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MONDO

Turchia, le proteste dopo il caso İmamoğlu. Intervista a Saruhan Oluç

Il deputato e co-portavoce del partito DEM fa un’analisi delle grandi manifestazioni che scuotono la Turchia dopo l’arresto di Ekrem İmamoğlu, sindaco di Istanbul e potenziale rivale di Erdoğan alle prossime elezioni presidenziali del 2028

La Turchia è di nuovo in piazza, non solo contro un arresto, ma contro un’intera traiettoria politica che da anni restringe gli spazi democratici nel paese. L’incarcerazione di Ekrem İmamoğlu, sindaco di Istanbul, figura di primo piano dell’opposizione al governo di Recep Tayyip Erdoğan e candidato in pectore alla presidenza con il Partito popolare repubblicano (CHP) ha rappresentato la scintilla che ha infiammato decine di città. Una risposta popolare immediata, diffusa, resistente, che ha riportato nelle strade studenti, unioni sindacali, militanti curdi e curde, femministe, comunità religiose, cittadini e cittadine di ogni età. Come raccontato nel nostro precedente approfondimento, siamo di fronte a un nuovo momento di rottura in cui la repressione istituzionale incontra una società civile che non ha intenzione di farsi silenziare.

Negli ultimi giorni, diversi osservatori e media internazionali hanno iniziato a raccontare la complessità di quanto sta accadendo in Turchia. Le piazze si riempiono nonostante la crescente militarizzazione: giornalisti aggrediti, telecamere oscurate, arresti indiscriminati contro manifestanti. Ma la stretta repressiva e le tensioni politiche si accompagnano alla crisi economica. Il clima di instabilità e autoritarismo ha avuto ripercussioni immediate anche sul piano finanziario: la lira turca è crollata di oltre il 12% e potrebbe aver portato la Banca centrale turca (Tcmb) a un intervento straordinario attraverso una massiccia vendita di valuta estera. In questo quadro, la repressione non colpisce soltanto i corpi in piazza, ma alimenta un senso diffuso di sfiducia, impoverimento e precarietà sociale, mostrando come la crisi democratica e quella economica siano strettamente intrecciate e colpiscano tutto il tessuto sociale.

In questa fase, a segnalare una discontinuità sono soprattutto le nuove generazioni, le quali, cresciute sotto governi sempre più autoritari, hanno scelto di tornare in piazza. Non si tratta solo di militanti o attivisti con un percorso politico alle spalle, ma di ragazze e ragazzi che esprimono un disagio diffuso, una richiesta di dignità e futuro. Come ha scritto su Internazionale la giornalista e scrittrice turca Ece Temelkuran, da anni voce critica del regime di Erdoğan e ora in esilio, «schiacciati dal regime e dalla crisi economica, i giovani avevano perso ogni speranza nel futuro, ma ora hanno deciso di tornare in piazza sfidando il divieto di protestare e rischiando di scontrarsi con la violenza indiscriminata della polizia».

Il loro slogan – “Se noi bruciamo, brucerete con noi” – dice molto del tono di queste mobilitazioni: non è solo rabbia, è una forma di resistenza consapevole, anche disperata, ma ancora viva. Una presenza che, pur tra mille contraddizioni, restituisce l’immagine di una società che non ha rinunciato a immaginare un’alternativa

Le proteste in corso, seppur scatenate dall’arresto di İmamoğlu, rappresentano quindi l’espressione di una più ampia “lotta per la democrazia”. La vicenda del sindaco di Istanbul ha infatti generato una reazione che va oltre i confini dell’opposizione politica organizzata, coinvolgendo fasce sempre più estese della società turca, accomunate da una crescente insofferenza verso l’autoritarismo e il progressivo svuotamento delle istituzioni democratiche. La risposta del governo, di contro, è durissima: in pochi giorni sono state arrestate quasi 1.900 persone in tutto il paese, mentre esponenti del giornalismo e dell’attivismo sono finiti nel mirino delle autorità.

Le parole di Saruhan Oluç

L’intervista che segue si apre a partire da un punto centrale per il Partito della Democrazia dei Popoli (HDP/DEM): la richiesta che vengano attuate le indicazioni contenute nell’“Appello per la pace e la società democratica” lanciato da Abdullah Öcalan il 27 febbraio 2025. Secondo Saruhan Oluç, deputato e co-portavoce del partito, si tratta di un passaggio politico che mette al centro la democratizzazione del paese e la ricerca di una soluzione politica e pacifica alla questione curda. Giornalista e attivista, Oluç è stato eletto deputato per Istanbul nel 2018. Da anni è una figura di riferimento nell’opposizione parlamentare, attiva tanto sul fronte dei diritti civili quanto su quello della giustizia sociale. Nelle sue parole emerge con chiarezza il legame tra repressione interna e crisi democratica, ma anche l’urgenza di un sostegno internazionale coerente, in particolare da parte dell’Unione Europea e delle forze progressiste europee. Più che un’analisi a posteriori, la sua è una presa di posizione che guarda al presente: alle responsabilità del governo turco, ma anche al ruolo che l’opposizione e la società civile possono giocare per aprire nuovi spazi di agibilità politica.

