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Soggetti emozionali per il mondo che verrà
Tra cura e giustizia. Le passioni come risorsa sociale di Elena Pulcini insiste sul valore politico delle dinamiche affettive, indagando le passioni positive, quelle che costruiscono e non quelle che distruggono la società.
Occorre essere grati a Elena Pulcini per il suo Tra cura e giustizia. Le passioni come risorsa sociale, edito da Bollati Boringhieri e in libreria da novembre. Grati, perché non è facile, nel dibattito filosofico-politico del tempo che viviamo, non indugiare famelici sulle passioni tristi e la cattiveria senza pari dell’animale che siamo. Come sbagliare, d’altronde? Non è la nostra l’epoca dell’autoritarismo neoliberale, di Trump e di Bolsonaro, di Modi e di Orbán? Risentimento, rancore, egoismo e guerra tra poveri, razzismo: il catalogo è servito.
Elena Pulcini, che sul valore politico delle dinamiche affettive insiste con raffinatezza da anni, e in modo originale si è occupata di paura e di invidia, è ostinata e nuota contro corrente: del presente, indaga le passioni positive, quelle che costruiscono e non quelle – sempre urlate dai media – che distruggono la società.
E lo fa spostando lo sguardo sui movimenti sociali del nostro convulso presente, dalla marea transfemminista a Fridays For Future, ai Gilets Jaunes.
Intendiamoci, in alcun modo la catastrofe in corso – che è sociale, climatica, riguarda il rapporto tra i generi – è sottovalutata. Insistere sulle risorse emotive del cambiamento è una scelta precisa, di parte: la filosofia non è critica se, nel reale nefasto, non coglie le alternative possibili. Ecco allora che la teoria della cura si integra con quella della giustizia, integrazione reciproca resa possibile dall’analisi delle radici passionali tanto dell’una quanto dell’altra.
Originaria è l’empatia, le neuroscienze lo hanno ormai accertato; e Pulcini indaga il concetto, caro alla fenomenologia novecentesca, a partire dal precedente scozzese di Hume e di Smith. I due parlano di simpatia, e ne fanno la sorgente della socialità tipicamente umana. Grazie all’immaginazione e alla sua forza, poi, affrontano gli ostacoli non marginali della parzialità e della distanza.
La simpatia è solo la premessa, la correzione immaginativa spinge verso la conquista di sentimenti propriamente morali; tra questi, decisiva è la compassione. Passando criticamente in rassegna il pensiero femminista che più ha insistito sull’etica della cura (Gilligan, Tronto, Kittay), Pulcini individua la fonte passionale di quest’ultima nell’intreccio tra vulnerabilità e compassione.
Compatire significa infatti sentire la vulnerabilità dell’altro come propria, al tempo stesso combattere la propria sofferenza sconfiggendo quella altrui.
È qui che entra in gioco la giustizia, quando cioè, dai sentimenti morali, si passa all’impegno politico. Non mancano riferimenti al normativismo che più ha segnato il dibattito filosofico-politico degli ultimi decenni, da Rawls in poi. Ma la strada di Pulcini è decisamente un’altra: della giustizia, delle sue pretese universalistiche, si tratta di cogliere il fondamento emotivo.
L’indignazione è la passione in questione, e il riferimento privilegiato è ai movimenti sociali che, di questa, hanno fatto il loro nome. Si indigna, insegnava Spinoza, chi con altri si associa per difendere colui che soffre e combattere il potere ingiusto che quella sofferenza impone. Sembrerebbe tutto facile, una volta afferrate le radici sentimentali del bene, basta lasciarsi andare e la natura farà il resto. Chi si occupa seriamente di passioni, però, non dimentica ambivalenza e rovesciamenti delle stesse.
È così che la misericordia della cura, quando questa si fa lavoro imposto o non pagato, può rovesciarsi in ostilità. L’indignazione può farsi invidiosa, le cronache raccontano. Cosa succede, poi, se l’altro sofferente o a rischio è lontano nello spazio, il migrante che fugge da fame e guerre, e nel tempo, le generazioni future?
In un confronto serrato e critico con Foucault e Sloterdijk, Anders e Weil, Pulcini propone una «paideia delle passioni». La dilatazione immaginativo-sentimentale va socialmente educata. E non è un nuovo ascetismo a fare la differenza, ma la piena affermazione di un «soggetto emozionale», esito delle risonanze affettive che associano gli individui e generano comunità.
Di questa paideia, che trova l’accordo di chi scrive, vale la pena cominciare ad abbozzare le forme politiche: contropoteri e istituzioni non statali, su questo terreno la ricerca va rilanciata.
In copertina particolare da Corridor in the Asylum (V. Van Gogh, 1989, Metropolitan Museum of Art)