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Spinacity Lights. Oltre i confini della metropoli

Un libro che racconta la città partendo da un quartiere di edilizia popolare nato agli inizi degli anni ’60 (Momo edizioni 2023). L’autore, che di Spinaceto è stato abitante da sempre, ricostruisce le storie e la vita degli abitanti del quartiere e affidandosi alle loro voci. Ricostruire ciò che è stato deve servire a prefigurare il futuro del nostro abitare

Dal dopo guerra alla fine degli anni ’70 l’abitare di molti romani è stato questo: grotte, baracche, tuguri disseminati su tutto il territorio. Baraccopoli ovunque. Nel 1968 vengono censiti 57 baraccamenti dove abitano 62mila persone, mentre si stima che 400mila persone hanno bisogno di una casa a prezzi calmierati. Intanto Roma cresce, si espande nel territorio sotto la spinta di una speculazione selvaggia e dell’abusivismo tollerato dilagante, che si fa sistema economico. Nella città abusiva abitano 800mila romani, nella città consolidata 600mila. Alla fine degli anni ’70 con il sindaco Luigi Petroselli, attraverso un imponente piano di edilizia pubblica, si demoliscono tutte le baracche esistenti. Quelle famiglie si trasferiscono nei nuovi alloggi realizzati in applicazione della legge 167 del 1962. È l’ultima realizzazione di un vero programma di edilizia pubblica a Roma, che consente a molti di dire: «ho preso casa!»

Lo dice anche chi ottiene un alloggio nel Piano di zona n.46. Quello di Spinaceto è il primo a essere approvato nel 1964. Prevede l’insediamento di 26mila abitanti e una dotazione di servizi (scuole, spazi commerciali, verde, chiese) superiore agli standard di piano. Un enorme quartiere nasce al di fuori del raccordo anulare a 14 km dal centro della città. Ne seguiranno molti altri: Tor Bella Monaca, Corviale, Laurentino 38, Vigne Nuove, Serpentara.

I risultati sono inferiori alle aspettative, a causa della mancata realizzazione degli spazi collettivi e della scarsa attenzione alla qualità costruttiva. Quelli che dovevano essere insediamenti ad alta densità abitativa inseriti nel verde e autosufficienti per funzioni commerciali e di servizio, si configurano come quartieri “dormitorio” mal collegati alla città, ma totalmente dipendenti da essa. E le aree intermedie continuano a incrementare il loro valore, a beneficio dei proprietari privati e dell’espansione continua dell’abusivismo.

Per conoscere la storia di Spinaceto dalla sua nascita a quello che è diventato oggi bisogna leggere Spinacity lights – oltre i confini della metropoli . L’autore, Rankis, che di Spinaceto è stato abitante da sempre, ricostruisce le storie e la vita degli abitanti del quartiere e lo fa affidandosi alle loro voci. Un quartiere buttato oltre il GRA, quando sembrava che quella striscia d’asfalto fosse in grado di delimitare la metropoli. Oggi sappiamo che si è andati ben oltre. Eppure anche se lontane finalmente ci sono le case. Ed erano case vere, grandi, con i balconi, le cantine, il riscaldamento.

«Al centro del quartiere, i servizi pubblici e commerciali sono fermi sul progetto. Oltre i bandoni dei cantieri, nulla da com­prare. Passi e sovrappassi, ponti, terrazze, negozi disegnano un quartiere futurista. Ma solo su carta». (pag.17)

I progetti di quei Piani di zona riflettono la cultura urbanistica di quel periodo. Si disegnano pezzi di città con l’idea di farne nuclei autosufficienti, senza collegamenti con il resto del corpo urbano.

«Insomma, una sorta di quartiere futurista. Un progetto avveniristico, almeno su carta, basato su un concetto nuovo dell’abitare e del vivere anche in comune, dato che ogni area residenziale, vede la presenza di servizi sociali, centri residenziali, scuole e asili nido nelle immediate prossi­mità. I progettisti del quartiere sono stati sia guidati da una certa spinta utopistica sia accompagnati da non poche critiche». (pag. 23)

Ma i servizi non arrivano, il trasporto pubblico non c’è, i negozi mancano,

«Fa la spesa era n’impresa. Negozi chiusi da anni, locali abbandonati. Chi ha resistito andrebbe premiato. Hanno provato di tutto… ferramenta, elettrodomestici, compro oro, parrucchieri, negozi di scarpe, poi eccole là, so arrivate le sale scommesse! Tante. Troppe. Bisogna togliere l’oro alle vecchiette. Quei quattro spicci ai disoccupati. La fortuna ti bacerà sicuro. A Spinaceto. Con la slot machine». (pag. 27)

E poi sono arrivati i centri commerciali, tanti, ovunque!

