ROMA

SCuP, reinventiamo insieme la nostra città

Ancora un bando a Roma invita investitori privati a proporre trasformazioni urbane per il recupero di aree inutilizzate. Ancora una volta ci si affida agli stessi che per anni hanno fatto di Roma una città ostile per chi la abita. C’è chi non ci sta e si propone di dire la sua.

Parigi è stata la prima, nel 2015, a lanciare la proposta di cedere immobili e terreni pubblici a privati per trasformare alcuni luoghi della città. Réinventer Paris alla prima edizione ha selezionato più di venti progetti urbani “innovativi” che sono in fase di realizzazione.

L’innovazione consiste nell’uso di materiali di origine biologica, nel teleriscaldamento ottenuto attraverso fonti rinnovabili, nella drastica riduzione di CO2, nell’incremento di aree verdi e tetti verdi, nel recupero delle acque piovane… Nulla di innovativo negli attori che propongono le trasformazioni urbane: fondi immobiliari, investitori stranieri, gruppi speculativi privati. Nulla di innovativo neanche nelle destinazioni funzionali: case, alberghi, uffici.

Questa procedura è stata ritenuta la migliore per dismettere il patrimonio pubblico delle città dalla rete C40, composta da città impegnate nella lotta ai cambiamenti climatici, e per questo è stato lanciato il programma Reinventing cities.

La prima edizione del bando internazionale lanciato dal network C40 per rigenerare siti degradati trasformandoli in brani di città più ecologici e resilienti si è conclusa. Sono state 15 le città che hanno proposto 40 siti diversi da cedere a investitori privati.

Oggi, C40 sta lanciando 25 nuovi siti da reinventare in 9 città: Città del Capo, Chicago, Dubai, Madrid, Milano, Montreal, Reykjavik, Roma e Singapore. La consegna delle proposte è fissata per il 4 maggio 2020.

Se esaminiamo i progetti selezionati nel corso della prima edizione abbiamo un’idea chiara di quale sia la riqualificazione che è stata proposta e accettata. A Milano l’area ferroviaria sottoutilizzata Greco Breda di 6 ettari, ospiterà miniappartamenti per studenti e residenti temporanei, naturalmente gli immobili saranno ecosostenibili e a emissioni di carbonio pari a zero. Alla periferia nord di Parigi su un’area di 2 ettari sul Canale dell’Ourcq nasceranno 150 mila metri cubi di case, alberghi, uffici, naturalmente ecosostenibili e a emissioni di carbonio pari a zero. La panoramica dei progetti selezionati è analoga in ogni città.

Roma, per l’edizione 2020, ha messo a disposizione cinque aree del suo territorio, attualmente sottoutilizzate o abbandonate.  Sono l’ex Mira Lanza nel quartiere Ostiense; l’ex Filanda a San Giovanni, su Viale Castrense; il compendio Vertunni nel quartiere La Rustica; l’ex Mercato di Torre Spaccata e le aree ferroviarie adiacenti alla stazione Tuscolana. Queste ultime si trovano nel quartiere Appio-Tuscolano, saturo di case, di attività terziarie e commerciali. L’area si estende lungo la ferrovia, da via Adria, proseguendo sul piazzale della Stazione, fino a via della Stazione Tuscolana.
La riqualificazione dell’area era già prevista nel Verbale d’Intesa tra Roma Capitale, RFI e FS Sistemi Urbani per la famosa “cura del ferro” e la rigenerazione urbana delle aree ferroviarie. I 49.800 metri quadri, di proprietà del gruppo Ferrovie dello Stato e in piccola parte di Roma Capitale, saranno ceduti al vincitore del bando, insieme ai diritti edificatori, per la cifra approssimativa di 20 milioni di euro. Cosa si può realizzare su quell’area, per la quale si è disposti a spendere una così significativa cifra?

Il bando indica funzioni direzionali, turistico-ricettive, commerciali, servizi pubblici e privati, servizi di stazione e artigianato produttivo, per una superficie totale utile di 34 mila metri quadri, cioè 110 mila metri cubi. Tutte funzioni che assicurano un’alta redditività.

 

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Naturalmente i progetti dovranno avere «caratteri di sostenibilità, resilienza e sperimentazione di soluzioni architettoniche, tipologiche e d’uso innovative, coerentemente con gli obiettivi del concorso Reiventing Cities». Ovvero gli immobili saranno ecosostenibili e a emissioni di carbonio pari a zero.

Quell’area però non è del tutto abbandonata e sottoutilizzata. Da maggio del 2015 tre capannoni industriali in via della Stazione Tuscolana ospitano SCuP, Sport e Cultura Popolare, nato tre anni prima nell’edificio di via Nola, distrutto dalle ruspe nel corso dello sgombero.

