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Superfici di iscrizione o soggetti di scrittura: i “Corpi Magici” nelle narrazioni di sei scrittrici sci-fi

“Corpi magici. Scritture incarnate dal fantastico alla fantascienza” (Mimesis, 2020) di Anna Pasolini e Nicoletta Vallorani è un volume in cui il corpo “differente” è il filo che unisce le narrazioni e le protagoniste, svelando una politica del fare-mondo tramite la materialità dell’immaginazione, pratica femminista che l’ecosistema letterario fantastico sembra più di altri in grado di esplorare e promuovere

Corpi magici. Scritture incarnate dal fantastico alla fantascienza, di Anna Pasolini e Nicoletta Vallorani è un volume che raccoglie le riflessioni intorno ai racconti delle scrittrici Angela Carter, Jeanette Winterson, Bernardine Evaristo, James Tiptree Jr., Octavia Butler e Nora K. Jemisin.

Il saggio, uscito lo scorso dicembre, è un corpo che riflette sui corpi. È un corpo-scrittura, o una scrittura incarnata, che facilmente permette di figurare o percepire (due pratiche che lavorano necessariamente insieme) i mondi, gli ambienti e le esistenze di cui parla, tanto alieni quanto così invischiati nel contesto storico e sociale postumano nel quale siamo oggi immersi tutti. Nel saggio, edito da Mimesis, Anna Pasolini e Nicoletta Vallorani si interrogano, attraverso le scritture di sei autrici di fantascienza (oltre il dominio totalizzante di Margaret Atwood degli ultimi tempi), sulla corporeità e la sua capacità sovversiva: il corpo è superficie di iscrizione, e perciò oggetto della narrazione e al medesimo tempo è soggetto della scrittura, pensante e scrivente in sé, dispositivo politico di immaginazione eversiva e cre/attiva di mondi, strumento primario di re-iscrizione attraverso la carne di un’identità plurima e diversificata.

 

Le soggettività di questi racconti, situate sul limite interessante tra umano e non umano, sono figure ibride e dai contorni sfumati e difficilmente definibili, in grado di mappare la dimensione politica di una narrazione – così come di un discorso – e contemporaneamente di sfidarla attraverso la dimensione sensibile (e poetica) della corporeità.

 

Si fanno esempi di un’attualizzazione, luoghi o habitat (intesi come spazi del comune) che contaminano la realtà nel suo divenire, descrivendola in una forma. Sono grovigli della realtà, corpi che parlano e pensano il presente e già lo superano, reagendo come attivatori di un pensiero corporeo e dei saperi incarnati che veicola. Sono figurazioni descrittive e contemporaneamente decostruttive; i loro tentacoli si orientano “a tentoni”, ma permettono di sentire in maniera espansa, di vedere i colori attraverso il tocco su tutta la superficie della pelle e così di spazializzare un’idea mentale, far sì che l’immagine duri nella memoria di una sensazione. Le loro ali e le loro antenne, la loro pelle, i loro colori e le loro voci rifiutano ogni attaccamento a un’identità fissa, espandendo la percezione e proponendo infinite varianti non solo della materia-corpo, ma dell’esperienza del vivere i corpi in relazione all’ambiente che abitano, di riconfigurare così l’ecosistema nell’ecosistema a partire dal proprio tipo di presenza in esso.

I corpi magici, nel saggio di Pasolini e Vallorani, sono vettori di una conoscenza altra, ambienti alieni che trasportano all’interno, incarnandola, una straniante, ma altrettanto trasformativa, differenza. Si tratta di una conoscenza percettiva che lavora però non in direzione centrifuga, auto-alimentandosi e contemporaneamente cristallizzandosi, ma per propagazione, come campo di forze organiche capaci di modificare e intensificare tutto ciò che toccano. Avvalendosi del concetto di “orientamento” di Sara Ahmed, le due autrici spiegano come questo movimento, questo tendere-verso (o all’opposto l’allontanarsi da un punto di un oggetto), generi una forma di disorientamento dell’identità, una «confusione di posizioni e itinerari prevedibili a favore di nuove strade inaspettate, bizzarre, ma al contempo anche più autonome e potenzialmente liberatorie», quei percorsi che il femminismo sta creando anche attraverso la tecnica immaginativa delle arti.

