MONDO
“Togliete di mezzo il presidente indio”. Cosa sta accadendo in Bolivia?
Evo Morales alla fine ha ceduto, annunciando nuove elezioni. Cos’è successo in Bolivia? Una cronistoria dalle alture di La Paz per analizzare il conflitto in seguito alle elezioni presidenziali dello scorso 20 ottobre. I dubbi delle opposizioni e le loro marce dalle componenti razziste, il ruolo dell’Organizzazione degli Stati Americani e il fantasma della polarizzazione che ricorda i decenni passati
Nelle ultime ore la situazione in Bolivia è precipitata: l’ammutinamento di diversi corpi di polizia a Cochabamba e a Santa Cruz segnala l’avanzata di un tentativo di golpe contro il presidente Evo Morales. Le proteste, che vanno avanti dalle elezioni del 20 ottobre, si sono intensificate in questi giorni, con un significativo aumento della violenza, come il sequestro e la violenza di gruppi paramilitari dell’opposizione contro Patricia Arce Guzmán, sindaca di Vinto, appartenente al MAS (Movimiento al Socialismo, il partito di governo). Dopo questi ultimi fatti, il presidente Evo Morales ha lanciato un appello chiamando alla resistenza e convocando alla mobilitazione pacifica in difesa della democrazia e della pace, denunciando un golpe in corso in Bolivia.
Negli ultimi giorni in aumento anche scontri tra sostenitori di Evo e gruppi legati al leader razzista di estrema destra Camacho, dei Comitati Civici di Santa Cruz, che ha preso il sopravvento nella leadership delle proteste e del tentativo di golpe contro Evo rispetto al candidato più votato dopo Morales, l’ex presidente Carlos Mesa. Le forze armate hanno dichiarato ieri che non interverranno né reprimeranno il popolo boliviano, in attesa di una soluzione politica, mentre l’opposizione ha lanciato per martedì la mobilitazione contro il governo, disconoscendo il voto e chiedendo che Morales abbandoni il potere, nonostante il riconteggio dei voti in corso. L’obiettivo delle destre, con un certo appoggio popolare nelle aree ricche del paese, a Santa Cruz e Cochabamba in particolare, è destituire Morales, non attendendo nemmeno il riconteggio dei voti.
La polarizzazione è estrema e sindacati, movimenti e organizzazioni legate al MAS stanno presidiando parti della città di La Paz e di El Alto e diverse aree del territorio nazionale. Continueremo a seguire nelle prossime ore e nei prossimi giorni l’evolversi della drammatica situazione boliviana. Pubblichiamo intanto un contributo di Pablo Mardones da La Paz (nota della redazione).
Domenica 20 ottobre si sono svolte le elezioni presidenziali in Bolivia. Secondo il Tribunal Supremo Electoral (TSE) [Corte Suprema Elettorale – ndt], Evo Morales, presidente in carica dal 2006, ha vinto con il 47,08% dei voti contro il candidato Carlos Mesa che ha ottenuto il 36,51%. Mesa era già stato al governo nel 2003, dopo che Gonzalo Sánchez de Lozada aveva lasciato il paese. Si dimise appena 20 mesi dopo, dal suo esilio negli Stati Uniti.
Nonostante secondo la legge boliviana questa differenza del 10,57% dia a Morales la vittoria al primo turno, una parte importante dell’opposizione sostiene che ci siano stati dei brogli. È stata quindi scatenata una violenta crisi politica e sociale che ha risvegliato i fantasmi di un’epoca considerata già superata nel paese andino-amazzonico.
Giovedì 31 ottobre sono giunto a La Paz dal turbolento nord del Cile. Ospitato in pieno centro città, ho incrociato piccole manifestazioni a favore del governo e diverse contro. Le prime ripetevano lo slogan: «Evo non è solo»; le seconde, diversi cori allusivi di una Bolivia che non vuole una dittatura.
Mi ha colpito il fatto che due tassisti, sottolineando che non ci fossero dubbi sui brogli, hanno usato la parola “matrimonio” per riferirsi a una presunta rottura definitiva tra il popolo e il governo.
Nel pomeriggio sono andato fino a El Alto [comune limitrofo di La Paz, luogo delle proteste e della repressione per la Guerra del Gas che portò alle dimissioni del Governo nel 2003 – ndt] e poi in alcune comunità rurali del popolo Aymara vicino al lago Titicaca. Lì, diversi abitanti mi hanno detto che è tutto un complotto dell’opposizione.
La domenica delle elezioni, la trasmissione del conteggio rapido è stata interrotta per un certo tempo dal Consiglio Plenario del TSE, generando logicamente molta sfiducia.
Secondo il vicepresidente del TSE, Antonio Costas, questa situazione è stata la conseguenza di un errore mentre si cercava di controllare le informazioni dopo l’allarme di un possibile attacco informatico. Costas mente o dice la verità? Finora, le perizie non sono state in grado di determinare se questa interruzione fosse volta a cambiare o cancellare voti. Quello su cui c’è certezza – basta googlare “brogli in Bolivia” per averne conferma– è che l’idea dei brogli fosse già presente nell’opinione pubblica da molto tempo.
In questo momento, l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) è responsabile di una revisione integrale basata sulla verifica del conteggio (compresi i verbali, le schede elettorali e i voti), sulla verifica del processo informatico, della componente statistica delle proiezioni e della catena di custodia delle urne. Bisogna sperare che dopo tutto questo si arrivi a un verdetto su cosa sia realmente successo.
Fino a sabato 2 ottobre la situazione in Bolivia era tesa ma controllabile: c’erano manifestazioni da entrambe le parti, in maggioranza dell’opposizione. Quella notte, in un accesissimo intervento, Fernando Camacho, leader del Comitato Civico di Santa Cruz, esortava il Presidente Morales a dimettersi entro 48 ore e annunciava che avrebbe inviato una lettera alle Forze Armate affinché si unissero all’opposizione.
Da qui è iniziata una polarizzazione che riporta alla mente eventi vissuti in Bolivia nel decennio passato. Diversi settori, minatori, funzionari e comunità indigene sono usciti a sostegno del governo, mentre l’opposizione ha mantenuto e continuato le manifestazioni contrarie.
Sono costretto a tornare in Cile, dove – per ragioni molto diverse – è presente lì anche una grande rivolta. Approfitto del viaggio per leggere tutti i giornali che sono riuscito a comprare, integrando con quanto sentito dai colleghi di zone diverse della città e della campagna, giungendo alla modesta conclusione che non ci sono stati brogli. Piuttosto, Evo Morales e il MAS [Movimento Al Socialismo, il partito di governo – ndt] sembrano pagare oggi i peccati di 13 anni di governo: accuse di essere attaccati alle poltrone e di corruzione, clientelismo e culto eccessivo della personalità.
Dovremo aspettare quello che dice la revisione dell’OSA. Quel che non lascia dubbi, è che con una forte componente razzista, le storture di questa opposizione promettono di essere molto peggio.
Pubblicato il 7 novembre 2019 su Tiempo Argentino, giornale recuperato ed autogestito dai propri lavoratori.
Traduzione a cura di Michele Fazioli per DINAMOpress