approfondimenti
ITALIA
Taranto oltre l’acciaio. Tredici storie sugli effetti del lockdown
A seguito del blocco delle attività produttive e sociali per prevenire il contagio da Covid-19 il pianeta condivide le sorti che una città del sud Italia, Taranto, vive da anni. Il paradosso è scegliere tra salute e lavoro, tra la vita e la necessità di produrre
Taranto è la fotografia di molte città italiane a cui il lockdown sta costando caro. La monocultura industriale, diretta conseguenza della presenza di grandi insediamenti come l’ex Ilva, l’Arsenale, la raffineria, sta cedendo lentamente il passo all’investimento nella cultura del mare ma anche in arte, turismo, commercio, enogastronomia, economia verde. La brusca frenata dovuta ai mesi di quarantena forzata, ha bloccato questo processo virtuoso. Al 20 maggio, secondo i dati forniti dall’ultimo rapporto statistico della Azienda Sanitaria Locale, sono 276 i casi di Covid-19 tra la città e la sua estesa provincia. L’incidenza di contagi e mortalità è bassa sia rispetto alla media pugliese che nazionale. Il tasso di positività è di 4,8 su 10.000 persone, rispetto ai 10,9 della Puglia e i 37,7 dell’Italia. Anche le morti sono meno: 0,5 su 10.000 abitanti rispetto all’1,2% pugliese e al 5,3% italiano. Dunque Taranto, come tante altre città italiane, è stata solo sfiorata dal virus ma rischia di pagarne amare conseguenze economiche per anni, nonostante siano in arrivo aiuti statali e regionali ed il bilancio del Comune, per il prossimo anno, sia in buona parte dedicato a rimettere in piedi la città.
PADRE NICOLA PREZIUSO, 71 anni
Padre Nicola Preziuso è parroco al quartiere Tamburi e segue spiritualmente anche gli operai all’interno dell’ex Ilva da 40 anni. “Ma non sono un cappellano, è un servizio che rendo gratuitamente con la mia congregazione dei Giuseppini del Murialdo che ha per missione proprio la vocazione al lavoro. La quarantena il rione l’ha vissuta con senso di responsabilità ma molta gente è entrata in crisi. Le case sono piccole, si acuiscono i problemi relazionali e c’è chi più che un aiuto spirituale voleva consigli su come gestire i figli, la coppia. Insomma in molti casi serviva uno psicologo. Ho dovuto combattere per superare lo scoglio del clericalismo, perché i discorsi di molti erano che fosse stato Dio a mandare il Coronavirus. Ho ricordato costantemente che il Signore ci ha dato due polmoni: uno è la fede, l’altro la ragione. Vanno usati entrambi”. Per due mesi, nella casa accanto alla canonica, i Giuseppini hanno ospitato 3 infermieri che hanno lavorato nell’hub Covid di Taranto che temevano di contagiare i familiari nelle proprie case.
FRANCESCO BUZZERIO, 34 anni
LUCA D’ANDRIA, 29 anni
ALDO BORRACINO, 40 anni
MIMMO GEMMANO, 47 anni
Nel 2019 hanno inaugurato la prima sala concerti in un vecchio capannone che un tempo è stato un deposito di alimentari, poi l’officina di un fabbro. ed in seguito un ricettacolo di macerie e abbandono. Oggi in quei trecento metri quadri, in zona Porta Napoli, nella Città vecchia di Taranto, c’è la sala concerti di Mercato Nuovo. O forse c’era. Perché l’emergenza Covid19 sta mettendo a dura prova le ambizioni e i desideri di Mimmo, Aldo, Francesco e Luca. L’indotto generato dai concerti coinvolgeva anche altre attività e professionisti della città: dai ristoranti e B&B verso cui dirottavano clienti e band ai tecnici ed allo staff impegnati durante i concerti.
