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EUROPA
Serbia, la più grande protesta di sempre
Sabato 15 marzo a Belgrado è stata la più grande manifestazione di protesta della storia serba. Centinaia di migliaia di studenti e cittadini si sono ritrovati nella capitale per manifestare pacificamente. Non sono mancati però incidenti e provocazioni
Sabato 15 marzo si è tenuta a Belgrado la più grande manifestazione di protesta della storia della Serbia. Accogliendo l’invito degli studenti, con lo slogan «15 per 15», centinaia di migliaia di cittadini sono scesi in piazza per chiedere nuovamente, in modo dignitoso e pacifico, che le richieste degli studenti venissero esaudite.
Nella capitale per giorni si è respirata un’atmosfera festosa ed euforica. ma al contempo tesa, e le autorità hanno fatto tutto il possibile per mettere a rischio la sicurezza dei partecipanti alla protesta.
Ad uscirne vittoriosi, ancora una volta, sono stati gli studenti che, con il sostegno dei cittadini, hanno garantito tutte le condizioni per lo svolgimento dell’evento, ben riuscito in tutti i suoi aspetti organizzativi.
Da mesi ormai i giovani portano sulle spalle un peso enorme. Gli studenti di Belgrado hanno avuto il compito, quasi impossibile, di organizzare la protesta, accogliere i colleghi di altri centri universitari, fornire supporto logistico, garantire la sicurezza dei partecipanti e rispondere alle aspettative dei cittadini di tutta la Serbia, alcuni dei quali si aspettavano un miracolo, ossia la caduta del regime di Aleksandar Vučić.
Nei giorni precedenti alla manifestazione, gli studenti hanno a più riprese affermato che sabato 15 marzo non sarebbe stato un giorno fatidico, ribadendo il carattere pacifico della loro protesta, motivata sostanzialmente dalla richiesta rivolta alle istituzioni affinché facciano il loro lavoro.
Centinaia di migliaia a Belgrado
Belgrado ha riservato un festoso benvenuto agli studenti arrivati a piedi da diverse parti del paese. Venerdì sera nella capitale regnava un’atmosfera da carnevale. I cittadini per ore hanno aspettato con pazienza l’arrivo di ciclisti e studenti, organizzati in tre cortei, entrati in città in punti diversi. In centro città oltre trentamila persone hanno accolto gli studenti con applausi e lacrime.
Già venerdì le strade di Belgrado erano colme di persone partite in anticipo da tante città della Serbia per evitare la folla e per essere sicure di riuscire a raggiungere Belgrado, dato che le autorità hanno cercato di impedire gli arrivi organizzati per dissuadere i cittadini dal partecipare alla protesta.
Le tattiche del governo non hanno però funzionato. Chiunque abbia seguito la situazione in Serbia sapeva che la manifestazione di sabato sarebbe stata imponente. In pochi però potevano affermare con certezza che si sarebbe trattato della più grande protesta della storia del paese, almeno due volte più grande di quella del 5 ottobre 2000, alla quale l’evento di sabato è stato erroneamente paragonato da molti.
Le stime sul numero dei partecipanti alla protesta oscillano tra i 325 mila, secondo l’Archivio delle manifestazioni pubbliche, e gli 800 mila, secondo quanto affermato da alcuni manifestanti, politici e analisti.
Stando invece alle polizia, al “culmine” della protesta nelle strade di Belgrado c’erano 107mila persone, mentre il presidente Vučić ha parlato di poco più di 80mila.
Che la protesta abbia visto la partecipazione di centinaia di migliaia di persone lo conferma il fatto che la capitale è stata completamente bloccata con fiumi di persone che si sono riversate nella città sin dal primo mattino, nonostante i primi eventi fossero in programma alle 12:00 in vari punti della città e la manifestazione principale fosse prevista per le 16:00.
