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Taranto, la doppia ombra
Una recensione al podcast “Fabbrica” di Gaetano De Monte, prodotto da Go-Pod. Fabbrica non è il racconto delle sfighe che affliggono la città; non è neanche soltanto la cronaca della fitta scansione di eventi drammatici che hanno dato forma attuale all’ex Ilva
L’ultimo esperimento editoriale di Gaetano De Monte segna il suo debutto con il podcasting. L’argomento trattato è uno dei punti focali delle sue ricerche: l’ex-Ilva di Taranto e la complessa rete di potere dentro e intorno al siderurgico. De Monte ha confezionato un racconto efficace, appassionante, sviluppato in sette agili puntate, che si presta a un doppio ascolto. Attraverso il sapiente intreccio di registri differenti, Fabbrica consente a chi non ha avuto direttamente a che fare con l’affaire Ilva di farsi un’idea chiara sulla portata della vicenda. Ad esempio, il racconto del ruolo chiave che ha avuto un pezzo di formaggio nell’iter di certificazione della dimensione inquinante dello stabilimento, sviluppato nella puntata 3 del podcast, è sorprendente e surreale. O ancora, con l’episodio 5, Omicidi colposi, De Monte racconta come la morte violenta degli operai all’interno della fabbrica non sia un triste ricordo del passato; al contrario, ha scandito gli ultimi dieci anni nello stabilimento.
Ascoltare Fabbrica è un esercizio utile anche per un’altra galassia di soggettività, costituita dall’insieme dellə attivistə che si sono mobilitatə a Taranto, nell’ultimo quindicennio, per la giustizia ambientale. Il podcast di De Monte è, da questa prospettiva, anche un affresco collettivo. Ci sono dentro gli operai dello stabilimento impegnati contro l’inquinamento e lə abitantə della città associatə in collettivi, spazi sociali, comitati. Non sempre questi due universi hanno avuto piattaforme e posture convergenti. Quando questa sintesi si è data, gli effetti sono stati dirompenti. È il caso del 2 agosto del 2012, giornata simbolo della lotta della città contro l’industria inquinante. I fatti sono raccontati nel primo episodio, anche attraverso la voce diretta della piazza. Il comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti – costituto proprio in quei giorni – riuscì a far sentire la sua voce dentro e contro il comizio delle organizzazioni sindacali confederali, mobilitate in difesa della continuità nella produzione.
Cosa è successo negli undici anni che si separano dagli eventi narrati, da quell’improvvisa insorgenza di un nuovo, potente soggetto collettivo? Tutto e niente.
Lo statuto della fabbrica, la sua proprietà e l’architettura istituzionale – locale e nazionale – sono profondamente cambiate. La presenza dell’ex-Ilva nel dibattito pubblico è oggi molto più marginale; nel tempo presente, i temi dell’inquinamento e del superamento di quel modello di sviluppo circolano più che altro sotto traccia, paradossalmente proprio quando il richiamo alla giustizia climatica e ambientale è diventato mainstream su scala globale.
Inutile girarci intorno: Fabbrica è anche il racconto di un’epopea incompiuta. A essere incompiuta – nella sua relazione con la città – è la generazione a cavallo dei quarant’anni, a cui appartengono De Monte e chi scrive. Questa generazione ha incrociato la crisi del 2008 mentre era ancora all’università: per moltə è stata un’occasione per rientrare a casa – stabilmente o di passaggio –, rimandare sogni e incubi di carriera, e impegnarsi in prima fila nelle mobilitazioni contro l’industria inquinante. Ne è nato un ampio rinnovamento dei movimenti locali: la ciclopica adesione alle manifestazioni autunnali del 2008 e del 2009 – spartiacque nel processo di soggettivazione per migliaia di persone – sono, ad esempio, anche il prodotto di questa microstoria collettiva.
Cosa resta di questa enorme tensione? Poco o nulla, verrebbe da dire, se ci limitassimo a una rapida ricognizioni delle mobilitazioni del presente. Nonostante gli sforzi di chi, tra mille difficoltà, continua a impegnarsi contro la presenza dello stabilimento e per una radicale trasformazione degli assetti di potere, allo stato attuale non ci sono in campo forze politiche e sociali paragonabili a quelle dispiegate nel decennio precedente. Non tutto è perduto, ovviamente. Lo stile con il quale De Monte ha immaginato, costruito, sviluppato il podcast ne è una potente controprova.
Fabbrica non è il racconto delle sfighe che affliggono la città; non è neanche soltanto la cronaca della fitta scansione di eventi drammatici che hanno dato forma attuale all’ex Ilva.
Certo, l’ascolto del podcast lascia a tratti attoniti: l’oscura ombra che dallo stabilimento avvolge la città era – ed è – fitta, angosciante, apparentemente senza scampo. De Monte, però, ci aiuta a capire come quest’ombra ha preso forma: indica quale architettura del potere, all’interno della fabbrica, ha consentito, per lunghi decenni, l’esercizio di un dispotismo quasi assoluto da parte di poche persone – la governance dell’Ilva – su molte altre: operai, abitanti della città. Da questa prospettiva, l’Ilva tratteggiata da De Monte non è un mostro inevitabile e astorico; ha sicuramente aspetti mostruosi, tutti però con una specifica causa ricercabile all’interno dei rapporti materiali di produzione.
E ancora, nel racconto di De Monte, la città di Taranto non è la vittima innocente sacrificata sull’altare dell’acciaio. Al contrario, il podcast è anche una finestra sulla complessa rete di potere cittadino – tutta esterna alla fabbrica – che ha attivamente sostenuto l’azione del management dello stabilimento. L’episodio sei, Pagare la stampa, è esemplificativo in questa direzione. È in fin dei conti una doppia ombra, quella tratteggiata nel podcast. Da una parte l’ex-Ilva con la sua presenza oltremodo ingombrante; dall’altra una città che ha sofferto ma si è arricchita, è stata saccheggiata ma ha saccheggiato, è stata sfruttata in maniera incredibilmente intensa e spesso si è vendicata nel peggiore dei modi: riproducendo, tra le vie della città, forme di estrazione del valore e di accumulazione per molti diversi in assonanza con quelle dispiegate nel recinto della fabbrica.
Le scelte politiche con cui è disegnato Fabbrica – lontane dallo sconfittismo, dal dispotismo del rancore, dal reducismo, attente a non rappresentare gli attuali rapporti di forza come ineluttabili e a preferire analisi specifiche, margini, scarti, alle generalizzazioni – sono, forse, quelle che una parte importante della generazione con la quale De Monte si è cresciuto, si è formato e ha lottato, ha fatto proprie più di dieci anni fa. Nelle biografie di moltissimə, questa tensione collettiva continua a lavorare sottotraccia e a segnare una parte importante della vita attuale, nella sua dimensione personale, politica, professionale. Ecco, forse, cosa resta di quegli anni. E forse non è poco.
Fabbrica di De Monte ci ricorda anche quanto siamo imperfettə. Allo stesso tempo è anche un promemoria: quello che siamo in grado di fare – noi tuttə che contestiamo, anche con posture molto diverse, le vecchie e le nuove ingiustizie climatiche e ambientali – può essere anche molto dirompente.
Immagine di copertina Openverse di Antonio Seprano