approfondimenti

ROMA

Stazione Termini: «La parola d’ordine è dissuasione»

Nella stazione centrale di Roma sono (più o meno) finiti i lavori del Giubileo e sembra non esserci più spazio per le persone povere e senza fissa dimora. Una conversazione con Mama Termini

La scorsa domenica l’associazione Mama Termini ha disposto i piatti sui tavoli pieghevoli in piazza dei Cinquecento di fronte alla stazione Termini e iniziato a servire la cena verso le sette e mezzo di sera, come fa ogni domenica dal maggio 2020, senza mai saltarne una. Le persone che dormono alla Stazione li conoscono, sanno che quel giorno possono ricevere un pasto caldo, ma anche supporto per questioni legali, burocratiche, o anche semplicemente chiacchierare. 

«La settimana scorsa, per la prima volta, è arrivata la sicurezza privata di Grandi Stazione e ha fatto delle foto, poi, è arrivata la polizia e ha iniziato a chiedere i documenti ai e alle volontarie che distribuivano cibo. Insieme a loro c’erano delle persone in borghese che facevano domande che non si sono qualificate», ci racconta Francesco di Mama Termini. 

Grandi Stazioni Rail Spa è la società del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane che gestisce le quattordici stazioni principali italiane, nella sua mission leggiamo che «valorizza e reinventa lo spazio pubblico trasformando i complessi immobiliari delle grandi stazioni» in questo modo: «le stazioni diventano impresa a elevato potenziale economico in grado di offrire nuovi business e servizi di qualità». Del resto, questo trend delle stazioni come spazi di servizi commerciali è di lungo corso e per Stazione Termini inizia con i lavori di rinnovamento del precedente Giubileo, quello del Duemila. Vengono investiti 119 milioni di euro, e insieme al restauro completo della stazione, costruita tra gli anni ‘30 e ‘50, il sottopassaggio sotterraneo diventa «un centro servizi che propone una vastissima offerta commerciale, 14.000 mq² di vetrine scintillanti a rappresentare ogni categoria merceologica», come leggiamo sul sito di grandi Stazioni. 

Foto di @massy_63__roma per Mama termini

I nuovi lavori per il Giubileo 

Per il Giubileo 2025 sono stati stanziati nuovi fondi per la stazione, questa volta è stata piazza dei Cinquecento a essere interessata dal rinnovo, dove Mama Termini e altre associazioni offrono un pasto caldo per le tante persone che non hanno altro luogo dove dormire se non quello del perimetro della stazione, visto che l’ingresso ai binari e alla stazione gli è già stato interdetto negli anni passati. La nuova piazza è stata inaugurata il 14 gennaio, nonostante i lavori non siano del tutto conclusi. Ora la piazza è una grande spianata, dove mancano ancora gli alberi, ci sono solo due pensiline per l’attesa degli autobus, qualche cassone di legno con delle piante, e i cantieri sono ancora aperti. 

Non ci sono bagni pubblici non a pagamento come richiesto dalle associazioni, ma al progetto iniziale sono state aggiunte delle panchine dove è impossibile sdraiarsi grazie ai due passamano che formano tre sedute, perché i cittadini e le cittadine decorose non devono sdraiarsi. Queste panchine si possono aggiungere alla lunga lista di esempi di “architettura ostile”, una progettazione urbanistica che ha l’obiettivo di rendere difficile sostare, fermarsi, allungarsi, dormire, o addirittura abitare determinati spazi pubblici delle nostre città.

E così Termini, in questi anni, si è riempita di spuntoni per impedire di sedersi sui gradini, cancellate intorno ai resti romani, reti che chiudono il parcheggio, bidoni dell’immondizia che evitano il passaggio.

Già nel 2022, questa Giunta aveva deciso di trattare la questione sociale come fosse un problema di spazio urbano, quando per evitare che le persone dormissero nel sottopasso Turbigo, che collega Via Giolitti e via Marsala, lo murarono interamente, senza offrire nessuna alternativa a chi ci abitava, ma buttando tutto quello che avevano, considerandolo immondizia. 