Per giorni l’opinione pubblica non sapeva dove si sarebbe svolto l’evento centrale. Le autorità avevano deciso di radunare quelli che si autodefiniscono «studenti 2.0», che vorrebbero studiare, proprio nel parco di fronte alla sede del parlamento, luogo inizialmente scelto dagli studenti che protestano per la manifestazione di sabato.
Sabato i manifestanti si sono prima recati davanti al parlamento, poi gli studenti hanno invitato i cittadini a radunarsi in piazza Slavija (dove a dicembre si era tenuta fino ad allora la più grande manifestazione studentesca), dove è stato allestito un grande palco. Evidentemente gli studenti avevano previsto una massiccia partecipazione, quindi si erano preparati a tutti gli scenari immaginabili.
Incidenti e provocazioni
Sabato scorso Belgrado ha dimostrato di essere una città libera, dignitosa, aperta a tutti. L’ombelico del mondo. Tutto ha funzionato alla perfezione e i cittadini non si sono lasciati scoraggiare dalle difficoltà nel raggiungere il luogo dell’evento centrale, né da una pioggia battente e una folla immensa. Ovunque ci si girasse, si vedevano persone sorridenti e determinate che suonavano fischietti e clacson, portavano striscioni con scritte divertenti e gridavano all’unisono «pompiamo», diventato il saluto (non)ufficiale dei manifestanti.
La protesta si sarebbe conclusa in quest’atmosfera se qualcuno non avesse deciso diversamente. A un certo punto sono scoppiati incidenti e provocazioni. Un gruppo radunato nell’accampamento degli «studenti 2.0» ha lanciato pietre e bottiglie contro i partecipanti alla protesta davanti al parlamento, poi un gruppo di manifestanti ha respinto gli studenti addetti alla sicurezza per scontrarsi con chi stava nell’accampamento.
I gendarmi, schierati massicciamente davanti all’accampamento e intorno al palazzo del parlamento, non hanno fatto nulla per garantire che la manifestazione si svolgesse in modo pacifico.
Gli studenti responsabili della sicurezza, con l’aiuto di motociclisti, veterani della 63° brigata paracadutisti e trattoristi, hanno cercato di mantenere l’ordine. Quando poi hanno capito che la situazione stava sfuggendo di mano si sono tolti i gilet gialli, segnando la fine della protesta perché non erano più in grado di garantire la sicurezza dei partecipanti.
In un’intervista rilasciata domenica all’emittente N1, uno studente della Facoltà di Biologia ha dichiarato che «gli studenti non possono fare i poliziotti e subire le conseguenze della violenza. La polizia non ha protetto gli studenti e ci siamo sentiti completamente soli».
Quasi contemporaneamente ai primi scontri, intorno alle 19.11, nei pressi di Slavija, durante i quindici minuti di silenzio per le vittime, si è verificato un grave incidente. Il silenzio è stato interrotto da un suono sconosciuto, causando il panico e spingendo i cittadini a correre.
Diversi testimoni hanno riferito di aver sentito «un suono terrificante simile a quello di un razzo, un aereo che vola a bassa quota o un treno che si avvicina a tutta velocità».
Stando alle informazioni fornite da organizzazioni non governative, partiti di opposizione e media indipendenti, molti cittadini che si trovavano in quella parte della città hanno avvertito gli effetti dell’incidente cercando assistenza medica.
Gli studenti hanno proclamato la fine della protesta alle 19,30, un’ora e mezza prima del previsto, e i cittadini si sono dispersi. I più tenaci sono rimasti davanti al parlamento fino alle 23,00. Nel frattempo non si sono verificati ulteriori incidenti.
Il cannone sonico
Ben presto si è diffusa la notizia che quel suono sarebbe stato provocato da un cannone sonico. Secondo l’analista militare Aleksandar Radić sarebbe stata utilizzata un’arma sonica di proprietà del ministero dell’Interno.