Walter è l’esempio eclatante di questo cambio di passo. Per 17 anni, dal 1998, ha lavorato con una ditta dell’appalto Ilva: 1600 euro per 5 giorni pieni. «Lì dentro i codici, le regole sociali cambiavano. Passato il tornello dovevi sopravvivere, cambiavi anche tu, ti imbruttivi», racconta oggi. Poi il salto nel buio. Approfittando del fermento culturale partito nel 2013, con il Primo Maggio Taranto e da lì con produzioni cinematografiche e teatrali che si sono accorte delle potenzialità della città, Walter ha scelto di vivere di musica, suonando basso e contrabbasso, e di cinema e teatro. «Avrei dovuto iniziare l’11 marzo scorso a girare un film a Taranto come attrezzista di preparazione. Mille euro per una settimana di lavoro. E poi c’erano date musicali con i gruppi con cui suono stabilmente e come singolo in progetti artistici vari. Tutto saltato». Lo stesso vale per Erika, la sua compagna, attrice di teatro contemporaneo. “Alcuni colleghi stanno provando a convertire il lavoro in altri modi, usando lo streming, altri, come me, attendono. I 600 euro di marzo, indennità per i lavoratori dello spettacolo, sono arrivati. Il momento è difficile soprattutto per l’interazione umana di cui il teatro vive. Coltivo il rapporto con i corsisti dei vari laboratori con le piattaforme social, o via email o attraverso lunghi messaggi vocali. Resto fiduciosa sulla fruizione teatrale in luoghi aperti».
ILARIA MANIGRASSO.
Ilaria è artista circense e da marzo è bloccata nella sua casa a Taranto. Il suo stipendio è direttamente legato agli incassi degli spettacoli. Non sa ancora se e quando potrà ricominciare a lavorare.
FABIO CHIOCHIA 32 anni – BARBIERE
Fabio fa il barbiere da quando ha 12 anni. A 24 ha aperto un piccolo salone tutto suo, in cui lavorano due receptionist e un collega coffeur. Alla sua compagna, in questo momento in maternità, Inps paga i contributi ma lui, paradossalmente, non può pagarle lo stipendio che le deve perché è una sua lavorante che aspetta un figlio, il suo. Viste le indicazioni per la riapertura per sopportare i nuovi costi aggiuntivi prevede di dover apportare un ricarico del 30% sulle tariffe ai clienti restando comunque incerti i ricavi nel medio e lungo periodo.
ADRIANO DI GIORGIO 46 anni.
Nel 2005 ha rilevato il Teatro Orfeo, il più antico della città aperto nel 1915, con un investimento supportato dalla Regione Puglia di 850 mila euro. Dalla chiusura di marzo restano a casa 3 dipendenti fissi e centinaia di persone che ruotano attorno al settore. Dal service esterno, a macchinisti, elettricisti, facchini, sarte, hostess, ditte che si occupano delle pulizie, security.
«Fino ad oggi – spiega Adriano Di Giorgio, che nel 2005 ha rilevato il teatro Fusco, il più antico della città – abbiamo perso, soltanto con gli spettacoli del nostro cartellone, 150mila euro, almeno. A questi vanno aggiunti gli affitti del teatro per le stagioni musicali e teatrali, che sono tante date, la locazione per i matinee con le scuole, i festival, le rassegne già programmate e gli affitti per i saggi delle scuole di danza di Taranto e provincia. Maggio e giugno sono pieni di questi eventi. E un capitolo a parte è il cinema, anche quello ovviamente chiuso. Per sopravvivere servono soldi, liquidità a fondo perduto per i mancati incassi che non potremo mai recuperare e anche per quello che come cinema non andremo mai a trasmettere, visto che le major stanno promuovendo i film in uscita sullo streaming e per il distanziamento sociale non si può produrre niente di nuovo».