«Ogni cosa è per aria. Tutto è sottosopra. Immagina la polizia entrare a casa tua, immagina la polizia che mette le mani nelle tue cose, immagina la polizia fare grandi mucchi con le tue cose al centro della stanza e poi voltarsi verso il collega dell’AMA e dire: vai», scriveva Sarah Gainsforth sul nostro sito per raccontare quegli sgomberi. Nell’ultima rivelazione dei Comune di Roma del giugno 2024, si contano in città più di 2.200 persone senza tetto e senza fissa dimora, ma il numero reale potrebbe essere anche più elevato, dato che la rivelazione non si è svolta «presso i luoghi più nascosti e meno raggiungibili». Per l’anno giubilare il Comune, insieme ai lavori di ristrutturazione, ha continuato con la stessa politica.

A settembre Polizia e Ama hanno sgomberato tutte le persone che vivevano accampate su viale del Castro Pretorio, buttando tutto quello che possedevano, le tende, le coperte, le borse: tutto immondizia da buttare, non importa se tra quelle cose tu avessi avuto i tuoi documenti o un cellulare. Va tutto ripulito per i pellegrini in arrivo. Per tutte le altre persone nessuna pietà. 

L’unica cosa che non è mai stata discussa dal Comune è la trasformazione del nome della piazza che si chiama così dal 1916 per ricordare la sanguinosa battaglia coloniale di Dogali in Eritrea dove il 26 gennaio 1887 le truppe italiane vennero vinte dall’esercito comandato dal ras Alula. La piazza insieme al monumento dei caduti di Dogali, che si trova poco lontano dalla piazza, in viale Einaudi, sono le memorie di un passato coloniale con cui il nostro Paese non ha mai fatto i conti. E il colore della pelle della maggior parte degli uomini e delle donne spinte ai margini della nostra società e costrette a dormire per terra in quella piazza stanno lì a ricordarcelo. «Dopo la chiusura degli Sprar è stato un disastro. Ormai è tutto così: sono tutti dei naufraghi, non c’è nessun supporto, se vivi per strada non parli italiano, non puoi seguire un corso di lingua e di avviamento al lavoro, e in questo modo incontri sempre maggiori difficoltà ed emarginazione», continua Francesco di Mama Termini, «ma Termini è un mondo variegato non c’è solo chi è appena arrivato, ma anche persone che sono qui da venti o trent’anni che hanno pagato i contributi, che hanno perso il lavoro e a cui lo Stato non dà niente». 

Le uniche soluzioni prospettate dal Comune sono quattro tensostrutture, tende riscaldate e con dei bagni. Una doveva essere posizionata proprio a piazzale dei Cinquecento e avrebbe dovuto avere più di settanta posti, ma le polemiche delle destre, tra istituzioni e comitati, sono state fortissime. Così è stata spostata in un angolo buio del perimetro della stazione, dietro il sottopasso a Porta San Lorenzo, all’angolo con via dello Scalo di San Lorenzo, con meno di quaranta posti. Anche qui altri comitati del quartiere San Lorenzo hanno continuato le polemiche, del resto la situazione nel quartiere è complessa e tutti si sentono abbandonati.

I 250 posti delle tensostrutture di Ostiense, Tiburtina, San Pietro, e Termini – non tutte ancora pienamente funzionanti – non risolvono la situazione: «il numero dei posti disponibili non è più alto di prima, perché nel frattempo, per una questione di regolamento regionale, hanno dovuto chiudere un paio di strutture. Quindi sostanzialmente non è niente», ci spiega Francesco.

Qualche settimana dopo gli sgomberi a viale Pretoriano, dopo un grande assemblea solidale, un primo tentativo di abbattere le cancellate, poi ultimate dal Comune, a San Lorenzo sono apparsi dei manifesti con delle storie: «Franco lavora saltuariamente da anni, ma i contratti brevi e il precariato non gli hanno mai permesso di ottenere un mutuo. Quando è stato sfrattato non aveva più un’alternativa e ora vive in macchina, parcheggiato in un angolo nascosto del tuo quartiere». «Amina è una migrante arrivata in Italia per cercare sicurezza e stabilità. Oggi lotta ogni sera per trovare un letto nelle strutture di emergenza. I posti disponibili sono pochi, mentre i palazzi vuoti che potrebbero accoglierla restano inaccessibili o abbandonati». «Andrea viveva a San Lorenzo da una vita, ma il proprietario ha deciso di trasformare la casa in un Airbnb. Si è trovato costretto a trasferirsi fuori dal raccordo, dove i prezzi sono più bassi, perdendo il suo lavoro e le relazioni costruite in anni vissuti qui». E poi ci sono Jamil, Paolo, Omar, Giulia: «Siamo tuttƏ sulla stessa strada». 

