la soglia di sbarramento fissata al 7% per i partiti che si candidano senza stringere alleanza. I partiti che si presentano con il proprio simbolo all’interno di una coalizione senza superare lo sbarramento, otterranno comunque dei deputati se questi superano la cosiddetta “soglia di sbarramento provinciale” nelle province in cui sono stati candidati.

Il sistema dello sbarramento provinciale presenta uno svantaggio per le coalizioni ampie, ogni partito ottiene un numero di deputati proporzionale alla percentuale raggiunta dal proprio partito, frammentando il voto in molti risultati minori che impediscono alla coalizione di ottenere la quantità di deputati che raggiungerebbe con la percentuale complessiva. Per questo motivo, i tre poli che si sono venuti a creare hanno lavorato in questi mesi, ognuno nella propria coalizione, per raggiungere un’intesa tale da presentare sotto un’unica lista i candidati di tutti i partiti alleati, facendo così trovare agli elettori un solo simbolo da barrare per ogni coalizione. Tuttavia tutte e tre le coalizioni non sono riuscite in pieno in questa impresa.

L’11 Aprile è scaduto il termine ultimo per la presentazione delle liste elettorali, i cittadini della Repubblica di Turchia tra un mese si troveranno a dover scegliere tra 25 partiti di cui 10 raccolti in quattro coalizioni, tre delle quali rappresentano i poli principali che sono stati formati in questi lunghi mesi di trattative.

La coalizione di Erdogan 

Il presidente uscente Recep Tayyip Erdoğan si prepara da tempo a queste elezioni, raccogliendo intorno al Partito per la Giustizia e lo Sviluppo o AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi) tutte le sigle appartenenti alla galassia della destra radicale nazionalista e religiosa, raccolti in una coalizione denominata Alleanza Popolare (Cumhur İttifakı). Tuttavia Erdoğan non è riuscito nell’impresa di presentare una lista unica, ragion per cui gli elettori troveranno sulla scheda i simboli dei partiti che formano l’attuale alleanza di governo: AKP e MHP, con l’aggiunta di Büyük Birlik Partisi e Yeniden Refah Partisi.

L’alleato d’acciaio di Erdoğan resta il Partito del Movimento Nazionalista o MHP (Milliyetçi Hareket Partisi) braccio politico dei Lupi Grigi (Bozkurtlar). I Lupi Grigi sono un movimento paramilitare nazionalista protagonista di un’ondata di violenze che negli anni 1970 provocarono oltre 5.000 morti in Turchia, con la spaventosa media, secondo le organizzazioni per i diritti umani, di 20 assassinii al giorno tra attivisti di sinistra, liberali, intellettuali, giornalisti e semplici cittadini appartenenti alle minoranze del paese, primi tra tutti curdi e armeni. Il movimento è stato tra l’altro indicato in diverse inchieste come colonna vertebrale della struttura Gladio in Turchia, denominata Kontrgerilla. Il movimento è molto attivo in Europa, gestendo principalmente in Germania un traffico di eroina funzionale al finanziamento delle attività paramilitari in patria , seppure nel vecchio continente sia principalmente conosciuto a causa del tentato omicidio di Papa Giovanni Paolo II da parte di Mehmet Ali Ağca, membro del movimento.

Il Partito della Grande Unione (Büyük Birlik Partisi) è un partito fondato su una sintesi ideologica tra nazionalismo e islamismo, in cui però l’appartenenza alla religione islamica è considerato un pilastro dell’identità dello Stato ancor più importante dell’appartenenza all’etnia turca.

Il Nuovo Partito del Benessere (Yeniden Refah Partisi) è stato fondato nel 2001 da Faith Erbakan, figlio dell’ex primo ministro Necmettin Erbakan. Il Partito si basa sull’ideale del panislamismo: Il progetto di un mondo islamico unito in una visione radicale e politica dell’Islam sotto la guida dello Stato turco. Erbakan ha dichiarato di aver accettato la proposta di far confluire i propri candidati nella lista di AKP in seguito a un accordo che prevede la promessa di non ritorno della Turchia nella convenzione di Istanbul, un’ulteriore stretta in senso conservatore sui diritti delle donne e l’implementazione di restrizioni contro la comunità LGBT+, in particolare l’eliminazione della legge 6264 per la protezione della famiglia e la prevenzione della violenza sulle donne.