Gli attivisti dello spazio sociale hanno costruito in questi cinque anni uno spazio plurale, che accoglie una palestra popolare, il teatro, il mercato ecologico solidale, una cucina solidale. Hanno intessuto una rete con il Coordinamento Romano per l’Acqua Pubblica, con la Rete dei Numeri Pari, e con tante associazioni impegnate nel sociale.

Non sono disponibili adesso a lasciare il loro spazio, per darlo a chi ha in mente una riqualificazione da milioni di euro che non porterà nessun vantaggio agli abitanti della città.

Hanno deciso di partecipare al bando con un loro progetto autonomo e partecipato, aperto a chiunque sia interessato.

È successo già con il bando dell’Amministrazione per via dei Lucani a San Lorenzo, dove i cittadini e le associazioni del quartiere hanno presentato una loro proposta, convinti che solo chi abita la città abbia la capacità di proporre progetti di recupero delle aree che proprietari, pubblici e privati, hanno colpevolmente abbandonato all’incuria per anni.

SCuP invita tutti e tutte a partecipare all’assemblea pubblica per discuterne sabato 7 marzo alle ore 15,30 a Villa Fiorelli.

 

Questo l’appello:

Roma sta per subire una trasformazione profonda, anche se ancora non se n’è resa conto. Il suo tessuto urbano, già noto alle cronache per essere preda delle mire incontrastate di profitto dei costruttori – o palazzinari, come amano definirli i romani – negli ultimi decenni non sembra aver conosciuto pace. Dal 2001, anno di approvazione del Piano Regolatore voluto dalla giunta Veltroni, numerosi varianti e deroghe hanno rimodulato quello che già era sembrato un tentativo in extremis di porre un freno alla città tentacolare che si andava estendendo oltre il centro storico, cementificando campagne desolate prive di servizi, creando zone dormitorio oltre il Grande Raccordo Anulare. Oggi, molte delle promesse felici di quel Piano sono state tradite, complice anche una legge regionale – il Piano Casa – che ha permesso e sta tuttora permettendo ai palazzinari di demolire e riedificare con premi di cubatura importanti su tutto il territorio cittadino. Ma al peggio, e al cemento, non c’è mai fine.

 

Il bando Reinventing Cities

Nel dicembre 2019, Roma Capitale, come altri comuni italiani, ha aderito al bando globale per progetti urbani innovativi, resilienti e a emissioni zero, Reinventing Cities. Un forum, denominato C40, raccoglie le quaranta città che hanno sposato questo progetto dal nome altisonante, con l’ancor più altisonante intento di condividere strategie per la riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera e stimolare un’azione globale contro il cambiamento climatico.

In funzione del bando, Roma Capitale ha scelto cinque aree urbane caratterizzate dal degrado e dall’abbandono: l’ex Mira Lanza nel quartiere Ostiense; l’ex Filanda a San Giovanni, su Viale Castrense; il compendio Vertunni nel quartiere La Rustica; e l’ex Mercato di Torre Spaccata.

Il quinto sito fa invece parte di un comprensorio assai più ampio, coincidente con l’area della Stazione Roma Tuscolana e le vie limitrofe, già facente parte di precedenti accordi di programma degli anni 2000-2006, sottoscritti tra Ferrovie dello Stato, Rete Ferroviaria Italiana, Comune di Roma e Regione, e finalizzati al potenziamento del sistema ferroviario metropolitano con la realizzazione di un vero e proprio anello e la rigenerazione delle aree dismesse.

Tutto ottimo, sulla carta. Solo che il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi, e andando ad analizzare il bando con più attenzione vengono fuori dei nodi spinosi – che poi a ben guardare son sempre gli stessi: cemento, profitto, e privatizzazione.

 

Cemento, cemento, cemento

La prima questione fondamentale in merito ai progetti di cosiddetta «rigenerazione urbana» è la quantità esorbitante di edificato prevista per le aree oggetto del bando. Per ogni zona, infatti, sono immaginate operazioni di demolizione e ricostruzione con gli immancabili aumenti di cubatura – dedicati ovviamente al commerciale e all’abitativo, cioè ad affitti che si immaginano di molto ingrassati dopo l’operazione di restyling. Ad esempio, per la zona della Stazione Tuscolana sono previsti 34.000 mq di terreni edificabili su un’area di poco inferiore a 50.000 mq.

L’assessore all’urbanistica Luca Montuori, nel presentare il progetto alla cittadinanza, ha rivendicato il fatto che le quantità previste sono in linea con le previsioni vigenti del famoso Piano Regolatore veltroniano, ma intanto bisogna ricordare che tali quantità sono concentrate in una porzione di città già fortemente congestionata. Alla faccia dell’ecosostenibilità: buttare cemento su un’area densamente abitata e carente di servizi, andando a gravare sul bilancio ambientale e sociale complessivo, non sembra essere il modo migliore per aiutare l’ambiente e costruire un mondo diverso. Anzi, sembra il ripetersi di un film già visto – e già visto fallire.

