EUROPA
Luci e ombre dell’accordo tra PSOE e Podemos sul bilancio generale dello Stato
Un’analisi dell’accordo tra Unidos Podemos e PSOE in merito alla legge di bilancio dello Stato spagnolo.
Il documento “Accordo sul bilancio generale dello Stato 2019: bilancio per uno stato sociale” sottoscritto dal governo del Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE) ed il gruppo parlamentare confederale di Unidos Podemos/ En Comú Podem/ En Marea, porterà, se verrà realizzato, ad un miglioramento delle condizioni di vita, in alcuni aspetti rilevanti, di un amplio settore della popolazione. Ma gli ostacoli da superare sono ancora molti: il via libera della Commissione Europea, l’appoggio (tutto da guadagnare) delle forze nazionaliste e indipendentiste basche e catalane, la necessità di mantenere viva la pressione sociale e politica perché i conti non si discostino da quanto stabilito e soprattutto perché l’accordo sia davvero un primo passo che dovrà essere seguito da molti altri.
L’accordo presuppone l’annuncio un punto di svolta, rispetto all’orientamento antisociale, autoritario e di austerità che ha guidato la politica e l’economia negli ultimi dieci anni in Spagna. Il documento contiene infatti misure e accordi di natura politica al di là di quello che è il bilancio generale, oltre ad un elenco di propositi la cui concretizzazione e sviluppo vengono rinviati ad un momento successivo. Tutto quanto stabilito nell’accordo è certamente necessario, ma non è sufficiente né esaurisce lo spazio di ciò che è possibile.
Senza la pretesa di essere esaustivi – non è qui necessario riprendere quanto già ampiamente pubblicato – possiamo soffermarci su alcuni importanti contenuti dell’accordo. L’aumento del Salario Minimo Intercategoriale (SMI) interesserà direttamente circa il 12% dei lavoratori ed assume un significato politico rilevante, poiché conferisce la dovuta importanza al necessario recupero salariale che avrà un risvolto immediato sulle condizioni di vita di milioni di persone, in termini di aumento del potere d’acquisto che si ripercuoterà positivamente sull’economia e potrà aprire la strada verso ulteriori aumenti salariali in sede di contrattazione collettiva. È altrettanto importante evidenziare l’intenzione di indicizzare l’aumento delle pensioni all’andamento dei prezzi al consumo, la misura relativa al sussidio di disoccupazione per chi ha più di 52 anni di età, il proposito di eliminare la precarietà e la truffa che spesso colpiscono i “falsi autonomi”, il miglioramento della normativa per i lavoratori domestici, la contribuzione per le ore di straordinario o l’estensione e consolidamento dei permessi di paternità e maternità e gli aiuti in favore delle persone invalide.
Pur riconoscendo l’importanza di queste misure e senza contraddire quanto detto fin’ora, bisogna però riconoscere anche che vi sono possibili e doverosi margini di miglioramento. Se compariamo il Salario Minimo di 900 € con quello di altri Paesi della UE, è chiaro che ci si può spingere oltre: Lussemburgo 1.922,96 €, Belgio 1.501,82 €, Irlanda 1.461,85 €, Olanda 1.501,80 €, Francia 1.457,52 €, Gran Bretagna 1.378,87 €. Per quanto riguarda le pensioni, il movimento dei pensionati chiede che l’ammontare della pensione minima sia di 1.040 €, ma l’accordo sul bilancio non esplicita quale sarà tale importo. Rispetto al rilevante aumento dell’aiuto per gli invalidi, gli interessati sottolineano l’insufficienza della misura. Per quanto si siano ottenuti risultati, resta ancora molto da fare.
Ma ancor più rilevante è che tale accordo suppone una rinuncia – o, se si preferisce, un rinvio – ad aspetti che come “forze del cambiamento” abbiamo considerato sempre essenziali. Come ad esempio la modifica della riforma del lavoro che proprio il PSOE aveva promesso di cambiare, o la riforma fiscale con criteri progressivi, al di là delle misure già adottate – relative al patrimonio, all’imposta sulle società e all’IRPEF dei salari più alti – che condividiamo ma che non rappresentano il nocciolo della questione.
Come segnalato dal Sindacato degli Inquilini altrettanto insufficienti e decisamente migliorabili, sono le misure annunciate rispetto al problema della casa. Inoltre, mentre si definiscono importanti provvedimenti politici per porre fine alla repressione delle lotte sindacali, lo stesso documento mantiene toni ambigui e privi dell’impegno urgente e necessario rispetto alla “ley mordaza” (legge del 2015 che colpisce la libertà sindacale, di espressione, riunione, manifestazione NdT) alla riforma del Codice Penale o alle soluzioni per la questione catalana. Per quanto si menzionino questioni di importanza vitale come la transizione energetica, temi come la necessità di porre fine all’onnipotente oligopolio elettrico e la risposta ai cambiamenti climatici sono appena accennati o semplicemente taciuti. Altrettanto si può dire per la tassazione progressiva (come già sopra segnalato) o i privilegi dell’élite economica.