Sotto al simbolo dello stesso AKP invece, allo scopo di arginare lo sbarramento provinciale, sono confluiti i candidati di una decina di partiti e organizzazioni affini, tra cui la più degna di nota è senza dubbio HÜDA PAR. Il Partito della Causa Libera o HÜDA PAR (Hür Dava Partisi) è un partito islamista sunnita, diretto successore dell’organizzazione paramilitare Hezbollah attiva nel Kurdistan del Nord occupato dalla Turchia a partire dagli anni 1990. Seppure omonima della ben più famosa organizzazione sciita con base in Libano, le due non sono collegate. Hezbollah in Turchia è stata fondata da elementi islamisti Turchi e Curdi in collaborazione con il JiTEM, il servizio di intelligence militare della gendarmeria turca, allo scopo principale di contrastare la crescente egemonia politica del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Partîya Karkerén Kurdîstan) in Kurdistan. JiTEM e Hezbollah hanno seminato per decenni il terrore in Kurdistan tramite una campagna di assassinii di attivisti politici di sinistra e curdi utilizzando principalmente il metodo a noi tristemente noto come “lupara bianca” (ovvero la sparizione forzata, n.d.r.). Giornalisti come Hafiz Akdemir, del giornale curdo Özgür Gündem, Namik Taranci, del settimanale Gerçek, e decine di altri che hanno indagato sui legami organici tra Hezbollah e lo Stato turco sono stati assassinati. Tra le vittime di JiTEM figura Savaş Buldan, uomo d’affari curdo e marito di Pervin Buldan, l’attuale co-presidente del Partito Democratico dei Popoli HDP, nonché padre di Zelal Buldan, nata il 3 giugno 1994, data dell’assassinio di Savaş.

La coalizione progressista

Di fronte all’opportunità storica di mettere fine alla carriera di Erdogan e forse fermare la svolta autoritaria del Paese, l’opposizione nazionalista ha creato un fronte compatto che ha preso il nome di Alleanza Nazionale (Millet ittifakı) guidato dal Partito Popolare Repubblicano o CHP (Cumhuriyet Halk Partisi) fondato nel 1923 da Mustafa Kemal Pasa, conosciuto dal 1934 in poi come Atatürk. L’uomo scelto dal CHP per concorrere con Erdoğan per la carica di presidente della Repubblica, in accordo con la coalizione di opposizione ufficiosamente denominata “Il Tavolo dei sei”, è Kemal Kılıçdaroğlu. Kılıçdaroğlu ha assunto la carica di presidente del CHP nel 2010 ed è stato il promotore del percorso di unificazione dei partiti di opposizione che ha portato alla costituzione del “Tavolo dei sei” a cui hanno aderito: İYİ Parti, Saadet Partisi, Gelecek Partisi, DEVA e Demokrat Parti.

Tra i sei spicca indubbiamente il “Buon Partito” İYİ Parti di Meral Akşener. İYİ nasce nell’ottobre 2017 a seguito di una scissione avvenuta in seno all’MHP, da allora Akşener ha saputo rimaneggiare la linea apertamente fascista di MHP per modellare un partito di destra radicale che è riuscito a guadagnarsi un largo consenso tra l’elettorato di centrodestra, distanziandosi dalla narrativa etno-nazionalista che rappresenta la spina dorsale del partito da cui proviene. Tra i sei sarà l’unico altro partito a correre con il proprio simbolo al fianco del CHP.

Altro partito storicamente rilevante nello scenario politico turco è il “Partito della Felicità” Saadet Partisi, un tempo partito di primo piano nello scacchiere politico e ora relegato a un 2%. Saadet rappresenta l’eredità del movimento politico islamista Millî Görüş fondato da Necmettin Erbakan, padre di Faith Erbakan, il presidente del Yeniden Refah Partisi. Millî Görüş (Opinione nazionale) è un movimento islamista con una forte componente nazionalista, attivo a partire degli anni 1960. Molti dei volti noti della politica turca provengono dalle fila di Millî Görüş tra cui gli stessi Recep Tayyip Erdoğan e il suo ex alleato di ferro diventato nel tempo sua nemesi Fethullah Gülen.

Gülen è il fondatore di un movimento politico, sociale e religioso che conta centinaia di migliaia di seguaci in Turchia e in tutto il mondo islamico. Considerato il ricercato numero uno dallo Stato turco dopo essere stato accusato di aver architettato il fallito golpe del 2016, Gülen ha perso molta della sua influenza all’interno delle istituzioni turche da quando Erdoğan ha utilizzato il golpe come casus belli per operare una pulizia politica nei pubblici uffici del paese dichiarando il movimento gülenista una “associazione terroristica”. Decine di migliaia di dipendenti pubblici accusati di essere simpatizzanti gülenisti sono stati licenziati e arrestati e nella rete, oltre ai veri sostenitori del movimento, è finito ogni genere di profilo sgradito al governo di Ankara.

