ROMA

Dopo Torre Maura, Casal Bruciato. È ancora caccia contro i rom

Da Torre Maura a Casal Bruciato continua e s’inasprisce il clima d’odio contro i rom, raccolto ideologicamente dai militanti di Casapound, presenti sui luoghi delle proteste di queste ultime settimane nelle figure di Davide Di Stefano, responsabile CP Roma e Mauro Antonini. Dopo il caso del quartiere di Torre Maura, dove erano stati calpestati i pezzi di pane destinati alle famiglie rom del centro d’accoglienza della zona, è la volta di un altro quartiere periferico, quello di Casal Bruciato, dove a fare da scintilla è stata l’assegnazione di una casa popolare a una famiglia rom regolarmente in graduatoria e in attesa dell’abitazione. La protesta è scoppiata domenica sera quando una quarantina di abitanti del quartiere, venuti a conoscenza dell’assegnazione, hanno chiuso con dei cassonetti della spazzatura via Cipriano Facchinetti, vale a dire la strada sottostante il palazzo in cui avrebbe dovuto trasferirsi la famiglia assegnataria.  Il presidio, accompagnato da slogan di cui “la casa agli italiani” è stato quello più gettonato, è continuato per le giornate di domenica e lunedì ed è tuttora in corso.

I rom a Casal Bruciato non sono un nemico nuovo: già nei mesi scorsi Casapound si era scagliata contro l’accampamento di Via Tommaso Smith, nei dintorni del bisettimanale mercato rionale. Nel quartiere la destra che cavalca la cosiddetta e ormai tristemente nota “guerra tra poveri” per guadagnare consensi si manifesta e si respira dai commenti della gente fino alle scritte sui muri: compaiono talvolta manifestini bianchi con stampata una croce celtica, scritte in onore di camerati scomparsi e invettive contro la “società multiculturale”.

La composizione del quartiere è variegata: dagli abitanti originari ai nuovi immigrati da dentro e fuori i confini nazionali, sino ad alcune palazzine assegnate a famiglie che vengono da un percorso di occupazione e lotta per la casa, soprattutto quelle degli anni Settanta a San Basilio. Una parte di questa composizione sociale sembra però aver virato ben oltre un’emancipazione concentrata nella lotta per un diritto ampio

Chi vive il territorio sente spesso la contraddizione del sollevare una “questione di sicurezza” da parte dei cittadini di Casal Bruciato: proprio ieri durante il presidio contro i rom una signora commentava ironica e con tono distinto, riferendosi ai manifestanti «me fa ride che questi nun vogliono i rom, mentre io co uno di loro non ci prenderei neanche il caffè». È proprio in questo contesto che avvengono i fatti: domenica 7 aprile una coppia con tre figli entra in un appartamento al sesto piano del civico X di Via Cipriano Facchinetti, appartamento che le è stato assegnato da una regolare graduatoria pubblica. La famiglia viene notata dai condomini colpiti da alcuni denti d’oro nella bocca dei nuovi arrivati: la coppia è rom e da lì parte una strumentalizzazione politica a suon di “prima gli italiani” e “siamo diventati extracomunitari a casa nostra”. È odioso rincorrere questi discorsi sul piano dell’appartenenza nazionale, ma è doveroso ricordare che la coppia è italiana, come almeno il 50% dei rom, e dunque la questione del “prima gli italiani” non persiste. Sono semplicemente una minoranza, come ricordava il lucido Simone di Torre Maura. La logica non appartiene a quella rabbia innescata dall’arrivo degli odiati rom e alcuni degli abitanti del palazzo bloccano la strada con i cassonetti. Sul posto arrivano polizia e carabinieri. Mentre i reparti mobili, la vecchia celere, sbloccano la strada, i carabinieri portano via la famiglia rom per “motivi di sicurezza”. Pochi giorni prima un evento simile era accaduto nella vicina Via Diego Angeli: l’arrivo di una famiglia “non italiana” aveva generato una protesta che costringe ancora oggi queste persone a vivere barricate nel loro appartamento. In Via Facchinetti la tensione è però più alta e la famiglia non rientra, mentre sul posto si crea un costante capannello di persone, tenuti sui marciapiedi da un corridoio di poliziotti che garantisce il normale scorrere del traffico locale. È interessante vedere il doppio livello di argomentazioni all’interno del “presidio”: i simpatizzanti che guardano dal marciapiede esterno danno una versione dei fatti per cui la casa sarebbe stata occupata dai rom, oppure assegnatagli legittimamente ma sovrappopolata di 12-13 persone. I condomini della famiglia assegnataria sono invece molto più diretti: «la Raggi, l’amica degli studenti, ha assegnato la casa ai rom, e non agli italiani…noi qua i zingari nun li volemo». Pian piano la sera il presidio si scioglie, la polizia va via e rimane solo una pattuglia di piantone con i fari accesi di fronte al portone del palazzo; verso mezzanotte va via anche quella e il quartiere torna alla normalità. Il giorno dopo, lunedì, è quello invece dello show vero e proprio. Durante la notte si è infatti introdotta nella casa lasciata vacante dagli italiani della minoranza rom – che nel frattempo hanno rinunciato all’assegnazione –  una giovane donna romana con bambino al seguito. La mattina la donna viene fatta sgomberare dalla polizia, mentre i condomini incitano affinché venga assegnata a lei, nonostante non abbia mai fatto richiesta ufficiale di alloggio popolare. In mattinata arriva Di Stefano di CP che si aggrappa al megafono con le solite frasi di circostanza sulla difesa degli italiani, il pericolo dei rom, il favoritismo nei confronti degli stranieri. Sul posto arriva anche il camerata Antonini, responsabile di CP Lazio, con alcuni militanti sconosciuti, mentre ai lati del presidio un piccolo gruppetto di abitanti contrari a questa destra nera e al clima di rabbia che si sta manifestando ai danni di una famiglia duramente attaccata e stigmatizzata, si scambia timidamente delle frasi e reprime la voglia di esprimersi pubblicamente. La battaglia diventa adesso per Noemi e il suo bambino, simbolicamente fatta sedere al centro del presidio. Gli slogan si alternano tra “casa a Noemi” e “noi gli zingari non li vogliamo”, mentre Casapound organizza il fissaggio di un gazebo con bandiere tricolori.

Questa ennesima manifestazione d’intolleranza, che delle volte, dopo l’ennesimo grido di rabbia rimane un discorso muto e inceppato che non trova soluzione alla propria disperazione, si muove sullo sfondo di una Roma periferica impoverita e rabbiosa e alla ricerca di una dignità che le è stata sottratta. Quello che ha luogo in questo momento nel quartiere di Casal Bruciato o, più realisticamente, nello spiazzo all’ingresso del palazzo di via Facchinetti, rappresenta l’ennesimo fenomeno di razzismo e intolleranza strumentale, per lo più alle estreme destre, che vorrebbero che le periferie mantenessero quest’immagine escludente: cittadini vittime della paura e della crisi urbana, troppo a lungo ghettizzati e abbandonati dalla politica per poter accettare chiunque non sia italiano o rispecchi l’italianità. I rom devono quindi tornare nelle strade, nelle baracche o in quei grandi campi stanziali tanto odiati dalla popolazione e per cui la giunta Raggi aveva presentato nel 2017 un piano risolutivo che ne garantisse la chiusura. Allo stesso tempo anche la soluzione del campo viene osteggiata e stigmatizzata, secondo una volontà arida ed escludente che vede come unica soluzione quella che si è manifestata a Torre Maura e Casal Bruciato: niente pane e niente casa a persone che non hanno diritto all’esistenza.