GIOVANNI CIANCIARUSO, 48 ANNI
Nel 2017 lancia la starup degli Apecar Calessino, che portano i turisti in giro per l’isola di Taranto vecchia arrivando nel 2019 a più di 1000 tour. Adesso i suoi tre piccoli mezzi è costretto a tenerli in garage. Prima che il Covid19 fermasse le attività stava per assumere i primi tre driver partime, persone che adesso sono a casa in attesa. Con i mezzi fermi e senza poter pensare ad un distanziamento sociale all’interno dell’Apercar teme di veder sfumare anni di conquiste e sacrifici.
ERNESTO VOCCOLI, 34 anni.
Ha inaugurato con la moglie Sara un B&B in città vecchia nel 2019 dopo anni di ristrutturazione. Adesso è tanto l’amaro in bocca. Per il momento, ci hanno appena comunicato che fino al 3 giugno potremmo ospitare solo pugliesi. Poi si dovrebbe aprire a tutti gli altri, anche fuori Italia, ma con queste premesse non apriremo finché non sarà tutto finito.
L’emergenza sta mettendo a dura prova anche le ambizioni e i desideri di Mimmo, Aldo, Francesco e Luca che hanno pensato di investire nella prima sala concerti della città: 300metri quadri in zona Porta Napoli, fino a un paio di anni fa lasciata in stato di completo abbandono ma che ora va aprendosi a botteghe artigiane, coworking e un cineporto. «In questa parte della città ci abbiamo visto un’opportunità- spiegano- e ci abbiamo lavorato come mai, aiutati da tanti amici, improvvisandoci anche artigiani, fabbri. Abbiamo inaugurato il 30 novembre 2019 e il primo concerto ci è saltato il 7 marzo». Mercato Nuovo è un circolo Arci, che chiudendo i battenti ha messo per strada anche il fonico, che da questa attività guadagnava circa 1000 euro al mese e la barista, studentessa universitaria e lavoratrice. E, poi, «dietro ogni concerto ci sono i driver che accompagnano gli artisti, i bed and breakfast da prenotare, i pasti da garantire. Per pranzi e cene li dirottavamo a due passi da noi, al quartiere Tamburi, quello tristemente conosciuto solo per l’ex-Ilva. Per il pernotto ci rivolgevamo alle attività ricettive della Città vecchia. Il nostro modo per tentare di sfuggire alla centrifuga della grande fabbrica». Tra questi bed and breakfast c’è pure quello di Ernesto: «Con queste premesse non apriremo finché non sarà tutto finito, soprattutto perché non è neanche chiaro se ciò che occorrerà per un’eventuale riapertura estiva sarà a carico nostro. Ho inaugurato “Le finestre sul mare” il 31 marzo del 2019. Ci sono voluti anni di ristrutturazione e ora abbiamo 14 posti letto, 6 camere e una sala colazione. Dall’avvio dell’attività, scorporando lavori ordinari e straordinari, il puro guadagno è stato intorno ai 20mila euro. Grazie alla nostra posizione geografica strategica, come città ci ritroviamo a essere tappa intermedia tra Salento [sud della Puglia, ndr] e Matera [Basilicata, ndr] e poi lavoriamo con i tanti eventi che ormai a Taranto si svolgono da qualche anno. Penso al concertone dell’Uno Maggio o al Medimex, alle gare agonistiche nazionali ed internazionali di sport di mare. Ho lavorato anche nei mesi di bassa stagione, da novembre a febbraio. Qui è arrivata gente da tutto il mondo». A portare in giro i turisti per la Città vecchia da qualche anno ci pensano gli Ape Calessino: «Abbiamo iniziato nella primavera del 2017 come startup. Partendo da 200, 300 tour al massimo – racconta Giovanni – lo scorso anno siamo esplosi ed abbiamo superato i 1000 tour, così da pochissimo ho aperto partita Iva, è nata una ditta individuale ed ho ottenuto le licenze Ncc, Noleggio con Conducente. Prima che la Covid-19 ci fermasse stavo per assumere i primi tre driver partime, persone che adesso sono a casa in attesa». La paura più grande per Giovanni è perdere quanto fatto finora. «La nostra pubblicità è la nostra presenza sul territorio. Se i turisti, per il 60% stranieri, ci vedono in giro, sanno del servizio e ne usufruiscono. Con i mezzi chiusi qui dovremo ricominciare da zero».