Foto di Mama Termini – lavori della stazione

La nuova zona rossa 

E così il Giubileo è arrivato, il nuovo anno inizia con l’inaugurazione di una nuova piazza, con un cantiere semi- chiuso, l’apertura della tensostruttura a Porta San Lorenzo e l’istituzione della nuova zona rossa per Stazione Termini, il quartiere Esquilino e la stazione Tuscolana.  

In queste zone è possibile emettere ordini di allontanamento e divieti di accesso per persone considerate pericolose «perché denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti, per delitti contro la persona o contro il patrimonio commessi nelle aree interne e nelle pertinenze di infrastrutture ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano», come definisce la direttiva Piantedosi del 17 dicembre. L’idea è quella di «prevenire e contrastare l’insorgenza di condotte di diversa natura che – anche quando non costituiscono violazioni di legge – sono comunque di ostacolo al pieno godimento di determinate aree pubbliche, caratterizzate dal persistente afflusso di un notevole numero di persone».

«La parola d’ordine è dissuasione», ci spiega Francesco. «C’è più polizia e meno gente. Questo senza dubbio. E su via Marsala non dorme più nessuno, perché li cacciano, passa sempre qualcuno durante la notte e caccia la gente che dorme».

Al momento non abbiamo i numeri specifici su Roma, ma sappiamo che nel corso della sua prima applicazione a Firenze e Bologna in tre mesi, sono stati emanati 105 provvedimenti e controllate 14mila persone. Per Capodanno sono state individuate zone rosse anche a Milano e Napoli, per arrivare a 24.987 persone controllate, con l’emissione di 228 provvedimenti di allontanamento, secondo una nota del Ministero degli Interni del 9 gennaio. Nuove zone rosse sono state individuate a Catania, Torino e Palermo, zone centrali ipercontrollate che fanno da contraltare alle sette aree periferiche dove estendere il decreto Caivano. Che sia la periferia o il centro sono sempre le stesse persone sotto i riflettori delle forze dell’ordine, quelle che “possono sembrare pericolose”. 

Ci sono molti più controlli, e questo crea ancora più marginalità per chi vive per strada. «C’è un’incomprensione totale di chi vive per strada. Vengono scambiate due cose: la delinquenza ed essere senza tetto».

«Le persone senza fissa dimora stanno a Termini perché lì sono più sicure che in un parco isolato, dove non c’è luce, e puoi essere menato o derubato più facilmente, come è appena successo a un mio amico che dormiva in un parco dell’Eur. In realtà, le persone senza fissa dimora sono le prime a subire furti, anche tutte le sere». Ma a nessuno interessa. 

La costruzione di Termini come zona pericolosa, la stazione del degrado, la zona dove non passare da sole – descritta così da centinaia di video di youtuber e influencer – ha trovato una risposta politica ampliando il potere discrezionale in mano alle forze dell’ordine. Oggi chi abita Termini deve «sperare nell’arbitrarietà di chi controlla, sperare che siano tolleranti», si perde anche il senso di cosa sia la legge, quando tutto questo potere è conferito sulla base di ordinanze amministrative. I diritti, invece, sono cosa dimenticata da tempo per chi abita per strada. 

«Immaginate se a Termini ci fosse un campo da basket, tavoli da ping pong o un biliardino». Immaginate se Termini potesse essere un luogo di incontro, invece che di scontro. Un luogo con dei bagni puliti e gratuiti, dei pasti caldi per chi non ne ha, dove perdersi nella folla, ma anche ritrovarsi. Allora forse, a quel punto, chi non si fermerebbe a fare una partita a biliardino? 

Foto di copertina di Ingolf via Flickr


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