ROMA
Sgombero di via Curtatone: l’unica emergenza è l’accoglienza
Il 19 agosto a Roma si è consumato lo sgombero di Palazzo Curtatone a Piazza Indipendenza. L’occupazione abitativa ospitava dal 2013 circa 1000 rifugiati ed era da tempo sotto la minaccia della polizia.
Così come lo sono gli spazi occupati, sociali e abitativi, non solo a Roma. Agosto è stato inaugurato infatti dal doppio sgombero degli spazi sociali Labas e laboratorio Crash a Bologna. Mentre dopo Casetta a Portonaccio, nell’arco degli ultimi 7 giorni a Roma due occupazioni abitative vengono smantellate con un dispiegamento di mezzi e uomini inedito.
Si tratta di edifici di grandi proprietà immobiliari e sono le Prefetture, quindi il Ministero degli Interni, a procedere. Del resto il Sindaco di Roma, per bocca del suo vice Luca Bergamo, declina ogni responsabilità e ruolo non essendo la questione di sua “competenza”. Al Comune è lasciato il compito di gestire l’”emergenza”, o meglio, di non gestirla se tutto ciò che si mette in campo è la Sala Operativa, con soluzioni temporanee e di fortuna e la prospettiva di smembrare i nuclei familiari.
Quando si parla di emergenza, però, ci si riferisce in genere a un fatto imprevisto, improvviso. In questo caso si tratta di uno sgombero preordinato, di una decisione politica che ha messo per strada centinaia di rifugiati, migranti, poveri a cui le istituzioni non hanno dato risposte se non questa.
Ci chiediamo a questo punto quale minaccia rappresentava l’occupazione abitativa per la sicurezza pubblica? Nel momento in cui diventa massimo l’allarme di un probabile attentato a Roma perché accanirsi con chi è vittima e fugge dalla stessa minaccia?
Nei giorni in cui l’Europa è di nuovo colpita da attacchi terroristici, la città di Barcellona ha saputo reagire facendo leva sulla sua irrinunciabile cifra cosmopolita e solidale. Perché senza accoglienza, senza legami sociali, non c’è pace possibile.
Ma la strategia del Viminale, e del Comune di Roma, è evidentemente opposta perché diversi sono gli scopi. La distruzione di ogni rete di solidarietà sembra essere la vera priorità; trasformare la povertà in problema di sicurezza e decoro urbano; eliminare ogni ostacolo – in termini di autorganizzazione e opposizione sociale – alla svolta nella gestione dei flussi migratori imposta dall’Europa e impressa da Minniti. Fomentare l’odio, marcare la differenza tra ricchi e poveri, bianchi e neri, italiani e stranieri, italiani veri e indebiti, cittadini e clandestini, legali e abusivi, produce una divisione tra buoni e cattivi, tra chi ha diritto e chi no. Rende esponenzialmente più vulnerabile e più controllabile una società già minata dalla paura e dall’impoverimento.
Chiamiamo le cose col loro nome, allora: se a Roma di emergenza si tratta, è emergenza sociale e democratica. La sicurezza è la casa, il reddito, i servizi, l’accoglienza, la città solidale.
Noi non abbiamo paura, abbiamo diritti!