TECLA CAFORIO, 36 ANNI
Tecla lavorava come commessa per una multinazionale dell’abbigliamento, aveva un contratto par time ottimo e sperava nell’indeterminato”. Dal 1 maggio, ironia della sorte, festa dei lavoratori, non ha più il lavoro causa Covid19. Avendo chiuso i battenti per le restrizioni del governo, l’azienda ha messo tutte le sei assunte in cassa integrazione non confermando tutti i contratti in scadenza. Tecla ha cominciato a lavorare in questo negozio poco dopo aver partorito, lasciando a casa un neonato di 4 mesi ed un altro che oggi ha 3 anni.
ERIKA GRILLO, 31 ANNI E WALTER PULPITO, 46
Erika, attrice di teatro contemporaneo. Ha dovuto sospendere i laboratori teatrali che teneva per studenti dai 6 agli 80 anni, le repliche di uno spettacolo, alcuni bandi vinti che dovevano partire, come i laboratori nelle periferie ed una rassegna di teatro e archeologia con una società tarantina di giovani archelogi. I 600 euro di marzo, indennità per i lavoratori dello spettacolo, sono arrivati. Il momento è difficile soprattutto per l’interazione umana di cui il teatro vive.
Walter per 17 anni, dal 1998, ha lavorato con una ditta dell’appalto Ilva. Approfittando del fermento culturale partito nel 2013, con il Primo Maggio Taranto e da lì con produzioni cinematografiche e teatrali che si sono accorte delle potenzialità della città, ha scelto di vivere di arte: di musica, suonando basso e contrabbasso, amati fin da ragazzino e di cinema e teatro, facendo l’attrezzista o lo scenografo, il disegnatore luci, il tecnico, a seconda delle richieste delle produzioni.
Aldo e Marco sono due ex-dipendenti del siderurgico di Taranto e tra i fondatori del Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti. Quando sostenevano l’idea della chiusura della fabbrica e delle fonti inquinanti e di una riconversione green, spesso veniva posta loro la domanda «e poi dove andiamo a mangiare? A casa vostra?». Adesso questo è il nome del loro locale. Hanno lasciato l’Ilva utilizzando l’incentivo all’esodo volontario nel passaggio ad Arcelor Mittal e stanno riconvertendo le loro vite con un’attività gastronomica, “A casa vostra”, che è la loro risposta alla domanda di chi non credeva ad altra possibilità se non preferire il lavoro in fabbrica alla salute. «A causa del blocco delle attività di marzo però – spiegano – e per gli adeguamenti anti-contagio, l’inaugurazione della nostra attività è per ora sospesa».
MARCO TOMASICCHIO 43 anni, CATALDO RANIERI 50 anni
Aldo e Marco sono due ex dipendenti del siderurgico di Taranto e tra i fondatori del Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti. Quando, tra amici e colleghi, sostenevano l’idea della riconversione industriale del territorio e la chiusura della fabbrica e delle fonti inquinanti spesso veniva posta loro la domanda “e poi dove andiamo a mangiare? A casa vostra?”
I due amici, ora anche soci, hanno quindi deciso di “riconvertire” le proprie vite approfittando dell’incentivo all’esodo volontario disposto da Ilva ed investire parte di quei soldi nel campo della ristorazione.”A casa vostra” è la loro risposta alla domanda di chi non credeva ad altra possibilità se non preferire il lavoro (in fabbrica) alla salute.
