ITALIA

Si chiama decreto Salva-casa, ma salva soprattutto quello che casa non è!

Il 30 maggio è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, con entrata in vigore immediata il decreto Salva-casa. Una legge a tutela dei proprietari di casa, ma soprattutto dei proprietari di locazioni commerciali, premiati per i loro servizi ai turisti con la conseguente ulteriore privatizzazione degli spazi pubblici, mentre per chi casa non ne ha, o stenta a tenersela vige ancora il silenzio

Ancora un decreto, il n. 69 del 2024 giustificato dall’urgenza, è stato approvato dal Consiglio dei Ministri: “Disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica”. 

L’aveva promesso Matteo Salvini, vicepresidente del consiglio e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, per salvare le case difformi dal progetto approvato all’epoca della loro realizzazione. Insomma sanare lo spostamento di qualche tramezzo interno, la realizzazione di un secondo bagno, l’apertura di una porta o l’abbattimento di un tramezzo per realizzare un open-space, molto cool.

Del resto se non c’è corrispondenza fra quanto risulta al catasto e la realtà è impossibile avere accesso a un mutuo oppure vendere l’appartamento o almeno vedersi autorizzata una manutenzione straordinaria. Un bel problema per tanti proprietari di casa.

In realtà anche prima dell’approvazione del decreto esisteva uno strumento per mettersi in regola: la CILA in sanatoria, pagando una sanzione di 1000 euro si poteva presentare il rilievo dello stato di fatto e chiederne il nuovo accatastamento, regolarizzando quello che si era realizzato senza chiedere alcuna autorizzazione. Sempre che fossero davvero piccole difformità.

Troppa burocrazia, troppa normativa rigida, ci dice il Ministro, a rendere la vita dei proprietari di casa una sofferenza. Ecco dunque la semplificazione! Non più autorizzazioni da attendere, ma viene introdotto il silenzio-assenso, che visto lo stato degli uffici comunali, con pratiche inevase accumulate e scarsità di personale tecnico, significa che tutto sarà legittimo

A guardar bene il decreto approvato però si capisce che l’intenzione è rendere la vita facile a tutta un’altra categoria di persone.

Innanzi tutto ai tanti che hanno realizzato strutture adiacenti alle loro attività durante l’emergenza legata al Covid-19 occupando spazi pubblici: marciapiedi, carreggiate, piazze. Tutti i gazebo, le verande, i plateatici «mantenuti in esercizio» possono rimanere lì dove sono «in deroga al vincolo temporale» purché se ne dimostri la «perdurante necessità». Senza specificare a chi sono necessari.

A Roma la giunta Gualtieri aveva intenzione di non consentire ulteriori proroghe e stava per approvare un regolamento sul commercio che mettesse ordine al caos che, soprattutto nel centro storico, ha trasformato intere aree in una Disneyland del drink e food. Dal maggio 2020 sono arrivate quasi settemila richieste di occupazione di suolo pubblico.

Non sarà così perché la nuova norma, essendo concepita come una modifica strutturale alla norma ordinaria (apporta delle modifiche al DPR 6 giugno 2001 n°380) sarà una regola applicabile sempre. A differenza dunque delle varie leggi che si sono susseguite per “sanare” quanto abusivamente realizzato, in questo caso non si tratta di un condono, ma di una legge che consente di derogare ai regolamenti da ora in poi. Un Salva-casa è per sempre!

Il decreto Salva-casa contribuisce a incentivare un fenomeno già in atto: la privatizzazione dello spazio pubblico. Di fatto assistiamo a un’offerta privata di spazi spacciati per pubblici, segnati da esclusione per alcune categorie di persone.

Un’altra possibilità introdotta, che con la casa c’entra poco sono i cambiamenti d’uso “senza opere” che diventano “sempre ammessi”, anche tra categorie funzionali diverse se l’immobile si trova ubicato in tessuti che il PRG classifica come zone A, B o C.

Nei centri storici, e non solo, ogni immobile, dai seminterrati alle mansarde, potrà essere trasformato definitivamente in residenze turistiche e commerciali. Sarà completata la desertificazione abitativa dei centri storici. E tutto senza essere obbligati a reperire gli standard urbanistici. Cade così anche l’obbligo della monetizzazione di quegli standard, che almeno portavano soldi alle casse comunali. Guai a toccare i diritti dei “legittimi proprietari”

La città cambia così drasticamente la sua natura etimologica e funzionale diventando sinonimo di azienda, il cui scopo è soddisfare le necessità del turismo, ormai tra i settori maggiormente redditizi in Italia, che difatti si aggiudica la nona posizione nella classifica del Report Travel & Tourism Development Index 2024 del Wef.