Zdravko Ponoš, esponente dell’opposizione, già capo di Stato maggiore, ha scritto: «Hai sparato ai cittadini mentre rendevano omaggio pacificamente alle vittime del tuo regime. Hai sparato a persone che protestano in modo pacifico», accompagnando il testo con lo screenshot di una notizia pubblicata dall’emittente N1 nel dicembre 2022 dal titolo: «La polizia ha una nuova arma: un cannone sonico. Bisogna pensarci due volte prima di scendere in piazza per protestare?».
Secondo il politologo Mladen Mrdalj, il presidente Vučić da solo ha aggiunto una nuova richiesta a quelle già avanzate dagli studenti: un’indagine indipendente sul possesso e l’utilizzo di cannoni sonici.
La polizia ha negato di aver utilizzato un cannone sonico, affermando che tali dispositivi sono illegali in Serbia, parole ripetute dal presidente.
Durante il suo discorso pronunciato dopo la protesta, Vučić ha affermato che c’era «un numero sorprendente di persone», che hanno espresso «un’immensa rabbia e furore nei confronti delle autorità», aggiungendo di aver capito il messaggio. «Dovremo cambiare noi stessi e imparare molto», ha dichiarato il presidente, sperando che “gli altri” avessero capito il messaggio della maggioranza dei cittadini serbi che non vogliono “una rivoluzione colorata”.
Prima della protesta, il presidente, evidentemente dotato di chiaroveggenza, aveva detto al capo della polizia di essere pronto per eventuali incidenti intorno alle 19,00 (anche se la polizia dovrebbe avere tali informazioni prima di Vučić). Poi al termine della manifestazione ha dichiarato che gli studenti si erano scontrati tra di loro e con gli esponenti dell’opposizione che, secondo il presidente, partecipano alle proteste con dei passamontagna.
La risposta degli studenti è stata chiara. «Avete colpito il nostro amore e la nostra empatia con un cannone. Con ogni azione malvagia state allargando e rafforzando il fronte contro di voi. Chi siete?», hanno scritto gli studenti domenica sera sui loro profili social ufficiali.
«Se non era un cannone sonoro, cos’era?», chiedono gli studenti della Facoltà di Scienze Politiche, auspicando «una risposta urgente e chiara delle autorità competenti, non l’ennesima dichiarazione che nega la realtà».
«I cittadini serbi hanno il diritto di sapere chi li ha attaccati mentre in silenzio rendevano omaggio alle vittime», affermano gli studenti ribadendo che non si arrenderanno e che continueranno a protestare fino a quando tutte le loro richieste non saranno esaudite.
Nel frattempo, Vučić ha partecipato a una seduta del governo dimissionario, invitando il ministro della Giustizia e la procura a «perseguire quelli che hanno diffuso la notizia sul cannone sonico sconvolgendo così i cittadini».
La procura ha prontamente accolto l’invito del presidente, chiedendo al tribunale di Belgrado di «aprire un fascicolo e identificare le persone che hanno diffuso pubblicamente informazioni false».
Domenica verso sera è giunta la notizia che la procura ha avviato un’indagine invitando il ministero dell’Interno a fare chiarezza sulla vicenda, per capire se durante la protesta di sabato sia stato utilizzato un dispositivo pirotecnico, un’arma o un dispositivo pericoloso capace di mettere a repentaglio l’incolumità dei manifestanti.
Secondo informazioni non ufficiali, sabato scorso a Belgrado c’erano molti “gruppi sospetti”, pronti a provocare disordini. Una dinamica già vista. Ecco perché lo scorso 15 marzo deve essere ricordato non solo come il giorno della più grande protesta della storia della Serbia, ma anche come il giorno in cui gli studenti, grazie alla loro saggezza e capacità organizzativa, hanno evitato che la manifestazione venisse macchiata da disordini e scontri gravi e potenzialmente fatali.
L’articolo è stato originariamente pubblicato su Osservatorio Balcani-Caucaso il 18 marzo 2025.
L’immagine di copertina è di N. Nenadić.
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