editoriale
Sbattimenti senza pronostico
Stiamo sotto il segno delle gag abborracciate di Lino Banfi, paracadutato da Di Maio all’Unesco (forse equivocando con l’Unicef), ma nonostante il ridicolo pecoreccio non è inutile decifrare le tensioni crescenti nel governo giallo-verde, ormai sull’orlo di una crisi di nervi
Lo stato confusionale della coalizione e dell’esecutivo cresce di giorno in giorno ed è buona cosa. Diceva Hannah Arendt che le SS corrotte erano meglio di quelle oneste e zelanti. Così i 5stelle nel pallone fanno meno guai che se avessero idee chiare e coerenti, un Premier sballottato e strattonato come Conte, per esempio, ci sta evitando o ritardando di accodarci alla furia trumpiana della Ue (stavolta supportata dai sovranisti salviniani, con quella che Di Battista ha definito una “megastronzata galattica”) sul Venezuela. Su trivelle e Tav l’incapacità di decidere allontana scelte sciagurate, anche se in complesso l’economia reale e il sistema bancario rischiano di uscire a pezzi da uno stato di confusione permanente. Abbiamo parlato di temi, fra l’altro, per cui le soluzioni del Pd o di Forza Italia sarebbero di certo peggiori: filo-atlantiche e neoliberali. Per non parlare di follie quali l’invocato referendum abrogativo del reddito di cittadinanza.
Le contraddizioni dentro l’Esecutivo sono esplicite solo su temi marginali e si manifestano con punture di spillo, ognuna irrilevante e sempre soffocata in nome della ragion di governo, però tutte insieme configurano una situazione in cui il lavoro tecnico-amministrativo si va paralizzando e il rinvio o la non decisione diventano uno strumento per arginare un crescente dissenso all’interno del MoVimento 5s. L’affare Tav (il più grosso spartiacque) può essere ancora rinviato, ma intorno alla richiesta di autorizzazione senatoriale al proseguimento della procedura contro Salvini si ha l’impressione che la cosa stia sfuggendo di mano. A Di Maio, che all’’inizio era per un NO reciso, è evidente, ma anche l’orientamento di Salvini è stranamente opaco, anzi in questi giorni è finita la bella alternanza fra vittimismo, faccia feroce e abbuffate di cibi sponsorizzati ad alto contenuto di colesterolo.
Matteo (bacioni!) è diventato insolitamente cupo, un po’ chiede arance per vitaminizzare l’ergastolo, un po’ se la prende con i giudici comunisti, non potendo denunciare esplicitamente i colleghi pentastellati, insomma non si capisce se preferisce essere processato o salvato dai privilegi di casta. Non è una situazione win-win, come tutta la stampa mainstream conclama, seguendo la saggezza masochista di chi consiglia al sodomizzato di non agitarsi per non fare il gioco dello stupratore; in realtà il rischio è alto, non per il processo, ma per il significato di rottura politica di un voto autorizzativo dei 5s. Non succederebbe niente, ma la fiducia reciproca non dico che verrebbe meno (già adesso è prossima allo zero), ma sarebbe sputtanata a chiare lettere. Insomma, Salvini avrebbe (forse) praterie aperte per la campagna elettorale, ma dovrebbe fare la crisi prima delle europee – un casino, troppo presto.
D’altra parte, Di Maio non ce la fa a portarsi dietro tutto il gruppo senatoriale nel NO alla richiesta della magistratura e metterebbe in piena luce la fragilità della maggioranza attuale in Senato. Sarebbe un’accelerazione della spaccatura interna del M5s e della frattura fra 5s e Lega. Per di più su una questione di principio e di immagine, non assoggettabile a mediazioni di compromesso, tipo un terzo valico a te, mezzo miliardo per i centri impiego a me.
Dunque un voto in Giunta e al Senato ad alto rischio, dove forse Salvini può sperare in un’alternativa win-win (con qualche dubbio, ripeto), mentre Di Maio, anche sul piano della leadership personale, si troverebbe di sicuro in una situazione lose-lose, cioè comunque gli andrebbe male. La scommessa di Di Maio è votare sì all’autorizzazione sperando che Salvini preventivamente rinunci all’immunità, salvo a “rassegnarsi” se il Senato vuole concedergliela lo stesso. Troppe variabili e finte, resta il fatto che sarebbe difficile non interpretare quel voto per un atto ostile, nel contesto delle mille ripicche che infestano il rapporto con la Lega.
Anche l’idea di salvare capra e cavoli e coprire l’indifendibile isteria salviniana con un provvedimento di sequestro della nave e conseguente sbarco a terra dei migranti, di cui sbarazzarsi in un secondo tempo con l’ennesima lite europea, mostra la totale incapacità di risolvere una situazione semplicissima ma caricata di significati simbolici incontrollabili. Inutile dire che il rilievo oggettivo (in questo momento) degli spostamenti epocali di popolazione e delle tensioni irrisolte con l’Europa è prossimo allo zero o comunque secondario rispetto ad altre questioni tutte italiane – per esempio al peso dell’emigrazione qualificata dall’Italia verso altri paesi e dal Sud verso il Nord dell’Italia, fenomeno che l’incipiente autonomia differenziata per referendum accentuerà in modo drammatico e cui contribuirà in modo sostanzioso la stessa ampiezza degli spostamenti delle seconde e terze offerte di impiego del Reddito di cittadinanza. Dubito infatti che le proposte oltre 250 km. e senza limiti riguardino S. Maria di Leuca o Caltanissetta; gli spostamenti degli insegnanti furono solo un assaggio di quella mobilità coatta.
In generale, la più che probabile disillusione sul RdC come risoluzione della povertà – che sarà alimentata anche dal sabotaggio della Lega e dell’eventuale concomitanza della fase di avvio con una crisi di governo – sarà il vero banco di prova di una situazione avviata verso una stagnazione produttiva non solo nazionale.
Come se ne uscirà non lo sanno manca i maghi. Per il momento al gretto produttivismo nordico-leghista e al marasma pentastellato non si oppone niente: il Pd gioca di rimessa sulla presunta emergenza migranti, con scivoloni anche grotteschi (l’autodifesa di Minniti), e balbetta sul RdC lasciando un immeritato campo libero a Di Maio e di Battista, soprattutto avviluppandosi in dibattiti congressuali di cui non infischia niente a nessuno. Su Cgil e Landini vedremo.
A questo giro le difficoltà del governo e il declino del MoVimento non produrranno molto, ma un incidente di percorso sta dietro l’angolo proprio per l’ottusità dei protagonisti e l’incapacità di stare all’altezza dei problemi. Da ogni piccola porta può entrare: non il Messia bensì il caos.