Se elezioni e politica non sono sinonimi
Nella settimana del ballottagio continua la riflessione sul voto romano
Elezioni.
Non gioco a fare l’opinionista. Metto in circolo le riflessioni di uno che prova a stare dentro le cose. Non posso non continuare lo sforzo fatto a caldo da Francesco Raparelli qui.
Non lo nascondo. Negli ultimi giorni di campagna elettorale contavo su di un risultato migliore. Fin dall’inizio ho creduto che l’elezione in consiglio per Sandro fosse davvero difficile, ma contavo in più voti.
Lo spazio elettorale non c’è. I delusi da Grillo non sono venuti da noi. Non abbiamo messo in campo cifre elettorali rilevanti.
Contro di noi tiravano venti molto forti.
Nel Paese dove milioni di persone votavano il PCI nella consapevolezza che non avrebbe governato, la retorica del voto utile si è radicata molto.
E poi nella capitale, con 3 milioni di abitanti e interessi radicati, sfondare con una campagna povera è forse impossibile. Una operazione simile alla nostra a Pisa ha preso l’8%.
Senza contare che i mezzi di informazione sono stati davvero penosi. E non è complotto. È pigrizia, che è peggio.
Ma chi racchiude il risultato politico nel dato elettorale si mette il prosciutto sugli occhi. La verità va detto tutta, nel male ma anche nel bene.
Con Sandro tutto il meglio del mondo culturale, dagli spazi autogestiti e occupati alle personalità più impegnate e sensibili, si è messo in moto, contribuendo ad una campagna divertente innovativa e ad un indimenticabile concerto nel parco di S.Sebastiano.
Con Sandro di sono gettati nella battaglia per il Campidoglio tantissimi cittadini che altrimenti sarebbero rimasti a casa schifati. Mondi e realtà diverse e distanti con Sandro hanno cooperato insieme.
Tutti per un progetto comune, disegnare un’altra città e gettare un seme nella morsa tra grillismo e governismo.
Tradurre tutto questo solo in termini di voti è come misurare le zucchine con il metro, anziché pesare con la bilancia.
I voti si contano per carità, ma elezioni e politica non sono sinonimi.
Già sento l’obiezione di chi dice che se corri alle elezioni devi prendere i voti. E non voglio rispondere dicendo che i 7.000 voti che Sandro ha preso da solo, ne farebbero un re delle preferenze dentro qualsiasi partito.
Dico che Repubblica Romana (e anche i pirati ma ne riparliamo alle europee) ha avuto e ha un senso politico, e che quella tensione positiva getta un filo sul futuro. Anche perché tante persone hanno usato le elezioni come palcoscenico per trainare delle idee, che esistono a prescindere dal risultato. È perché sono personalmente stufo di vivere le elezioni come i rigori della finale dei mondiali. Sto ancora male per quelli del ’94.
Le elezioni sono importanti, ma i movimenti devono cercare un saltò di qualità nella relazione con la rappresentanza, inventando un ibrido tra il disinteresse e la opposizione, da una parte, e la subalternità, dall’altra.
Come si fa? Non lo so.
Dico alcune cose. È solo la mia.
Repubblica Romana non deve essere la nuova puntata delle micro organizzazioni della sinistra, rancorose verso Sel e il PD e che tenta la inspiegabile competizione con Grillo. Vale anche per il ballottaggio. Dobbiamo dire che Sinistra e Destra non sono uguali, che preferiamo che governi Marino e che quando governerà ci troverà a costruire nella città proposta, opposizione e conflitto, per migliorare la città. Che Sandro Medici potrà essere veicolo di alcune idee, esperienze e valori, come nessun altro. Che è una voce da ascoltare anche se non ha uno scranno sotto il sedere. Dire alla città che Repubblica Romana è sempre una visione di insieme, ampia, che parla a tutti, anche se la votano in pochi.
E qualcosa di diverso da dire che dobbiamo cacciare Alemanno.