Se la crisi, per chi comanda, è solo un ricordo
Una conferenza stampa trionfale per celebrare i primi cento giorni del governo delle larghe intese del Presidente.
Enrico Letta, sicuro di sé, snocciola successi e fa piani per il futuro: il governo seguirà il suo programma minimale per la salvezza nazionale, a questo governo non c’è alternativa, con buona pace di tutti, perché lo dice Napolitano e lo chiede l’Europa e i cittadini l’hanno capito e in fondo, aggiungiamo noi, possono anche non andare più a votare che intanto non c’è alternativa al programma dell’austerità e alla ghigliottina del Patto di stabilità, non c’é Keynes né ipotesi timidamente riformista che tenga.
Mentre in tanti all’indomani della sentenza Mediaset non scommettevano un soldo di cacio bucato sul futuro del governissimo, mentre le tensioni interne lacerano il Pd e la sua base, e maretta c’è anche tra i falchi e le colombe che si beccano in volo attorno a Palazzo Grazioli, sembra che tocca rassegnarsi ragazzi a tenersi questo governo. Per ora almeno, aspettando lo sviluppo delle vicende processuali di Berlusconi e il congresso permanente dei democratici. Impantanati in un’opposizione inefficace e scialba a sperare nella caduta del governo i pentastellati che a casa dopo tante promesse qualcosa dovranno pur portare, anche se in accordo con la kasta dei partiti, e che a chiamare una piazza che non sono in grado di governare non ci pensano proprio.
E poi lo scoop, la sorpresa: “la crisi sta per finire”, dice il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, la luce alla fine del tunnel già s’intravede, ora cari italiani fidatevi di noi. Ma da dove viene tutto questo entusiasmo del ministro e del presidente del consiglio? Capacità divinatorie? No, timidi segnali positivi da cogliere con attenzione: dietro il segno meno numeri sempre più piccoli, ma intanto entriamo nell’ottavo trimestre consecutivo di recessione, una timidissima ripresa della produzione industriale e una flessione delle ore di cassa integrazione. Come per rafforzare la frottola raccontata a tv e carta stampata, Saccomanni se le prende con l’Istat e con le cifre diramate che sarebbero “troppo pessimiste”. Mentre i gangster della finanza e dei grandi fondi d’investimento aspettano di tornare ad attaccare l’Europa, tutti con il cardiopalma per l’esito del voto tedesco di settembre, il governo per l’ennesimo volta racconta agli italiani che la crisi è finita.
La verità è che la crisi non finirà, il processo di pauperizzazione e di smantellamento dell’apparato produttivo non è reversibile giocando con le regole del mercato e dell’austerità. Il monito greco evidentemente non è bastato. Così le dichiarazioni di Saccomanni e Letta non fanno che allargare lo iato tra il paese che vive la crisi e l’ottimismo dei dogma liberisti del potere.
Ma cosa ha fatto in questi, purtroppo, primi cento giorni il governo Letta? Poco o nulla, se non sbloccare dei soldi per saldare una parte debiti dello Stato verso le imprese e peggiorare la riforma Fornero sul lavoro su flessibilità, regole in ingresso, diritti soprattutto dei più giovani. Certo, la cassa integrazione è stata rifinanziata, che in fondo i tanto disponibili sindacati confederali qualche briciola dovevano pur ottenerla. Per il resto “riparte il cantiere del paese”, visto che i pochi soldi che l’Europa ci permette di spendere riguardano proprio le infrastrutture, così la Tav toccherà farla proprio ad ogni costo. Poco o nulla per formazione e sanità, imposte fiscali insostenibili per chi lavora, da dipendente o meno, per non parlare del welfare per giovani e disoccupati in un paese in cui i tassi di chi non ha un reddito sono ormai a livelli drammatici (qualcuno si ricorda ancora tutto quel parlare di reddito di cittadinanza?). Ah no, scusate, qualche politica sociale il governo Letta l’ha fatta, ma riguarda “la famiglia” così anche i centristi cattolici sono contenti.
C’è poi qualche operazione di maquillage vista l’antipolitica che monta e rischia forse di trasformarsi in conflitti, così qualche taglio di qua e di là a sprechi e privilegi, utile diversivo mentre si mettono le mani nella Costituzione con una commissione di ‘saggi’ che al momento nessuno sa come e di cosa discuta, anche se la sua missione sembra un’ennesima torsione autoritaria del sistema politico, il tanto invocato presidenzialismo.
L’autunno è alle porte, non basterà difendere la Costituzione o sperare in un ravvedimento del Pd per cambiare direzione. Dovremo essere noi, vecchi e nuovi poveri, cittadini derubati dei diritti più elementari, a dettare l’agenda dei nostri cento giorni in Italia e in Europa, cambiare le battute di un copione già scritto che sembra inevitabile.