 

Rigenerazione o privatizzazione?

Non sono soltanto le cubature a preoccupare. Da più parti viene ricordata l’esigenza, sacrosanta, di superare una visione della città legata alla distinzione tra centro e periferia, e immaginare una città accessibile e attenta alla qualità e alla diversificazione bilanciata dei servizi. Anche Montuori si è appellato a questi princìpi. Bene. Ma tutte queste considerazioni, peraltro più che condivisibili, hanno poco a che fare con l’operazione di Reinventing Cities, che si prevede sia gestita interamente da soggetti privati; le operazioni di rigenerazione urbana previste per le cinque aree del bando romano non prevedono alcun ruolo attivo della parte pubblica.

Ciò significa che quanto verrà costruito in queste aree sarà ad uso privato, comprese le aree verdi e i servizi, che non saranno fruibili in forma gratuita e pubblica (salvo l’introduzione di eventuali convenzioni al momento non previste né ipotizzate da Roma Capitale). Le sorti di pezzi consistenti di città, la sua «rigenerazione», sarà dunque subordinata ai capitali privati: nei fatti, il bando subappalta il futuro di interi quadranti a chi ci metterà i soldi. Cioè ai palazzinari – sempre loro.

Possiamo immaginare che questi capitali privati, i costruttori famosi, siano nel tempo rinsaviti, e abbiano deciso finalmente di cambiare vita e darsi alla rigenerazione del tessuto sociale e all’ecologia in nome del benessere comunitario. Oppure possiamo ipotizzare che un’operazione del genere, lastricata di buone intenzioni, possa diventare – in mano al tessuto imprenditoriale del mattone romano – una sequela di abitazioni di lusso da vendere a prezzo d’oro, con qualche pannello solare sul tetto e un paio d’alberi per darsi una patina di ambientalismo.

 

Una possibile alternativa

Qualcuno diceva che a pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca. Sembra un circolo vizioso: ogni volta che Roma prova a rigenerare il suo tessuto urbano finisce dritta dritta nelle fauci del lupo, complice una classe politica brava soprattutto a fare finta di occuparsi dei problemi, aderendo a progetti dal sapore smart e innovativomentre in realtà la soluzione che propone è sempre la stessa: svendere pezzi di demanio ai privati e chiedere in cambio una fettina microscopica di una torta gigante.

Ma non tutto è perduto. Come realtà territoriale dell’Appio-Tuscolano abbiamo deciso di partecipare al bando Reinventing Cities con un progetto autonomo: non per metterci sullo stesso piano dei grossi capitali, ma sfruttare questa opportunità per parlare con le persone di proposte concrete per migliorare la qualità della vita e la mobilità del nostro quartiere – che resta un nodo di scambio strategico per la città.

Insieme all’Associazione Piazza Ragusa e Dintorni, al Comitato Villa Fiorelli e alle tante associazioni e realtà, piccole e grandi, che da anni frequentano e contribuiscono a far vivere Scup, abbiamo lanciato un appuntamento pubblico per coinvolgere nella progettazione partecipata tutte e tutti: sentiamo infatti il bisogno di partecipare al bando assumendo un ruolo etico e morale, coinvolgendo la società civile e cioè i comitati, le associazioni e i privati cittadini presenti nel territorio. Ma soprattutto vogliamo stimolare una partecipazione reale al progetto, e per una volta non limitarci alla mera consultazione che spesso ci viene proposta in queste situazioni – in cui a giochi fatti ti fanno mettere una panchina lì, un lampione là, e così via. Vogliamo essere una presenza attiva all’interno del gruppo proponente e far sì che le nostre esigenze vengano ascoltate e rispettate.

Per questi motivi abbiamo indetto un’assemblea pubblica il prossimo sabato 7 marzo, alle ore 15,30 a Villa Fiorelli, in cui verrà richiesta la disponibilità per l’adesione ad un progetto che tuteli i cittadini dalla speculazione immobiliare che si prospetta. Esigiamo che questo progetto di rigenerazione, se tale vuole essere, abbia una regia pubblica che garantisca che almeno una porzione dell’area di progetto diventi realmente fruibile in forma gratuita, per soddisfare le esigenze degli abitanti di un quartiere che, a fronte di una densità di popolazione tra le più alte nel Comune di Roma, risulta carente di un’adeguata presenza di spazi pubblici.

Sarà forse vero che al peggio non c’è mai fine. Ma, come dicono in Val Susa, stavolta per il peggio a sarà düra.

 

Foto di Andrea Atzeni