ROMA
Taxiwriter 20. La città di cristallo
Tra una corsa e l’altra alla guida del suo mezzo, Andrea Panzironi riflette, discute e osserva gli angoli di città in cui la storia ha lasciato delle tracce. Un nuovo racconto
Ho ripreso il mio taxi dopo un mese.
L’ibrida giapponese non ha fatto una piega. Si rimette in moto al primo colpo. Anche lei voleva rituffarsi fuori. Far girare le ruote. Ritrovare strade lasciate all’improvviso, senza preavviso alcuno. Eppure giravo così bene, si sarà chiesta durante i lunghi e lugubri giorni trascorsi in garage.
Il sole stamattina bagna d’oro i gioielli già preziosi di una città cristallizzata, forse uscita dagli studi di Cinecittà, felliniana eppure cosi reale, iperreale come un quadro di Richard Estes. Le stratificazioni dovute al traffico, al via vai di persone, alla eccitante confusione della vita del “fare”, sono state tolte. Emerge lo strato più profondo, quello che per primo avvolge la vera anima di ogni città. Le polveri sottili, l’inquinamento dell’aria, sono svaniti, facendola respirare, costringendo chi ha la fortuna di percorre adesso le sue strade ad essere sincero. Soprattutto con se stesso. È stupefacente l’effetto purificatore prodotto dallo “iostoacasa”, fuori scopri dettagli mai notati prima, l’erba che ostinata ricresce negli interstizi dei marmi sfolgoranti dei sagrati delle chiese barocche; dentro ora sei solo, senza distrazioni dovute al vociare continuo dei turisti affamati di pizza e foto dozzinali e del rumore volgare delle sirene delle auto blu. Tutto tace intorno e il suono dei pensieri si fa sentire. Eccome.
Si è annullato il tempo. Siamo in un tempo che appare unico, senza presente, senza futuro, e anche il passato, rivelato da ciò che mi circonda, è indeclinabile. Forse la mente scarta ciò che non serve al momento, e il tempo non serve in questi giorni. Ciò che è stato ieri vorremmo fosse il prossimo futuro, ciò che pensavamo fosse il futuro sembra già passato. Di un passato però irraggiungibile.
Lo spazio invece è alterato. Distanze che pochi giorni fa valutavo considerevoli si sono ridotte, dall’altitudine di Trinità dei Monti lo sguardo raggiunge in un unico abbraccio tutta la città, volando oltre il Vaticano, fino a sbattere sulla cima di Monte Mario. E tutto è così vicino, raggiungibile, da toccare con mano, come nel plastico di Roma imperiale conservato al museo della civiltà romana. E quel che vedo tocca le corde interiori che suonano ora una musica diversa, resa pura dall’assenza dei rumori di fondo, una musica rivelatrice che fino a oggi non sentivo. Come se anche i pensieri scorressero senza più il benché minimo granello di polvere sulle sinapsi. Anche lo spazio associativo dei pensieri si è ridotto, riesco a fare collegamenti mentali che prima non avrei nemmeno osato immaginare. Abbiamo una possibilità unica, penso. Il destino ci ha collocati nel climax della Grande Storia. Sul punto più alto, o più basso, se volete, della sinusoide degli accadimenti che coinvolgono la quasi totalità del genere umano. Abbiamo la possibilità di mettere in atto un cambiamento radicale delle abitudini, dei ritmi, delle attitudini, di vita. La possibilità di metterci in ascolto realmente, ogni giorno, con quella musica interiore che non riuscivamo più ad ascoltare.
Un gatto nero attraversa con calma, molta calma, guardandosi intorno, baldanzoso e ganzo. Noncurante del mio taxi che sta per travolgerlo. Avrà già cambiato abitudini anche lui, penso all’istante, si sarà già abituato all’assenza delle auto. Freno… il gatto per fortuna fa un balzo e sparisce tra i cespugli della discesa del Pincio. Come una frustata arrivata dritta al cervello torno alle attitudini e mi spavento dei pensieri appena fatti. Perché dovrei rimettere tutto in discussione, non si rinnova la collettività se non si comincia ognun per sé.. E qui mi torna un certo pessimismo. Siamo umani, restiamo umani, anche nelle catastrofi terribilmente pigri, abitudinari, egoisti. E se tutto finisse all’istante? Come un brutto sogno, risvegliarsi e ritrovarsi al “come eravamo”. Ecco, non so se rallegrarmene ma una strana vibrazione agisce sul mio stomaco, così mi è sempre accaduto nelle rare occasioni dei cambiamenti reali, definitivi che ho avuto nella mia vita. E sento che stavolta è uno di quelli, forse l’ultimo. Senza rewind. Fine delle possibilità. L’unico orizzonte possibile è quello davanti ai nostri occhi. Un futuro obbligato, stavolta.
In questi giorni la Natura si è ripresa ciò che era suo. Dicono molti. Eppure in realtà c’è sempre stata, soffocata, sommersa dallo scalpiccio frenetico e incessante degli umani interessi. Nascosta e ritirata per autodifesa. Consumata dal consumismo. E capace però, di rigenerarsi. Indifferente alla moria di esseri umani, alla loro assenza. Sa però che sarà una pausa, breve o lunga che sia. Ma una pausa. Vedo nel volo degli uccelli che stanno vivendo anch’essi una prima-vera mai vissuta prima. Non è solo un cambio di stagione, è un nuovo parto. Siamo nel pieno travaglio prima della nascita. Che sia un nuovo ri-nascimento dipende dal tipo di “travaglio”. Non giornalisticamente parlando, s’intende.