POTERI

Scacciare le lacrime. La notte nera di Dax

Oggi, 16 marzo, è il dodicesimo anniversario dell’assassinio di Davide “”Dax” Cesare. Milano in Movimento ha riproposto questo racconto, già pubblicato in occasione del decennale dei fatti. Lo pubblichiamo anche noi, per non dimenticare Dax e quella giornata di dodici anni fa.

Siamo a casa, a cena – arriva una telefonata da via brioschi – hanno accoltellato un compagno – stai calmo, al telefono diciamo stai calmo, facci avere notizie – fine della telefonata, un po’ di gelo – che si fa? – andare non ha senso, ormai là non c’è nulla da fare, solo polizia – ma chi ha ricevuto la telefonata non sta nella pelle anche se non dice nulla – ok, andiamo – due macchine – arriviamo in via brioschi davanti al tipota – un po’ di compagni – c’è ancora una pozza di sangue per terra – mi avvicino a guardarla e capisco come finirà non solo dalla quantità di sangue – tantissimo, veramente tanto – ma perché ci sono delle parti più dense – non riesco a pensare ad altro: carne – parte del corpo – l’hanno sventrato – scambiamo due parole con chi era lì prima di noi – quelle necessarie a capire l’accaduto – dax, ale e fabietto sono in ospedale – nella mia testa si apre il file delle immagini… chi è dax… non riesco a collegare nome e faccia… o forse sì… ho capito – ambulanze ancora in zona, sbirri anche – passa il p., tanti anni che non ci si vede – ai tempi degli studenti per un po’ girava con noi – nazionale di football americano, era una garanzia in qualunque momento di tensione – scambio due parole – vive là, ha visto la fine della scena – ha visto un particolare… – ha visto gettare le lame – ma non ci sono già più, le avranno prese gli sbirri – passa qualche minuto, i compagni dicono che vogliono andare al s. paolo – andiamo anche noi – passiamo a prendere la manu che abita qua dietro – quindi una macchina un pelo avanti, l’altra a pochi minuti di distanza – siamo quasi arrivati, squilla il mio telefono – ci stanno caricando dentro l’ospedale, correte! – come cazzo è possibile, non ci posso credere – arriviamo, matteo parcheggia tipo film poliziesco e non riesco a non sorridere a questo pensiero – circa cinquanta metri tra noi e l’ingresso del viale del pronto soccorso – si vedono persone – o meglio, non persone, carabinieri – si muovono – qualcuno corre – c’è agitazione – si sentono urla – alcune sono degli sbirri, altre non è chiaro – ci avviciniamo a passo spedito – fermi! dove cazzo andate!? – non facciamo in tempo a rispondere – vedo said in mezzo a tre quattro sbirri che lo manganellano – con la coda dell’occhio vedo matteo per terra, i carabinieri che lo prendono a calci – io sono ancora in piedi e davanti a me un canazzo chiattunello che spinge e grida – ho un secondo di indecisione: posso fare in tempo ad avventarmi su uno dei carabinieri che prendono a calci matteo – un paio di colpi forse se mi muovo veloce riesco a darli – altrettanto veloce il pensiero: a che pro? – matteo è preso, ne ha addosso cinque e sta prendendo un sacco di botte – said è preso, uguale – io sono preso – nei decimi di secondo che penso tutto ciò la spinta da davanti mi arriva non più sul petto ma in faccia – da dietro un braccio mi gira attorno al collo e inizia a stringere – altre due mani mi afferrano un braccio e una gamba continua a cercare di farmi lo sgambetto – non devo finire per terra – se finisco per terra ciao – è la fine – non devo agitarmi – più mi muovo e più ne prendo – devo tenere le braccia lungo il corpo – più sono adese al corpo e meno penseranno che mi sto muovendo/voglio colpirli – che poi cazzo se vorrei colpirli! – altre poche frazioni di secondo in cui scorrono questi pensieri – nel frattempo sento un colpo sulla gamba, da dietro – volto la testa – un carabiniere piccolo, biondino – la sua faccia è lo stereotipo dell’imbarellato – se non è sotto effetto di cocaina lui allora non lo è mai stato nessuno – ha in mano un manganello rigido di quelli estraibili in ferro – mi guarda con un ghigno del cazzo e continua a ripetere – chi è stato? chi è stato? – mentre nasconde malamente l’estraibile dietro la schiena – pensa ‘sto poveretto – si diverte – pensa di essere spiritoso – o di dimostrare furbizia – o di essere uno grosso – che incute paura – mamma mia – è allucinante, devo sforzarmi per non ridergli in faccia – non c’è niente da ridere ma non posso evitare di pensarlo – vengo sbattuto contro una volante e tenuto fermo – dopo un attimo viene sbattuto affianco a me matteo – ci ammanettano – ci mettono in macchina – una pantera degli sbirri – fuori dall’ospedale – e ci mollano lì – matteo ha un taglio in testa – ma anche male da qualche altra parte che non ricordo – forse alla schiena – io solo alla gamba, non mi sono fatto un cazzo – dico a matteo di non chiudere gli occhi – le prime frasi veloci, visto che siamo da soli – sono convinto che ci porteranno via – per cui velocemente ci accordiamo – nomina l’avvocato – eravamo a cena da me – chi ha telefonato non lo sappiamo – e via di questo passo – lo ammetto, sono preoccupato da due cose – penso che prenderemo tante botte, e c’è poco da fare – ho paura per matteo – saprà come comportarsi? – cosa dire – cosa no – come muoversi – matteo come se lo sentisse – da ammanettato con un’acrobazia riesce a tirar fuori il cellulare e a telefonare – io mi chino su di lui e parlo – lucido e razionale – e lui, freddo ed impassibile, mi sgancia pure la battuta sarcastica: guarda che me la so cavare… – poi la macchina verrà spostata dentro nel vialetto – sbirri che ci passano affianco – il bagagliaio di una pantera che si apre e viene messa dentro una mazza da baseball – un canazzo che dice col cazzo che vado lì di nuovo se non ci fanno caricare ‘ste merde porco dio – e mentre finisce la frase un altro che prende la rincorsa al grido dai ammazziamoli ‘sti comunisti di merda – vedo gente sotto i portoni dei palazzi che guarda – poi corrono anche loro – scappano – alcuni poliziotti li inseguono col manganello alzato – dentro non sento niente – alla gamba non sento niente – scorre adrenalina purissima – me la ricordo ‘sta sensazione – come quando ci spararono a bergamo, anni fa, per ora tutto è azione, anche dentro la macchina – ammanettati – tutto ancora azione – furore – sensi tesi e allerta – occhi che girano a 360 gradi e pensieri velocissimi perché devono essere così, poi veniamo tirati fuori dalla macchina – tolte le manette – il tempo rallenta – i documenti – la digos che passa vicino e abbassa lo sguardo – lo sanno anche loro la merda che hanno fatto – e la testa non gli rimane dritta – un poliziotto che piagnucola – e no, basta, adesso non darete la colpa a noi – si rivolge ad un dirigente – e mi sembrano all’asilo, la maestra col bimbo – che schifo – il tempo rallenta – i compagni ci guardano da dietro il cancello – non vedo said – l’hanno preso, ma dov’è? – e la manu? – E’ arrivata un po’ di gente – attraversiamo il cancello e siamo in mezzo ai fratelli – ora la parte più difficile – mantenersi lucido – scacciare le lacrime – fare quello che c’è da fare – ora la parte più difficile – mantenersi lucido – lucido cazzo lucido – parlare – dire le cose che vanno dette – non tutto – le cose essenziali – lucido – scacciare le lacrime…

tratto da MilanoInMovimento