Chiaramente Gülen e il suo movimento non hanno espresso una posizione sulle elezioni, tuttavia è opinione comune che sosterranno il blocco di opposizione, soprattutto in seguito a delle dichiarazioni favorevoli di Kılıçdaroğlu rispetto alla riassunzione di coloro che sono stati licenziati da incarichi pubblici per questioni politiche, con annessa compensazione economica.

La coalizione filo-curda

La terza coalizione denominata Alleanza del Lavoro e della Libertà (Emek ve Özgürlük ittifakı) è composta da 15 partiti curdi e diversi partiti appartenenti a vasta galassia della sinistra turca che per arginare l’ostacolo dello sbarramento correranno insieme sotto il simbolo del neonato Partito della Sinistra Verde (Yeşil Sol Parti). L’unico altro partito a correre con il proprio simbolo all’interno della coalizione sarà il Partito dei Lavoratori o TIP (Türkiye İşçi Partisi) con cui i tentativi di trovare un accordo per partecipare con un unico simbolo sono infine naufragati.

Tra le molte sigle che si sono unite sotto l’ombrello della sinistra verde spicca chiaramente il Partito Democratico dei Popoli o HDP (Halkların Demokratik Partisi). Nonostante sia la terza forza politica del Paese, l’HDP ha deciso di non concorrere utilizzando il suo simbolo, ma di convergere su una nuova organizzazione, a causa del processo politico a cui è sottoposto. Il partito intero, a partire dai suoi ex copresidenti Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ, è infatti al centro di un processo a dir poco kafkiano che prende, non con poca ironia, il nome di “Processo Kobane”.

L’accusa mossa contro il partito e i suoi leader è di aver fomentato i disordini scoppiati tra manifestanti e polizia quando, nel pieno dell’assedio di Kobane da parte dell’ISIS, l’HDP ha indetto diverse manifestazioni per esortare il governo turco a cessare il sostengo ai gruppi jihadisti e iniziare piuttosto a sostenere i combattenti curdi che resistevano nella città. Per questa accusa, che si è nel tempo tramutata in una generica accusa di sostegno al terrorismo, il Ministero degli Interni ha, fino a ora, sospeso 48 dei 65 sindaci dell’HDP, mentre a sei non è stato neanche permesso di insediarsi dopo aver vinto le elezioni. Questi dati si sommano a circa 5.000 deputati, amministratori locali e militanti del partito in carcere, tra cui gli stessi Demirtaş e Yüksekdağ. A questo proposito, i media di Stato turchi hanno accolto come uno scandalo il rapporto sulla Turchia del DOS, il dipartimento di Stato USA, in cui si legge: “I gruppi per i diritti umani sostengono che molti detenuti non hanno alcun legame sostanziale con il terrorismo e sono stati arrestati per mettere a tacere le voci critiche o indebolire l’opposizione politica al Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) al governo, in particolare l’HDP o il suo partito partner, il Partito delle Regioni Democratiche”.

La coalizione Democratica ha deciso di non presentare un proprio candidato per la corsa alla presidenza, preferendo utilizzare la propria influenza per sostenere esternamente il candidato di opposizione Kılıçdaroğlu. Questa decisione è stata presa dopo settimane di intense discussioni all’interno della coalizione e con l’elettorato, che sono culminate in un incontro proprio tra Kılıçdaroğlu ed i co-presidenti di HDP Pervin Buldan e Mithat Sancar.

Sebbene il CHP sia direttamente responsabile della repressione dell’identità curda dalla fondazione della repubblica a oggi, macchiandosi di innumerevoli massacri in Kurdistan, inferti in nome del nazionalismo turco kemalista, ci sono due ragioni principali per cui l’opposizione democratica curda e turca ha deciso di sostenerne il candidato presidente.

Kılıçdaroğlu rappresenta l’ala più moderata del CHP e da quando ha assunto la guida del partito ha iniziato un processo di autocritica volto a fare i conti con la storia passata e a ripulire l’immagine del kemalismo come dottrina politica. Seppure sia stato un sostenitore della prima ora della repressione politica dello stesso HDP, arrivando anche a votare a favore della sospensione dell’immunità parlamentare per i deputati democratici, la deriva fortemente autoritaria della Turchia degli ultimi anni sembra aver convinto il leader repubblicano a rivedere le sue posizioni, fino a dichiarare che i prigionieri politici devono essere rilasciati e la questione curda risolta democraticamente in parlamento.