Vivono l’attesa, come Marco e Annalisa, che due mesi prima del lockdown aveva allargato la loro attività, aggiungendo a una paninoteca, una braceria attigua. «Avevamo considerato – spiega Annalisa – che per ammortizzare la spesa di questa nuova apertura ci sarebbero voluti 10 anni. Adesso non lo sappiamo più. Senza contare il famoso distanziamento sociale: nel nuovo locale passiamo da 75 a 35 posti a sedere e nella paninoteca da 80 a 20. Con questi numeri come facciamo a vivere? A fronte delle stesse spese si dimezzerebbero le entrate. E non contiamo guanti, mascherine, gel per le mani ai tavoli, una persona che debba occuparsi di gestire la sala, evitando assembramenti. Con una puccia o una pizza d’asporto posso dare anche tutto questo?». «Ho calcolato – aggiunge Marco – che in 3 mesi di chiusura, stiamo perdendo orientativamente sui 65mila euro. Ovviamente non è un netto. Del fatturato 2018, per intenderci, mi è rimasto in tasca il 10%. Il resto va via tra tasse e acquisto di materie prime. Solo per i prodotti, chiudendo da un giorno all’altro, ho buttato 1500 euro». Per sopportare le spese, ora che ha riaperto, Fabio, che ha una piccola barberia, ha dovuto alzare e di molto i prezzi. «Ho calcolato di spendere circa 5 euro a cliente in più. Così ogni taglio di capelli costa 7 euro in più». Per poter riaprire, i costi sono stati alti, tra sanificazioni e acquisto di materiale come mascherine chirurgiche per i clienti, «FFP2 e visiera per noi, plexiglas per la zona della cassa, mantelline monouso, salviette per sanificare gli strumenti del mestiere, certificate chirurgiche» e continueranno a crescere «se un pacco di guanti in nitrile, che è necessario usare da protocollo, da 4 euro sono arrivati a 12».
ANNALISA e MARCO 36 anni
Marco. Dopo tanti anni in giro per l’Italia come chef, ha messo da parte abbastanza per realizzare il sogno di mettersi in proprio ed aprire una paninoteca, inaugurata a luglio 2011 con Annalisa storica fidanzata, 36 anni come lui. Boe, il loro piccolo locale ispirato ai Simpson, presto è diventato punto di riferimento tra gli adolescenti di san Giorgio Jonico, paese a 13 km da Taranto. “Abbiamo messo le nostre vite in standby confessa Annalisa- rimandato viaggi, il nostro stesso matrimonio per anni, per dare precedenza alla nostra piccola impresa. E quali tutele abbiamo adesso?”. Le indicazioni per garantire il distanziamento sociale mettono a rischio il lavoro ed i sacrifici fatti fino ad ora rendendo incerti gli incassi necessari al sostenere l’attività.
FEDERICA CARDELLICCHIO, 33 ANNI PASTICCIERA
Per dieci anni ha fatto la restauratrice in Italia e all’estero per poi seguire la passione che coltiva da quando è bambina: la preparazione di dolci nelle pasticcerie. Federica racconta le difficoltà, amplificate dalla pandemia, dovute a contratti partime che in realtà non lo sono “lavori anche 14 ore al giorno di seguito e ti pagano con acconti, mai la cifra per intero.” Al momento è in cassa integrazione e con il contratto è in scadenza che sicuramente non sarà rinnovato. Mi toccherà cercare altro ma, secondo me, prima della fine dell’anno non troverò. Chi si azzarda ad assumerti in questo momento? E intanto i soldi della cassa integrazione non arrivano”.
