EUROPA

T(i)ransformation. Il cantiere aperto della turistificazione

Su invito della ONG Social Justice, dopo l’incontro della rete Take Back the City al Forte Prenestino di Roma siamo state a Tirana, città dove si sono concentrate una serie di vere e proprie torsioni (Twist) che intrecciano i fenomeni speculativi alle politiche di soft power dell’attuale governo albanese: una turistificazione pianificata, un’operazione costruita a tavolino, come se l’accettazione europea dell’Albania potesse essere simulata attraverso la turistificazione della sua capitale, un maquillage architettonico che nasconde la neutralizzazione del suo passato

È notizia del mese scorso l’arresto del sindaco di Tirana Erion Veliaj, con l’accusa di corruzione per quanto riguarda soldi e appalti pubblici ai fini di speculazione edilizia. Veliaj amministrava la città dal 2015, e insieme a Edi Rama primo ministro albanese hanno avviato un processo di trasformazione del paese e della capitale che nell’arco di pochi anni sta snaturando l’urbanistica a discapito di tradizioni e popolazione.

Come quando si lancia una pietra al centro di uno specchio d’acqua così la gentrificazione agisce dal cuore dei centri urbani fino alle aree più periferiche, onda dopo onda, cerchio dopo cerchio tutto viene omologato e reso vetrina per lə turistə in arrivo, mentre lə residenti subiscono la rimozione dei quartieri e vengono sfrattatə dalle proprie case. Venezia, Barcellona, Lisbona e Marsiglia sono diventate l’emblema europeo di questo fenomeno che si accompagna a quello dell’overtourism logorando gli spazi urbani e le vite di chi li abita.

A Tirana non siamo in Europa, o meglio, non ancora, anche se è la promessa ammissione che dovrebbe giustificare, unitamente all’asservimento alle sue bieche politiche migratorie, la sensazione di essere in un cantiere a cielo aperto dove si possono osservare, passo per passo, le fasi della “riqualificazione”.

Usiamo le virgolette nel caso della capitale albanese dove riqualificazione non è sinonimo di recupero e ristrutturazione ma di una serie di demolizioni “strategiche” che ignorano il valore storico degli edifici, l’impatto ambientale e le esigenze della comunità.

Ancora in attesa di un piano regolatore, sono le spietate regole della shock economy a governare questo processo, accelerato da disastri come il terremoto del 2019 e la pandemia, dando il via a una stagione di demolizioni e ricostruzioni, a cui non sfuggono persino monumenti e quartieri storici. Qui la riqualificazione urbana, in molti casi nasconde processi di speculazione edilizia e cancellazione della memoria storica dove la distruzione indiscriminata di edifici esistenti rischia di sacrificare identità e patrimonio culturale in nome di una modernizzazione imposta dall’alto.

Tirana incarna un paradosso: simulare la gentrificazione e la turistificazione per sembrare più europea di quanto ancora non sia, promuovere il turismo demolendo la propria identità, smantellare la propria eredità culturale trasformandosi in un prodotto da vetrina, pronto per il consumo, ma svuotato della sua storia. Un processo che solleva interrogativi sul reale significato della riqualificazione e sulle sue implicazioni per la memoria collettiva, l’identità urbana e la conservazione della cultura mediterranea.

T(i)ransformation è un titolo che si distorce, proprio come la città che racconta. Il passaggio graduale suggerito dal prefisso trans- viene inghiottito dal nome della capitale albanese, cancellando l’idea di continuità e lasciando solo formation: la creazione di qualcosa di nuovo, ma a quale prezzo?

Urban Twist 1. Gentrifying the Historical

La metamorfosi cittadina usurpa interi quadranti dello spazio pubblico riconfigurando Piazza Skënderbej e la zona centrale della città. Sono il risultato del processo di stravolgimento dell’area urbana, adibita a vetrine per turisti, Blloku, quartiere dall’accesso centellinato durante la dittatura di Hoxha, oggi il cuore di una vita notturna dove gli spazi di socialità sono mercificati e contrassegnati dall’ostentazione del lusso, e Pazari i Ri, area che deve il nome al vecchio bazar della città, oggi destinato a souvenir e bandiere.

Blloku

Pazari i Ri

A rendere evidente il fenomeno di una turistificazione simulata è l’adozione di una architettura di mercato in stile nord-europeo, circondata dai palazzi sovietici – ancora fatiscenti all’interno – con mano di vernice fresca a motivi geometrici color pastello che vorrebbero promuovere la tradizione decorativa albanese, mentre nei dissestati vicoli all’intorno botteghe artigiane e locande, spesso abbandonate all’incuria e in situazioni di difficoltà, svelano una mancata e reale riqualificazione a beneficio dellə residenti.