Alla difficoltà di vivere in questi quartieri si aggiunge lo stigma che fin dalla loro nascita li ha raccontati come luogo dell’esclusione, ghetti dai quali gli abitanti sarebbero voluti scappare, senza riconoscere che quei quartieri erano stati privati dalla realizzazione dei servizi, previsti e finanziati, che avrebbero dovuto rendere quei luoghi brani urbani. Non si è voluto vedere che si è scelto di non far vivere quegli spazi, di drammatizzare l’abitare popolare, privandolo di ogni servizio e della necessaria manutenzione. Quei poveri abitanti dovevano accontentarsi di un tetto sulla testa! Chi lo abita invece è stato capace di creare una comunità intorno al senso di appartenenza e di identità, come dimostra un’indagine del 1983 che rileva che solo il 10% degli abitanti sarebbe voluto andare via dal quartiere.

Il libro racconta le trasformazioni avvenute negli anni con i cambiamenti politici, la frammentazione sociale, l’invasione della droga, la precarietà del lavoro che diventa esistenziale. Ma anche le lotte, il ruolo delle donne nelle battaglie per rivendicare i servizi che mancano, la ricostruzione dello spazio pubblico, dei servizi pubblici, degli spazi collettivi dove praticare forme di solidarietà urbana.

«Come abbiamo detto, se nei primi anni furono in particolare le forze politiche, come i partiti o altre organizzazioni, a essere promotrici di questo protagonismo sociale, dagli anni Novanta protagoniste saranno realtà sociali composite ed eterogenee. In particolare, facendo diventare il cosiddetto “Manufatto” (il mai nato mercato comunale), una sorta di incubatore sociale. Diverse e numerose realtà del territorio ne occuperanno gli spazi e daranno vita a iniziative coinvolgenti e aggregative». (pag. 176)

In quell’edificio, dove avrebbe dovuto essere aperto il mercato comunale, oltre al centro sociale Auro e Marco trovarono i loro spazi molte attività sociali e culturali, trasformando quei locali che erano stati rifugio per i tossicodipendenti, in spazi vitali per il quartiere. Nascono così cooperative sociali che si occupano di contra­sto alle povertà e sostegno ai senza fissa dimora; prende vita il centro autogestito delle donne Luna e le Altre che diventa un punto di riferimento sulle questioni di genere.

L’autore, raccontando un quartiere della periferia romana, racconta la città, il flusso continuo di persone, di idee, di merci, di cultura che la attraversa. Ne tratteggia la complessità e gli avvenimenti imprevisti, mentre si chiede quale sarà il futuro delle comunità che le abitano. Sono domande alle quali ognuno di noi deve trovare la risposta.

«Le periferie di una città, le sue comunità, sono ancora in grado di incidere nella dimen­sione politica e sociale? Hanno ancora voce? Hanno qualcosa da dire? E qualcuno li sta ad ascoltare?

La pe­riferia ha la sua colonna sonora? Quale è oggi? Quali le sue pa­role in grado di raccontarsi, quali le sue urla per mostrare la sua rabbia?

Nell’era del digitale, dell’economia capitalista globalizzata, del pensiero unico, del conformismo nella merce, i territori fisici, urbani, le periferie, i luoghi del margine metropolitano o dell’esclusione, sono ancora spazi di conflitto?

Le espressioni sociali, le parole dell’innovazione, le pratiche di alternative possibili sono ancora rintracciabili nei luoghi dove si trova il margine della metropoli? Ci sono ancora spazi fisici in cui è possibile sovvertire il senso di frammentazione e solitudine dell’epoca moderna? ­­­

I quartieri, le periferie, i margini, sono i luoghi da cui partire per interrompere la spirale di un conflitto che si muove dall’alto verso il basso, dei dominatori contro i dominati, impegnati, questi ultimi, in uno scontro sempre più orizzontale, fatto di infinite guerre tra poveri? ­­

Basta il bisogno o necessario è anche il desiderio?» (pag.189)

Il libro è stato pubblicato dalla casa editrice Momo Edizioni

Immagine di copertina tratta dal libro