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Short Theatre, Tutto brucia di Motus
Enrico Casagrande e Daniela Nicolò mettono in scena uno spettacolo che riprendere la rilettura de “Le troiane” da parte di Sartre: la catarsi della tragedia classica viene rivisitata alla luce della contemporanea guerra degli Stati contri le persone migranti
Ci sono tre donne su una spiaggia che attendono di essere deportate come schiave e piangono i loro morti e anche se stesse. Sono Elena, Cassandra e Ecuba. Dietro di loro brucia Troia, città conquistata e devastata senza pietà dai Greci. La storia raccontata dai Motus in Tutto Brucia, adattamento de Le troiane di Euripide riscritte da Jean-Paul Sartre, inizia e resta su questa scena maestosa.
Immaginate le fiamme che divorano una città intera, mentre un popolo superstite al massacro aspetta le navi dei conquistatori che li trasporteranno in Grecia. La spiaggia non è fatta più di sabbia, ma della cenere piovuta dal cielo annerito dalle cupe vampe. Così si presenta il palcoscenico, cosparso di un manto grigio da cui emergono le presenze spettrali di Silvia Calderoni e di Stefania Tansini che si alternano nei ruoli delle Troiane.
La prima reinventa la sua potenza espressiva e l’accompagna con una chirurgica padronanza della voce dolente per il lutto; la seconda, attraverso molteplici partiture di azioni danzate, dà corpo all’intimo pathos della perdita di un mondo.
Questa suite compatta di parole, movimenti e composizioni sceniche è piena di invenzioni registiche (l’uso dei neon, ad esempio) e si fonde nel canto in inglese di R.Y.F. (Francesca Morello) che svolge il ruolo del coro, affidato originariamente al commento in scena di Ecuba. Chitarra e voce sono molto più di un tappeto sonoro. Danno una profondità epica al lamento della perdita e al desiderio di riscatto dalla disgrazia dei vinti, dall’ingiustizia degli dei e dalla disumanità dei vincitori che saranno condannati a una punizione divina.
È vertiginosa la riscrittura dell’opera di Euripide, anche nella versione di Sartre, fatta dai registi Daniela Nicolò e Enrico Casagrande con la drammaturga Ilenia Caleo. Il testo originale segue una logica molto semplice: la successione di quadri, che corrispondono agli atti, in cui le protagoniste si alternano, e dialogano. L’azione è già avvenuta. Euripide l’ha messa in scena nelle due tragedie precedenti – Alexandros e Palamede – che compongono una trilogia interamente dedicata alla guerra di Troia.
A differenza delle Troiane i primi due drammi sono conosciuti solo da brevi frammenti e dal loro argomento. Un’opera che non racconta un’azione è il contrario delle regole del teatro greco.
E tuttavia la potenza della denuncia di Euripide contro la violenza della guerra e l’efferatezza del colonialismo è stata conservata nelle antologie alessandrine. La forza del mito ha attratto sempre i filosofi. Seneca fu il primo a riscriverla in latino nel primo secolo d.C. Anche Sartre – dopo Girardoux o Anouilh – non è venuto meno all’impostazione iniziale del testo.
Tutto il contrario rispetto a ciò che accade sulla scena dei Motus dove il teatro della performance è innestato su quello classico alla ricerca di un nuovo equilibrio di forma e contenuto. La fissità quasi sacrale dell’originale è ribaltata in un movimento, mai fine a se stesso, pensato per rendere visibili le forze dell’invisibile. È un punto di vista sorprendente quello usato per ripensare un testo rappresentato ad Atene durante le Grandi Dionisiache nel marzo 415 a.C. e concepito come un oratorio, più che come una tragedia come Antigone sulla quale i Motus hanno già lavorato.
Sartre pensò il suo testo come lo specchio della guerra d’Algeria passata e quella del Vietnam a venire. Nel 1965 con le sue Troiane egli concluse la sua carriera di scrittore e drammaturgo che gli valse anche un premio Nobel clamorosamente rifiutato.
Solo per questo, oggi in tempi di scrittori presentati come “autori”, Sartre andrebbe riletto. Quando il dramma fu messo in scena durante la guerra d’Algeria (1954-1962) Sartre fu colpito dal successo nel pubblico favorevole alla negoziazione con l’F.N.L. Pensò così, tre anni dopo la fine di quella “sporca guerra”, di rilanciare il suo impegno contro tutte le guerre coloniali e l’imperialismo. Il teatro è sempre in situazione, si legge in un suo libro-intervista con questo titolo, una vera di miniera di teorie e informazioni.
Il teatro politico dei Motus segue lo stesso principio. In questo spettacolo parlano di un altro tipo di guerra: quella degli Stati contro gli umani migranti in mare, nei deserti, tra le montagne. È una caccia che si serve di muri, subappalti di lager in Libia, di contrattazioni con bande criminali presentate come “guardia costiera” il cui compito è impedire il viaggio nel Mediterraneo, fare morire in un carcere o in mare vite che non contano.
È contro questa guerra, chiamata “sicurezza”, che alcuni nomi degli annegati sono invocati sulla scena. come il testo di Sartre, anche quello riadattato da Motus è un’accusa vibrante contro l’Europa.
L’Europa è un’idea moderna, ma risponde all’antica opposizione tra greci e barbari, tra la Magna Grecia, che sviluppava la sua civiltà verso il Mediterraneo, e gli insediamenti dell’Asia Minore dove l’imperialismo coloniale di Atene si esercitava con una ferocia che Euripide denuncia senza senza mezzi termini. Nella “Fortezza Europa” si parla oggi di “frontiere coloniali” pensate per respingere e trattenere i migranti considerati simultaneamente prigionieri e latitanti, bloccati in una terra che non accoglie e non lascia andare. Quali vite contano, dunque? Cosa rende una vita degna di lutto?
Nei mondi che bruciano dentro e fuori, nello sprofondare della vita distrutta resta la tensione verso il possibile, quella pratica di un’attività infinita che non muore con la fine di un mondo, ma porta a creare un altro mondo dalle sue ceneri. Questa invocazione appare nel momento più intenso dello spettacolo. Con un rovesciamento dei termini, e del contesto, Tutto brucia è anche un auspicio della rivolta, la pratica di una catarsi.
Teatro India, Roma, 9 – 23 settembre 2021 nell’ambito di Short Theatre
Motus
Tutto Brucia
ideazione e regia: Daniela Nicolò e Enrico Casagrande
con Silvia Calderoni, Stefania Tansini e R.Y.F. (Francesca Morello) alle musiche
testi delle lyrics: Ilenia Caleo e R.Y.F. (Francesca Morello)
ricerca drammaturgica: Ilenia Caleo
Tutte le immagini di Vladimir Bertozzi