MONDO
Scomparsa un’attivista indigena messicana
Obtilia Eugenio Manuel, una nota attivista per i diritti indigeni che aveva sfidato in tribunale l’esercito messicano è vittima di desapariciòn mentre era in viaggio in taxi. Nel paese regnano paura, sconcerto e rabbia.
La situazione dei diritti umani in Messico rimane drammatica. A pochi mesi dall’insediamento del nuovo governo di Andres Manuel Lopez Obrador la violenza rimane immutata negli stati della nazione.
La notizia molto preoccupante è del 13 febbraio, e riguarda Obtilia Eugenio Manuel, attivista indigena dei popoli Me’phaa e Mixteco, proveniente dallo stato del Guerrero. Obtilia è stata desaparecida il 12 febbraio mentre viaggiava in taxi verso il capoluogo dello stato, Chilpancingo. Non era sola, la accompagnava un altro membro della sua organizzazione, Hilario Cornelio anche lui scomparso.
La zona dove vivono questi popoli indigeni è tra le più povere e le più violente del paese. La popolazione locale da sempre soffre per la presenza costante dell’esercito che entra nelle comunità e commette violenze di ogni tipo. Obiettivo della militarizzazione è mantenere la popolazione locale sotto controllo, reprimere ogni tentativo di autorganizzazione, autonomia e protagonismo indigeno e tenere il territorio nelle proprie mani.
Obtilia Eugenio Manuel è diventata famosa in tutto il Messico per aver seguito e accompagnato il caso di Valentina Rosendo e Ines Fernandez, due ragazze Me’phaa sopravvissute a violenza e tortura sessuale da parte di membri dell’esercito nel 2002. Grazie al lavoro di mediazione e traduzione di Obtilia, durato molti anni e che le costò minacce e persecuzione da parte dell’esercito, Valentina e Ines denunciarono gli aggressori alla Corte Interamericana dei Diritti Umani.
Il processo si concluse nel 2010 con una sentenza molto dura di condanna contro lo stato messicano che è stato obbligato non solo alla pena per i responsabili della tortura, ma anche ad applicare misure di tutela e garanzia nei confronti delle comunità Me’phaa, in particolare nei confronti delle donne.
La Corte ha riconosciuto come responsabili due membri dell’esercito, da sempre l’istituzione “intoccabile” in Messico. L’esercito non lo ha mai perdonato a Obtilia.
Dopo il processo, Obtilia ha continuato con il suo incessante impegno nelle comunità, e con un lavoro costante fatto di manifestazioni, denunce, organizzazione della popolazione indigena e difesa dei diritti delle donne. Ad esempio grazie al lavoro di Obtilia nelle comunità indigene Me’phaa venne proibito l’uso dell’alcool per impedire la violenza di genere, proprio come accade nelle comunità indigene zapatiste, a cui spesso si sono ispirate nel loro lavoro le donne Me’phaa.
Nel Giugno 2018 poi, un tribunale nazionale messicano ha ripreso il giudizio della Corte Interamericana per il caso di Ines e Valentina, e ha condannato con sentenza inappellabile i due militari responsabili. Non era mai successo prima.
Dal 29 settembre 2018 Obtilia era diventata membra del Consiglio delle Autorità Municipali di Ayutla, il capoluogo della regione. Aveva la delega per le opere pubbliche e si è subito spesa perché queste garantissero un beneficio per la popolazione indigena delle comunità montane, a cui spesso mancano infrastrutture come acqua, strade ed energia elettrica. Ha lottato denunciando la collusione tra chi era in questo consiglio prima di lei e il crimine organizzato. A novembre, per tutto questo, aveva ricominciato a ricevere minacce di morte telefoniche, fino ai drammatici avvenimenti del 12 febbraio.
Proprio per il caso di Valentina e di Ines, Obtilia era conosciuta in molte parti del paese e aveva pure ricevuto premi per il suo impegno nella tutela dei diritti. L’attacco è pertanto ancora più grave perché testimonia il livello di impunità in cui opera l’esercito. Nel paese ci sono in questi giorni manifestazioni per chiedere la sua “presentazione in vita”: la speranza di ritrovarla è debole ma non inesistente.
Nel frattempo, paradossalmente, il governo di Amlo proprio in questi giorni sta approvando una riforma costituzionale che porterà ad una cosiddetta “Guardia Nazionale”. La riforma prevede, in sintesi, di espandere la giurisdizione militare che si estenderebbe a tutti i membri della Guardia Nazionale (implicando l’impossibilità di perseguire penalmente i membri della Guardia nei tribunali civili); l’attribuzione di facoltà di investigazione, proprie della polizia, a tutti gli integranti della Guardia Nazionale, quindi anche ai militari; una gerarchia di comando congiunto tra i Ministeri della Difesa e della Sicurezza, in cui i civili si ritrovano subordinati ai militari.
Mentre in Senato si recita la seduta aperta di discussione della riforma, con l’ascolto di tutte le voci espressione delle istituzioni, della società civile organizzata e delle vittime di abusi di potere delle forze dell’ordine, la campagna di reclutamento è già iniziata. Nella combattiva società civile messicana sono numerose le voci che sottolineano l’altissimo rischio di un perpetuarsi delle gravi violazioni ai diritti umani, direttamente connesso al modello di sicurezza militarizzato.
Secondo alcuni è un desiderio di Amlo avere l’appoggio dell’esercito poiché non gode del sostegno dei maggiori clan del narcotraffico come invece godevano suoi predecessori. Affidarsi però ad una entità così macchiata di reati e che opera in contesto di totale impunità quale è l’esercito messicano è estremamente rischioso e grave.
La situazione di Obtilia in questi giorni è una drammatica testimonianza di questo rischio.
Ricordiamo che lo stato di Guerrero, dove sono avvenuti i fatti, è lo stesso dove sono stati desaparecidos 43 studenti della scuola normale di Ayotzinapa nel 2014. I loro familiari, ancora oggi, chiedono la presentazione in vita dei loro cari.
Qui l’appello delle organizzazioni di diritti umani messicane per chiedere la presentazione in vita di Obtilia.