ITALIA

Sbilanciamenti. Un’altra grana per il comune di Taranto

Le ombre sulle procedure di riscossione delle imposte; sulle assunzioni del personale e la gestione delle società partecipate. Così il comune di Taranto è finito di nuovo all’attenzione della Corte dei Conti della regione Puglia, a 14 anni di distanza dalla dichiarazione di dissesto, quando attraversò una delle crisi finanziarie più gravi per un ente pubblico nella storia della Repubblica

A un certo punto, avevano chiuso le mense scolastiche, era stata cancellata la distribuzione dei buoni libro, ridotto gli autobus e le auto dei vigili urbani. Per qualche giorno nella città di Taranto era stato difficile perfino seppellire i morti e raccogliere la spazzatura. Le strade erano buie, la sera, con pochissima illuminazione, e sporche, con i cassonetti della spazzatura che traboccavano. Quando nel 2006 l’allora prefetto di Bari, Tommaso Blonda, fu chiamato dal Ministero dell’Interno ad amministrare il comune di Taranto in seguito alle dimissioni della sindaca, la “forzista” Rossana Di Bello – dopo che aveva ricevuto una condanna per abuso ufficio e falso ideologico a un anno e 4 mesi in primo grado per la quale è poi stata mandata assolta in appello da questa e altre vicende giudiziarie legate alla “gestione allegra” di alcuni appalti pubblici – Blonda trovò una città completamente fallita, saccheggiata dalla classe dirigenziale dell’epoca nelle fondamenta del suo bilancio comunale. Tanto da dichiararne dopo qualche mese il dissesto finanziario e l’insediamento dell’Osl, l’organismo di liquidazione.

 

Le numerose inchieste giudiziarie apertesi su quella voragine finanziaria che ammonterà alla fine quasi a un miliardo di euro – un record – negli anni a venire porteranno alla condanna soltanto di alcuni dirigenti comunali in primo grado, ma sostanzialmente approderanno a tante assoluzioni, e in seguito anche alla prescrizione dei reati per una intera classe politica cresciuta all’ombra del berlusconismo rampante.

 

«Bilanci falsi»; «stipendi d’oro»; «matite d’oro», questi i nomi dagli inquirenti ad alcune di quelle indagini condotte sul default del Comune e rimaste senza colpevoli. Ma i cui effetti sull’amministrazione odierna si riverberano ancora oggi, quasi 15 anni dopo. Basti pensare che, di recente, soltanto per le parcelle date a due legali, gli avvocati del foro di Bari, Dentamaro e Bracciodieta, i quali ebbero l’incarico dal commissario prefettizio Tommaso Blonda di difendere l’ente nel contenzioso dei BOC – Buoni Ordinari del Comune – che da soli facevano un quarto del debito totale, 250 milioni da restituire ad Intesa San Paolo, il comune di Taranto ha speso sei milioni di euro e dopo una contrattazione, perché si era partiti da una richiesta pari a 10 milioni di euro.

Però, «ora la situazione è in via di risoluzione», dichiarava soltanto qualche mese fa il consigliere comunale Dante Capriulo, attuale presidente della Commissione bilancio del Comune e profondo conoscitore della macchina amministrativa tarantina. Spiegava Capriulo: «dal punto di vista delle spese, dopo la dichiarazione di dissesto, abbiamo avuto circa 7 mila istanze da parte dei creditori, con circa 24 mila richieste di crediti. L’importo più o meno stimato è stato intorno al miliardo di euro». Dopo una scrematura fatta dall’Organismo straordinario di liquidazione, ha raccontato ancora il consigliere comunale, «alla fine, sono stati pagati crediti per 179 milioni di euro circa. L’Osl li ha transatti con la procedura semplificata; quindi, ciò significa che la somma iniziale era almeno pari a 358 milioni di euro». Secondo Capriulo, a conti fatti, restavano da pagare più o meno 300 milioni di euro (comprensivi dei debiti potenziali ed interessi per i giudizi pendenti e dei buoni ordinari comunali contratti con la banca).

 

Ora, però, lo spettro del disastro finanziario continua ad aleggiare, seppur in forme e modalità diverse anche sulla nuova amministrazione comunale a guida “democratica” che si è insediata dopo la tornata amministrativa del 2017.