«L’arresto di İmamoğlu è uno sviluppo illegale. Si tratta di un’operazione con un forte contenuto politico. È il risultato dell’assenza dello stato di diritto e del mancato funzionamento dei principi del diritto democratico».

«Al momento non è chiaro quando si terranno le elezioni, ma ciò che sta accadendo equivale a una ridefinizione del campo politico attraverso l’intervento del potere giudiziario. Una parte dell’inchiesta riguarda anche la nostra pratica elettorale chiamata “kent uzlaşması” (accordo urbano/convergenza urbana), che viene trattata come se fosse un’attività terroristica. È inaccettabile che una strategia politica e elettorale legittima e democratica venga interpretata in questo modo».

Parlando delle proteste, Oluç distingue con chiarezza tra forme diverse di partecipazione: «Da un lato ci sono le proteste degli iscritti e degli elettori del CHP. Dall’altro, ci sono i giovani che reagiscono alle azioni del governo manifestando senza che ci sia stata una decisione esplicita da parte di questo o quel partito. Si tratta di proteste con piena legittimità democratica, l’esercizio di un diritto costituzionale: quello alla manifestazione democratica. Il fatto che ci siano così tanti arresti e fermi è un chiaro segnale della pressione in atto. Bisogna rispettare la volontà del popolo».

Un altro passaggio centrale dell’intervista riguarda le richieste avanzate da DEM in questa fase e le possibili iniziative, sia parlamentari che internazionali, per denunciare quanto sta accadendo. «Come partito, stiamo lavorando affinché vengano attuate le indicazioni contenute nell’“Appello per la pace e la società democratica” annunciato da Abdullah Öcalan il 27 febbraio 2025. Si tratta di un appello che, insieme alla pace, mira alla democratizzazione del paese e allo sviluppo dei principi del diritto democratico».

«Riteniamo necessario compiere passi concreti per una soluzione democratica e pacifica della questione curda, e per avanzare nel campo della democrazia, della giustizia e della politica democratica. In Parlamento presentiamo le nostre proposte su questi temi e continuiamo a esprimere critiche rispetto a quanto sta accadendo. La nostra lotta va avanti»

Abbiamo chiesto a Saruhan Oluç quale tipo di sostegno si aspetti da parte dell’Unione Europea e dei movimenti della sinistra europea, e come giudichi le reazioni finora espresse da istituzioni e governi di fronte alla crisi democratica in Turchia. «Un sostegno politico per una democratizzazione diffusa in Turchia è molto importante. Allo stesso tempo, è fondamentale che l’Unione Europea si attivi per portarne avanti il processo di adesione e che la sinistra europea sostenga questo percorso».

Sulle possibilità che l’arresto di İmamoğlu, avvenuto pochi giorni dopo l’Appello di Öcalan, abbia modificato o compromesso le aspettative rispetto a una possibile soluzione politica, ampia e condivisa, non solo per la questione curda ma per l’intera crisi democratica che attraversa il paese, risponde: «L’unica via per una soluzione politica e inclusiva è l’avanzamento della democratizzazione e del principio dello stato di diritto. Gli eventi degli ultimi giorni hanno danneggiato l’ambiente democratico e pacifico che avrebbe dovuto nascere a partire dall’Appello di Öcalan. Noi continuiamo a lottare per rafforzare le basi e l’idea stessa di una società pacifica e democratica».

Ciò che accade sulle rive del Bosforo mette in discussione i fondamenti stessi della democrazia in un tempo segnato da derive autoritarie e politiche di repressione diffuse. La mobilitazione in difesa di Ekrem İmamoğlu parla a una crisi più profonda, che tocca la possibilità stessa di rappresentanza, giustizia e pluralismo. Dalle parole di Saruhan Oluç emerge con chiarezza che il nodo è strutturale: riguarda la direzione di un intero paese e il rischio concreto che la repressione si sostituisca alla politica, il carcere al confronto, la paura alla partecipazione. L’Appello di Öcalan del 27 febbraio, rilanciato dal DEM, non è un gesto isolato ma un invito a riscrivere l’orizzonte della convivenza, mettendo al centro pace e diritti.

Mentre le strade turche continuano a riempirsi, resta da capire se la comunità internazionale saprà – o vorrà – assumersi una responsabilità concreta di fronte a uno snodo così delicato. Le risposte, per ora, sono nelle piazze, ma anche nella capacità collettiva di ascoltarle, sostenerle, farle risuonare oltre i confini.

L’immagine di copertina, concessa dal partito DEM, ritrae Saruhan Oluç

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