Piazza Skënderbej in lontananza

Minimo comun denominatore nella città sono i grattacieli in costruzione dell’altezza minima di 50 metri con architetture futuristiche che fanno ombra ai “beautyficati” palazzi post-sovietici, soffocando i vicoli dell’originario e rinnegato impianto ottomano e le ultime piccole case dell’altezza di tre metri, risparmiate dalla speculazione solo per offrire un paesaggio pittoresco ai nuovi giganti.

Urban twist 2. Monuments remaking

Il patrimonio è ridotto a facciata: i restauri storici o sono superficiali, o i monumenti rimodellati per convenienza politica e i beni culturali commercializzati per profitto. Ciò che appare come un rinnovamento urbano va a beneficio di pochi eletti, cancellando la storia vissuta. Esempi ne sono il Teatro Nazionale, risalente agli anni Trenta e demolito per ragioni di rinnovamento urbano nel 2020 nonostante le diffuse proteste e le campagne condotte da artistə, attivistə e intellettuali, al suo posto un centro commerciale cinque volte superiore al volume precedente, ospiterà un piccolo teatro.

Piramide dedicato a Enver Hoxha

Stadio

L’esempio sembrerebbe lo stadio progettato negli anni ’30 da Bosio, interamente demolito, eccezion fatta per la scalinata d’accesso, reliquia di una continuità inesistente, utile solo a legittimare il nuovo colosso commerciale firmato da architetti italiani, monumento al soft power e alla speculazione.
A questo destino non è sfuggita nemmeno l’iconica Piramide di Tirana, costruita come mausoleo dedicato a Enver Hoxha, diventata il simbolo controverso nell’Albania post-comunista. Destinata anch’essa alla demolizione, ha trovato una via alternativa solo grazie alla conversione in uno spazio commerciale prima che culturale, compromettendone l’architettura originaria e il contesto storico.

Urban Twist 3. Demolishing Urban Communities

Nei quartieri più periferici di Kombinat e 5 maji invece è rimasto ben poco del tessuto urbano, distrutto a favore di enormi costruzioni per appartamenti, in ripetuti blocchi identici e già fatiscenti, così la popolazione è stata espropriata e nei casi più fortuiti reimpiantata in un ambiente anonimo e inadatto alle proprie necessità per metri quadrati o servizi. Paskuqan è l’unica frazione per ora salva, ma per quanto ancora? Dopo gli anni Novanta, con la caduta della dittatura, la città ha vissuto un recupero spontaneo dello spazio urbano, dove famiglie e comunità hanno dato forma a nuovi scenari insediativi che riflettono modi di vita mediterranei, allora e oggi, ancora profondamente radicati.

Paskuqan

Kombinat

5 maji

Kombinat

5 maji

Conservati intatti anche a causa dell’isolamento dei decenni precedenti, questi modi di abitare hanno generato (in assenza di stato, governi, istituzioni) spazi auto-costruiti e scritto una pagina di storia urbana, arricchendo una stratificazione lenta che si allinea strettamente agli attuali gli standard di sostenibilità – su piccola scala, guidati dalla comunità e adattivi all’ambiente. Invece di riconoscere questo tessuto organico come un bene prezioso, le politiche governative lo cancellano in nome della modernizzazione, ma con motivazioni puramente economiche. L’Italia sta dando il suo contributo a questa distorsione della città con il progetto “Riverside” disegnato da Stefano Boeri per Tirana come nuova capitale europea nel 2030, che ha portato allo sfollamento delle famiglie e alla rimozione della storia collettiva.

Quello che sta accadendo a Tirana è l’eliminazione di strati storici recenti, significativi per la storia sociale della capitale – specchio dell’Albania tutta – e di spazi urbani di valore, spostando le comunità e interrompendo il loro legame con il passato della città. Il risultato è un ambiente urbano che può apparire economicamente vivace, ma socialmente fragile e meno coeso. La gentrificazione e la complice turisticizzazione che oggi viviamo nelle città europee si dà a Tirana con tempistica da record, quasi a stordire chi la vive (esclusə dalle decisioni) e sempre più costrettə a lasciare la propria città a causa dell’invivibilità sociale ed economica che il fenomeno produce. Tutto ciò, a beneficio di chi?

Tutte le foto sono state realizzate da Marta D’Avanzo

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