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Scene di (mancata) lotta di classe a Berlino
Alla Berlinale arriva a festival quasi concluso la sorpresa del film tedesco “In den Gängen” di Thomas Stuber, che racconta di un gruppo di lavoratori dell’industria della grande distribuzione e di un mondo del lavoro dove i padroni non si vedono più
Non siamo in un periodo storico dove è molto facile mostrare il lavoro e parlarne con la cura e l’attenzione che sarebbero necessarie. Si preferisce piuttosto lasciarlo ai margini del visibile per dare spazio alle attitudini culturali, le rappresentazioni soggettive, le forme dell’identità. Quando ad esempio la nostra identità di consumatori che usufruiscono di servizi entra in conflitto con quella di lavoratori che hanno dei diritti, nel senso comune è molto più facile che la prima prenda il sopravvento sulla seconda. E anche quando al cinema si tenta di dare una lettura favorevole alle lotte operaie contemporanee, come accade in alcuni recenti film di Ken Loach, si finisce spesso per anteporre le (buone) ragioni del conflitto all’attenzione descrittiva della realtà. È per questo che vi è una tale plateale e macroscopica ignoranza del mondo del lavoro, dei suoi luoghi, delle sue relazioni umane e personali, della sua quotidianità. Ne è una prova che i luoghi della produzione siano nel cinema europeo e americano contemporaneo sempre più invisibili, laddove invece hanno letteralmente invaso l’immaginario del cinema cinese degli ultimi dieci-venti anni.
È davvero una sorpresa allora vedere arrivare a festival quasi concluso questo In den Gängen di Thomas Stuber, tratto da un racconto dello scrittore Clemens Meyer (incluso nella raccolta antologica Die Nacht, die Lichter del 2008 ancora inedita in Italia), che si svolge quasi interamente all’interno di una comunità di lavoratori di un supermercato all’ingrosso della provincia tedesca. È tale l’attenzione e la cura con cui vengono descritti i luoghi e le interazioni di questo ormai canonico luogo contemporaneo della produzione che si è persino disposti a passare sopra alcune (invero non moltissime) delle ingenuità del film.
La storia principale segue le vicende di Christian, giovane mulettista “in formazione” che è appena stato assunto con contratto di apprendistato dopo un’esperienza nell’edilizia (dove ovviamente i lavoratori erano tutti stranieri). Lo seguiamo nella scoperta di un luogo denso socialmente, dove oltre alle regole “esplicite” che vengono imposte dai superiori vi sono tutta una serie di regole “non scritte” che si riproducono dal basso. Christian ad esempio, che lavora insieme a Bruno (un altro espero mulettista molto più anziano di lui) nel reparto bevande non deve socializzare con quelli del banco frigo, gli è però consentito di avere un rapporto amichevole con le lavoratrici che stanno nella sezioni dei dolci, mentre il muletto dei pallett può essere usato soltanto da Klaus, e così via. Ma ciò che colpisce del film è innanzitutto la capacità di descrivere il luogo fino nei minimi dettagli con un acume e una naturalezza davvero straordinarie: le sigarette fumate di nascosto in bagno durante i 15 minuti di pausa, gli incontri alle macchinette del caffè, l’atmosfera del supermercato vuoto duarnte il turno notturno, i corsi di formazione per prendere il patentino per guidare il muletto, le pacche sulle spalle e l’affettività impacciata degli uomini più esperti nei confronti dei più giovani. Eppure non ci si limita affatto ai dettagli minimi o quotidiani, perché vediamo anche Bruno spiegare a Christian com’è avvenuta la ristrutturazione aziendale che ha esternalizzato tutta la logistica dei camion, così come vediamo l’aumento dei ritmi di lavoro avvenire durante le feste natalizie o i lavoratori rovistare nella spazzatura di nascosto per portarsi a casa un po’ di merce appena scaduta.
Ma In den Gängen è soprattutto capace di mostrarci come è l’intera vita dei lavoratori che viene “organizzata” e “disciplinata” dal proprio posto di lavoro: quando Christian si innamora di una sua collega del reparto dolci, la sua presenza o assenza al lavoro (e quindi la possibilità di poter passare del tempo con lei) viene decisa in base alle esigenze dell’azienda (Marion, interpretata dalla Sandra Hüller di Toni Erdmann, viene spostata al turno diurno durante tutto il periodo natalizio per necessità organizzative), così come quando vediamo la casa di Bruno capiamo che il tenore di vita di un lavoratore non qualificato della grande distribuzione rimane basso e con poche speranze di mobilità anche dopo anni e anni di anzianità. Tutto questo però non diventa mai politica, perché se è vero che il film è capace di “sollevarsi” dal pericolo di un mero descrittivismo neutralizzato è anche vero che vi è un’assenza totale di ogni possibilità di azione sindacale anche e soprattutto per via d’un assenza che è così plateale da essere assordante. Nel supermercato di In den Gängen non esistono infatti i padroni (se non per un superiore, in realtà un membro in tutto e per tutto della comunità dei lavoratori, che per altro è disposto a “coprire” Christian quando arriva al lavoro un’ora in ritardo per una sbronza presa la sera prima).
Se tra i lavoratori esiste per lo più un sentimento di solidarietà e di empatia, è vero che però questo non si erige mai a opposizione nei confronti di una controparte. Sarebbe però troppo semplice accusare il film di non riuscire a vedere la dimensione della lotta di classe: perché è proprio la sua assenza a caratterizzare il discorso contemporaneo sul lavoro. Anzi, il film ha uno dei suoi pregi maggiori nel terminare su un nota “stonata” di rimpiazzamento di un lavoratore con un altro (i cui dettagli non sveleremo per ragioni di spoiler), che va proprio a cozzare con quel sentimento comunitario che invece aveva caratterizzato le relazioni tra loro fino a quel momento. Segno che la politica non potrà che nascere proprio in quel posto strutturale dove la comunità di lavoratori orizzontale trova il proprio limite e il proprio ostacolo: perché non è possibile avere dei rapporti tra eguali all’interno di un sistema di sfruttamento sul lavoro. L’unico modo per essere “orizzontali” tra pari, è quello prima di essere “verticali” nel conflitto contro la controparte. Ma di questo nel film non c’è, sfortunatamente, alcuna traccia.