 

La denuncia arriva dal consigliere comunale indipendente Massimo Battista, eletto e poi subito fuoriuscito dal gruppo del Movimento Cinque Stelle. Battista ha riferito sulla propria pagina facebook che «nel mese di aprile la Corte dei Conti pugliese ha inviato una missiva al Comune di Taranto, con la quale richiede ulteriori chiarimenti e precisazioni in ordine all’esame dei rendiconti 2014-2015-2016-2017-2018». E che i magistrati contabili hanno mosso diversi rilievi all’amministrazione. In particolare, ha detto Battista: «La prima violazione che la Corte dei Conti contesta al Comune di Taranto, è quella di aver assunto una persona nello staff che successivamente è stata poi denunciata per falso e truffa ai danni dello stesso Ente, nel periodo intercorrente tra la scadenza del termine e l’approvazione dei rendiconti 2016, 2017 e 2018, dove vigeva il divieto di assunzione di personale». E poi che le altre contestazioni riguardano: «la tardiva approvazione dei rendiconti, la costituzione del fondo crediti di dubbia esigibilità, e la gestione delle società partecipate», ha proseguito Battista, il quale ha invitato la giunta Melucci «a dimettersi e dare seguito a una nuova amministrazione, capace e trasparente, nei suoi atti e nel suo modo di amministrare la cosa pubblica», lanciando, inoltre, accuse «all’amministrazione degli annunci e degli spot a pagamento che vengono elargiti a quella stampa miope e offuscata dalle veline che arrivano dal primo piano di Palazzo di Città».

 

E, in effetti, a leggere le 31 pagine della relazione dei magistrati contabili pugliesi con «cui è stata avviata nei confronti del Comune di Taranto un’attività istruttoria finalizzata a ottenere chiarimenti su alcuni aspetti della gestione finanziaria», emergono diverse ombre che riportano a un passato che sempre ritorna nel governo della cosa pubblica tarantina e che si pensava in parte essere stato cancellato.

 

In particolare, è questa la censura contenuta nelle carte dei magistrati, si deve: «assicurare la riscossione delle entrate tributarie e dei residui attivi nonché a porre maggiore attenzione nella gestione dei rapporti con gli organismi partecipati, al fine di salvaguardare, anche per gli esercizi successivi, il rispetto dei necessari equilibri di bilancio e dei principali vincoli posti a salvaguardia delle esigenze di coordinamento della finanza pubblica».

Il riferimento, qui, soprattutto, è alle società in house AMAT Spa (Azienda per la Mobilità nell’Area di Taranto) incaricata della gestione dei servizi di trasporto pubblico urbano, AMIU Spa (Azienda Multiservizi e Igiene Urbana) incaricata della progettazione, realizzazione, gestione ed erogazione dei servizi inerenti al sistema integrato dei rifiuti; infine, INFRATARAS, che per conto del Comune effettua, tra le altre cose, la manutenzione del patrimonio pubblico comunale. Ed è proprio con specifico riferimento a Infrataras, i giudici contabili chiedono di «motivare l’aumento del corrispettivo pagato alla società nel 2018 nonché le ragioni dell’aumento del personale impiegato». E con riferimento all’azienda pubblica dei rifiuti, invece, i giudici chiedono di «chiarire le ragioni della mancata attivazione di un altro impianto, per il quale la società ha ricevuto contributi dal Comune e dalla Regione Puglia pari a quasi due milioni di euro». Come dire che c’è un passato che sempre ritorna nella gestione finanziariamente “allegra” della cosa pubblica, a Taranto.

Certo, sono estremamente lontani i tempi in cui alcuni dipendenti comunali del settore finanziario arrivavano a percepire stipendi da centinaia di migliaia di euro l’anno, quando una penna o una matita poteva anche costare dieci volte più del suo prezzo all’amministrazione e i “manager” del Comune di Taranto potevano arrivare a percepire in un anno uno stipendio quasi a sei zeri. Ma ci sono ombre del passato che sempre appaiono. Ed è sempre bene che la politica se ne ricordi, prima che lo facciano i giudici.

 

Foto di copertina di Andrea Rotelli