Se ci pare sicuramente importante evidenziare i progressi fatti, frutto della volontà di esprimere un cambio di direzione, crediamo sia altrettanto importante evitare un doppio pericolo: da un lato non tenere in conto i limiti dell’accordo e lasciarsi trascinare dall’euforia, facendosi così cogliere impreparati davanti alle prossime sfide; d’altro lato presentare gli accordi come se fossero l’unico scenario possibile per avanzare politicamente in una strategia che sia al servizio della maggioranza sociale, come effettivamente sembrerebbe ascoltando una delle frasi più ripetute negli ultimi giorni, “bisogna continuare a far pressione sui socialisti”.
A nostro parere, il progetto di cambiamento non può, né deve, restare circoscritto o venire diluito in base al margine di manovra che il PSOE ci offre o che noi siamo in grado di guadagnare nell’ambito istituzionale. Intanto perché il PSOE è lo stesso partito che si allinea alla destra e con l’attuale sistema statale su temi centrali (monarchia, trasparenza in materia di frodi fiscali, privilegio delle grandi imprese private, accordi commerciali…); poi, perché l’unico modo di far rispettare gli accordi sottoscritti e di continuare ad avanzare in questa direzione, è che le “forze del cambiamento” diano vita ad un’ampia alleanza con le organizzazioni sociali, sindacali, femministe ed ecologiste, riconoscendone il ruolo, le capacità, le pratiche e l’autonomia di espressione, come elementi chiave per il cambiamento. La fase del post Accordo necessita un amplia e plurale coalizione socio-politica che restituisca protagonismo alla piazza, alla società che si mobilita.
Se invece si interpreta l’accordo come qualcosa che trascende il suo articolato, che con luci ed ombre rappresenta un sicuro miglioramento per la maggioranza sociale, e gli si attribuisce il rango di un accordo legislativo con il PSOE, l’intera gestione sarà lasciata nelle mani di Sanchez. Ma sarebbe ancora peggio se l’accordo venisse presentato – come alcuni invece fanno – come pezzo di una strategia per arrivare al governo e costituirebbe certamente un passo falso l’ipotesi di una coalizione con il PSOE che dovesse nascere dopo le elezioni politiche. Formare un governo bipartitico col PSOE andrebbe ben oltre al fatto di un appoggio esterno e di un condizionamento, vorrebbe dire assumere una strategia destinata a fallire, soprattutto se aumentano le turbolenze finanziarie, se perdura la minaccia della crisi economica globale e se l’Unione Europea, quella barca alla deriva!, insiste con le politiche di austerità.
Quest’ultimo punto è fondamentale per il futuro delle “forze del cambiamento” e, quindi, per la maggioranza sociale. Si accetteranno i diktat di Bruxelles come sta facendo il PSOE? L’Europa si costruisce o, meglio, si distrugge, con l’implemento di politiche economiche articolate attorno al pareggio di bilancio e con la cessione di sovranità a istituzioni sovrastatali che, mancando di legittimità democratica, impongono i loro criteri ai parlamenti nazionali. Non chiediamo al PSOE che adotti una posizione critica rispetto al cosiddetto “progetto europeo”, né crediamo che possa farlo dal momento che su tutti i temi fondamentali si allinea con l’establishment, ma per Unidos Podemos una riflessione che ponga in discussione l’attuale sistema istituzionale, le politiche economiche e gli interessi delle classi dominanti, deve essere un punto fondamentale della proposta politica per conquistare un’egemonia culturale, politica ed elettorale.
Il ruolo delle “forze del cambiamento” sarà sminuito dal dover richiedere l’ok a Bruxelles in tema di bilancio, dal dover richiedere flessibilità rispetto agli obiettivi di deficit o dal dover approfittare delle crepe dell’architettura istituzionale per potersi muovere? Sarà questo lo scenario in cui ci muoveremo in occasione delle prossime elezioni europee? Dalle risposte a queste domande dipende la possibilità che Unidos Podemos si costituisca come forza indipendente e alternativa, capace di alimentare nuovamente la speranza in ampli settori della società o che accetti, al contrario, un ruolo secondario e subordinato all’interno dello scacchiere istituzionale.
Articolo apparso sul sito Público
Traduzione italiana di Marco Pettenella per il sito Communia