E poi c’è la questione precari. Sono tantissime le persone che nel Mezzogiorno d’Italia, vivono alla giornata o quasi, con contratti di pochi mesi e sempre in scadenza. «Per dieci anni ho fatto la restauratrice in Italia e all’estero ma poi ho abbandonato per seguire la passione della preparazione di dolci- racconta Federica- e da ottobre 2018 lavoro solo con la pasticceria. Un ambito in cui già il marcio c’era prima, adesso con il post Covid-19 è tutto amplificato». Federica si riferisce alla situazione di sfruttamento del settore. «Parlo di esperienze avute nel tempo e non solo mie personali. Ti fanno contratti da 4 ore e lavori anche 14 ore al giorno di seguito. Ti pagano con acconti, mai la cifra per intero. Al momento io sono in cassa integrazione e il contratto è in scadenza, se vogliono mantenere gli ammortizzatori per gli altri colleghi, non potranno certo rinnovarmelo. Mi toccherà cercare altro ma, secondo me, prima della fine dell’anno non troverò. Chi si azzarda ad assumerti in questo momento?». Stesso destino per Tecla, che faceva la commessa in una catena di abbigliamento all’interno di un centro commerciale. «Sarò sincera, con la schiena a pezzi ed il seno gonfio di latte, guardare una cliente che demoliva una pila di maglie appena piegate, mi distruggeva. Quando mi hanno offerto quel posto da commessa avevo partorito da poco ma ho accettato subito. Lavoravo mettendoci tutto l’impegno possibile, in pieno post partum, in piedi una giornata intera, perché era una multinazionale, in cui avevo un contratto nazionale partime ottimo. Speravo nell’indeterminato». Invece è arrivata la Covid-19. «L’azienda ha messo tutte le sei assunte in cassa integrazione. Non avrebbero potuto rinnovarmi il contratto anche se avessero voluto, perché avrebbe significato rinunciare al sostegno dello Stato per le altre colleghe, peraltro assunte anche loro con determinato come me, ma non in scadenza». Intanto per passione e, forse anche per far quadrare i conti con uno stipendio in meno, Gabriele, il suo compagno, infermiere domiciliare, ha deciso di tornare a lavorare in corsia, ironia della sorte, nel reparto di Rianimazione dell’hub Covid di Taranto. «Lui è felice, è il lavoro che ama – spiega Tecla – ed è molto attento, sa se fa qualche manovra non in sicurezza e poi fa la doccia lì, sanifica tutto ma il rischio c’è sempre quando torna da me e dai bimbi, inutile nasconderlo».
CATALDO SOLFRIZZI, PESCATORE
Cataldo Solfrizzi ha 17 fratelli. Tutti come lui fin da bambini hanno conosciuto solo il lavoro in mare, una risorsa su cui Taranto è tornata a puntare. “In questi mesi, con il mercato ittico e ristoranti chiusi, pur avendo l’autorizzazione ad uscire un paio di volte a settimana con le nostre imbarcazioni, a chi vendevamo 70-80 kg di pesce al giorno? Allora è subentrata la cassa integrazione, che però ancora non è arrivata e non riusciremo neanche a pagare le bollette. I buoni spesa li ho avuti solo per un mese e roba di poco. Se non ci riprendiamo, mi toccherà andare a chiedere soldi in prestito e speriamo che me li danno”.
SAN CATALDO
Anche i festeggiamenti patronali al tempo del Covid19 sono cambiati. Il 10 maggio Taranto ha ricordato il suo santo, san Cataldo. L’arcivescovo della diocesi ionica, mons. Filippo Santoro, ha svolto delle brevi celebrazioni a porte chiuse,con le autorità locali ed una processione simbolica in mare. Le immagini sono andate in onda in streaming, per permettere la partecipazione dei fedeli.
Gli aiuti di Stato, previsti dal decreto rilancio sotto forma di sovvenzioni dirette, garanzie e tassi d’interesse agevolati sui prestiti, aiuteranno Taranto, emblema di tante città italiane in cui il tracollo economico rischia di essere più letale del virus? È presto per dirlo. Il timore è che a usufruire delle agevolazioni, finiscano per essere solo i grandi gruppi industriali, lasciando a secco chi, più che di buoni spesa o del reddito di emergenza, ha bisogno di tornare a credere nei suoi progetti e investire sul futuro della città.
foto di Pierfrancesco Lafratta, testi di Marina Luzzi