Il punto di svolta è stato, nel 2017, l’arresto e la condanna a venticinque anni di carcere per spionaggio di Enis Berberoğlu, l’allora numero due del CHP. La marcia organizzata in seguito all’arresto di Berberoğlu è valsa a Kılıçdaroğlu il soprannome di “Gandhi turco”, soprannome a dir poco eccessivo considerando che appena un anno prima le città curde amministrate dall’HDP come Şırnak, Amed e Cizre erano state prese d’assedio dall’esercito turco e bombardate con annessi massacri e crimini di guerra, senza che il CHP o chiunque altro alzasse un dito. A tal proposito è degna di nota la presenza tra le liste del Partito della Sinistra Verde di Hüseyin Birlik, fratello di Hacı Lokman Birlik, che durante l’assedio di Şırnak è stato ucciso, legato a un blindato e trascinato seminudo per le strade della città.

La ragione principale che ha convinto la coalizione guidata dal Partito della Sinistra Verde però è di natura più ampia. Con il suo sostegno, Kılıçdaroğlu ha una probabilità reale di sconfiggere il presidente uscente e interromperne il controllo totale sulle istituzioni politiche, giudiziarie e sui sistemi d’informazione, portando al crollo dell’intero castello di carte.

Oltre alle conseguenze dirette di cui beneficerebbero tutte le popolazioni che vivono all’interno dello Stato turco, schiacciate dalla repressione politica e civile e che subiscono le conseguenze economiche della politica di guerra totale degli ultimi anni, la caduta di Erdoğan rappresenterebbe l’inizio di una nuova fase della politica turca nei confronti del popolo curdo in tutte e quattro le parti del Kurdistan. La fine del regime autoritario e guerrafondaio in Turchia potrebbe portare a uno stop dell’invasione in corso nel Nord Iraq/Sud Kurdistan e a un nuovo processo di pace tra Stato turco e PKK. Quest’ultimo, in seguito al devastante terremoto che ha colpito la regione, ha già dichiarato uno storico cessate il fuoco unilaterale, e da anni si dichiara pronto a riprendere i colloqui di pace con lo Stato turco.

La rivoluzione del Rojava e la stessa guerra civile siriana potrebbero finalmente essere a un punto di svolta se verrà a mancare il sostegno di Erdoğan alle milizie jihadiste che occupano il Nord-Ovest e parte del Nord-Est, con l’apertura di uno spiraglio sulla possibilità di un periodo di pace per l’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est.

D’altra parte, di fronte alla possibilità di un collasso del sistema di repressione statale messo in piedi in due decenni, Erdoğan potrebbe finalmente trovarsi a dover pagare dei crimini di guerra commessi in tutta la regione e oltre, dal Kurdistan all’Armenia passando per assassinii commessi a Parigi nel 2013 e 2022, per cui potrebbe finalmente essere fatta giustizia.

Questa situazione porta insieme alla speranza anche un’ondata di preoccupazione tra analisti e giornalisti in Turchia e all’estero. Sia l’opposizione nazionalista che il blocco democratico hanno da tempo messo in guardia l’opinione pubblica turca e internazionale sulla probabilità che, messo alle strette, Erdoğan tenti in ogni modo di rimanere aggrappato al potere.

Per il presidente in carica la campagna elettorale è iniziata con l’invasione del Rojava del 2019 e con l’invasione ancora in corso sulle montagne del Sud Kurdistan, con il controllo statale sui media e l’arresto sistematico dei giornalisti sgraditi al governo, il processo di messa al bando dell’HDP e la campagna di diffamazione sistematica dell’opposizione. Ora le opposizioni si preparano a difendere i seggi dai brogli, già sistematici ed ora particolarmente temuti soprattutto nelle aree colpite dal terremoto, dove il governo ha imposto lo Stato d’emergenza. Per questo motivo l’HDP ha lanciato un appello a inviare da tutto il mondo attivisti, giornalisti, politici e chiunque abbia a cuore il futuro democratico della regione, come osservatori nelle aree che non verranno raggiunte dalle missioni di osservazione ufficiali.

Immagine di copertina da Openverse di Jcornelius