Nel 2023 gli arrivi di turisti sono stati di 57,25 milioni, secondo i dati dell’organizzazione mondiale per il turismo (UNWTO) e ai “legittimi abitanti” delle città non viene riconosciuto alcun diritto, vengono costantemente espulsi dal loro abitare che viene trasformato in nudo meccanismo di rendita, vetrina e consumo. La proliferazione di alloggi utilizzati per accogliere il flusso abnorme di turisti ha distrutto l’abitare e si è andati avanti senza valutare il prezzo che la comunità avrebbe pagato.

Il fenomeno della turistificazione ha dunque conseguenze non solo sul Pil dei paesi, ma modifica drasticamente il territorio urbano e il welfare degli abitanti, incrementando il processo di privatizzazione. Stiamo assistendo e subendo un processo che va a braccetto con la gentrificazione, in entrambe i casi lo scopo finale è la città e non i suoi abitanti, che paradossalmente diventano concetti che divergono sempre più l’uno dall’altro

Cosa succede se la dimensione urbana si allarga oltre il centro storico, se l’eccessivo turismo porta un’eccedenza di visitatori, se i prezzi lievitano a tal punto da rimanere accessibili solo al turismo di élite? Succede che il fenomeno si estende, gli sfratti si amplificano, ancora una volta i contratti di locazione non vengono rinnovati per far spazio a fast-alloggi da una notte e via, migliorano finalmente i mezzi di trasporto pubblici, ma sempre in vista della necessità del turista di collegarsi dalle zone più limitrofe a quelle più centrali, quindi producendo sovraffollamento e sfavorendo ancora una volta gli abitanti che,  nella peggiore delle ipotesi, saranno sostituiti da veicoli sharing, con costi altamente insostenibili nel quotidiano.

La gentrificazione trova il suo spazio di legittimazione e fa da base alla turistificazione. Il decoro e i servizi di intrattenimento si potenzieranno anche nelle aree urbane “marginali” e vale sempre la regola della vetrina, quindi ciò o meglio chi non risponde ai canoni di decenza riceve un foglio di via verso destinazione non ben precisa tramite azioni coatte o costretti oggettivamente dall’aumento dei prezzi e dalla disgregazione della comunità.

Una bulimia dell’economia del turismo che continua a investire su se stessa come un circolo vizioso, lasciando per strada milioni di persone, contribuendo a inceppare e rallentare il meccanismo di assegnazione delle case popolari, dove la manutenzione degli stabili continua a rimanere problema superfluo per le amministrazioni

Ovviamente non vengono risparmiate neanche le occupazioni dove gli sfollati urbani hanno costruito un rifugio e rivendicano un diritto fondamentale come quello alla casa, mentre molti stabili devono essere svenduti e privatizzati per qualche spicciolo in più o restituiti ai “legittimi proprietari” per poter partecipare alla divisone del malloppo economico. Un turbinio monetario inarrestabile, perché non concerne un progetto di costruzione e cura, ma risponde ai requisiti del capitalismo di un’incessante richiesta di effimero e sollazzante.

Esistono degli anticorpi come quello della Rete Set (Sud Europa di fronte alla turistizzazione), nata nel 2018, che denuncia e riassume le problematiche del fenomeno ormai affermato in molte città europee. Dal diritto all’abitare in primis, alla proliferazione di locazioni turistiche con la svendita del patrimonio pubblico, all’iperproduzione di lavoro precario nella filiera del turismo, passando per la creazione di monocultura fino all’incremento dei tassi d’inquinamento; la turistificazione e la gentrificazione intaccano la quotidianità e i governi non fanno nulla a tutela degli abitanti, anzi. Il diritto all’abitare non è solo investire sul mattone pubblico (e al momento neanche questo è nell’agenda del governo), ma anche predisporre le strutture dei servizi e della mobilità.

Oggi in molte città italiane chi vive in affitto rappresenta solo un terzo di chi è residente. Questi nuclei familiari sono quelli a più basso reddito, che non sono in grado di poter acquistare un alloggio o che ancora vivono nell’incertezza delle proprie esigenze legate al lavoro. Trovare una casa in affitto è diventato impossibile non solo per gli alti canoni richiesti, ma soprattutto perché il mercato offre solo contratti a breve termine, destinati a non residenti

Un vero Decreto Salva-casa dovrebbe occuparsi di questo.

I cittadini e le cittadine delle città non si uniscono al coro unanime di approvazione del decreto che viene dalle categorie professionali, dalla Confedilizia, dagli agenti immobiliari, dagli operatori turistici e di tutti quelli che si ritengono padroni di ogni spazio urbano.

L’immagine di copertina è di Patrizia Montesanti – scattata il 25 aprile al corteo di Roma est

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