 

Il significato attribuito storicamente e socialmente al corpo della donna viene, secondo l’analisi di Pasolini e Vallorani, decostruito attraverso il posizionamento delle protagoniste su uno spazio di soglia, un luogo non-luogo, un ambiente informato ma non indifferenziato.

 

Queste soggettività superano i miti femminili imposti dall’esterno, acquisendo agency sul mondo e sulla propria esistenza tramite, appunto, una pratica di cura che parte dalla ri-significazione del corpo che abitano. Ciò accade, nelle narrazioni esaminate, attraverso la modificazione spettacolarizzante del corpo (la scelta di Fevvers in Nights at the Circus di Angela Carter), o la sovversione dei ruoli di genere nel corpo queer, come nel caso della soggettività liquida di Villanelle in The Passion di Janette Winterson. Accade nel corpo nero – contemporaneamente soggetto invisibile e ipervisibile – di Doris, protagonista del romanzo di Berardine Evaristo, fino alla fantascienza più cruda, e ai mondi e ai corpi apparentemente distanti che evoca, dei racconti di James Tiptree Jr., Octavia Butler e Nora K. Jemisin.

 

Questi corpi sono post-moderni ma sono soprattutto post-umani, rifiutano cioè la categoria dell’umano come iperspazio di significazione, come luogo di esercizio di un potere totalizzante. Si immergono perfettamente nel tempo geologico dello Chthulucene, rifiutando l’Antropocene e il suo posizionamento come spazio temporale nel quale scegliere di vivere.

 

Chthulucene, nome composto che deriva invece dal ragno Pimoa Chthulhu, figura post e non umana situata sulla linea tra il tangibile e l’immaginabile e intrisa di culture che incrociano riferimenti terreni e celesti, permette di re-immaginare la nostra era geologica, originariamente anthropos-centrata, come un luogo vischioso, un impianto sottocutaneo, uno spazio buio dove i pensieri che accadono sono tastati e contaminati da più parti, senza che quelle parti siano organismi le cui forme, dimensioni e linguaggi permettano di distinguerli in maniera immediata e sicura. Pensieri e corpi sono densamente intrecciati e interrelati nel medesimo humus che li ingloba. Questa ibridazione di cultura e natura, umano e non umano, organico e meccanico, diventa l’unica via per generare la magia delle forme. Magia che può avvenire, come questi racconti sembrano suggerirci, solo tra i corpi – non necessariamente soltanto umani, attraverso un impianto o una struttura, quindi, relazionale e interspecie. Il comporre-mondi del genere sci-fi diventa allora un creare alternative a partire da relazioni contingenti e vulnerabili tra alterità, incontri-scontri che generano composizioni di affetti e sensazioni inedite.

Il contributo prezioso di questo saggio sta nella capacità di articolare il fantastico letterario delle sei autrici attraverso un linguaggio e una struttura che pone l’entità materiale come sistema di riferimento, di individuazione e di presa di parola (come l’idea di assegnare uno dei quattro elementi, e da lì comporre l’analisi, a ogni racconto e ai corpi che abita nella prima parte del testo).

Corpi magici dimostra e rende conto della capacità espressiva immanente della materia e del corporeo, leggendo la scrittura delle narrazioni esaminate attraverso lo stesso linguaggio che la compone. E a comporre la scrittura di un genere letterario originariamente maschile e maschilizzante è qui la grammatica dei corpi non conformi, femminili, mostruosi e anomali, e dell’esperienza vissuta, raramente pacificante, che incarnano e trasportano su di sé.

 

Immagine di copertina: Frank Gummett Bronze Kindred Spirits by Dawn McNutt 1990 at Alderney Gate Public Library, Dartmouth, Nova Scotia,