ITALIA

Savini: «L’acqua pubblica è sotto attacco ovunque»

In California l’acqua potabile ha da poco fatto il suo ingresso nel mercato azionario. Un’intervista al Forum Movimenti Italiani per l’Acqua sulle ultime aggressioni al bene comune, dagli Stati Uniti all’Italia, fino al Lazio

In questi giorni si sta parlando molto del pacchetto finanziario diffuso in California che mette sul mercato azionario l’acqua potabile. Abbiamo incontrato Simona Savini, del Forum Movimenti Italiani per l’Acqua per capire cosa implica questa decisione e per fare il punto sulla situazione in Italia, all’inizio di un anno in cui si ricorderà il decimo anniversario dallo storico referendum per la difesa dell’acqua pubblica, del 12 e 13 giugno 2011.

 

Come Forum Italiano Movimenti per l’Acqua avete lanciato da poco una petizione al governo perché l’acqua non sia quotata in borsa come è accaduto negli USA. C’è un rischio reale anche nel nostro paese?

In California dove è stato confezionato questo pacchetto finanziario c’è già un mercato dell’acqua, perché il servizio idrico non funziona per concessioni come in Europa, ma tramite l’acquisto dell’acqua potabile e quindi “naturalmente” si è inserito questo prodotto.

C’è però da dire che in Europa l’acqua è già quotata in borsa, non come prodotto finanziario ma attraverso le azioni delle aziende che gestiscono il servizio idrico come Acea. Questo già crea delle storture nel servizio e nei suoi obiettivi. Ad esempio, quando si svolse 10 anni fa il referendum, la Consob, che monitora gli andamenti della borsa, si espresse contro la legittimità del referendum perché, a suo parere, rischiava di creare turbative nell’andamento dei titoli delle società quotate che gestiscono l’acqua.

È una direzione già presente in Europa, che viene così avallata oltreoceano. La finanza ha capito bene che l’acqua sarà un bene sempre più scarso a causa dei cambiamenti climatici e ha deciso per questo di investirci perché aumenterà il suo valore e per questo può stare al centro di un prodotto finanziario speculativo.

 

 

A giugno saranno passati 10 anni dal referendum del 2011 che segnò la storia dei movimenti popolari nel nostro paese. Ci puoi ricordare a che punto è l’applicazione dei due quesiti referendari inerenti all’acqua pubblica?

Il primo quesito chiedeva di bloccare il processo di privatizzazione che il governo Berlusconi aveva reso obbligatorio, imponendo alle società pubbliche di cedere una quota ai privati. Quel quesito è stato rispettato nella sua parte letterale, perché non si è proceduto con la forzatura della legge precedente. Tuttavia, poiché non hanno creato nessun atto legislativo alternativo che potesse ripubblicizzare gli enti gestori, il processo di privatizzazione è lentamente proseguito con meccanismi di mercato intrasocietari.

Ad esempio, multi-utility come Acea e Hera stanno acquisendo piccole gestioni idriche locali, prima interamente pubbliche. La privatizzazione avanza tra le pieghe del diritto societario in forma più lenta di quanto sarebbe accaduto se il referendum non ci fosse stato.

Il secondo quesito invece è stato fortemente osteggiato e alla fine inapplicato. Prevedeva di togliere dalla bolletta la percentuale di remunerazione sul capitale investito dal privato che gestisce il servizio. C’è una infatti una quota, nella tariffa acqua che paghiamo, che formalmente vorrebbe permettere a privati di tutelarsi per riottenere interessi rispetto agli investimenti fatti nella rete idrica.

Nella realtà, questo principio di mercato non funziona per un bene comune: nessun privato ha mai investito per migliorare le tubature e ridurre le perdite prendendo in cambio di una piccola remunerazione. Semplicemente i privati mettendo a garanzia le nostre utenze hanno chiesto soldi alle banche che le prestano a tassi di mercato. La remunerazione investita passa così alle banche e ai soci privati o pubblici e la rete idrica continua ad avere perdite come accade a Roma.

La parola remunerazione del capitale investito è stata tolta ed è stata sostituita da “onere finanziario” ma la quota è rimasta intatta. Il quesito è stato aggirato. Inoltre senso più ampio di quel referendum, la volontà politica espressa in modo così netto e potente dalla maggioranza della popolazione in quei giorni di giugno è rimasta inascoltata da parte del legislatore che, anziché andare verso la ripubblicizzazione del servizio idrico, ha mantenuto la situazione esistente.

Esiste una Legge per la gestione dell’Acqua Pubblica riaggiornata varie volte e prodotta dai comitati nel corso degli anni, che è si è arenata in Commissione Ambiente per pareri di fattibilità economica sotto pressione degli enti gestori che si sono opposti.

 

 

 

In questi giorni si discute di acqua anche in Regione Lazio, perché sembra che ci sia volontà di Zingaretti e dell’assessore Alessandri di ridurre a uno soltanto gli Ato (Ambiti Territoriali Ottimali) della regione. Puoi spiegarci cosa sono e cosa implica una loro possibile unificazione?

Già a partire dalla legge Galli, la prima legge sulla gestione idrica, si erano individuati degli Ato ossia delle zone geografiche in cui gestire territorialmente la risorsa idrica che dovevano rispondere a certi parametri.Questi Ato sono stati quasi ovunque disegnati su confini provinciali, senza attinenza con riserve idrografiche o bacini idrografici. In Lazio abbiamo cinque Ato con gestioni diverse, due delle quali di Acea, Roma e Frosinone.

Quello che la regione Lazio sta cercando di fare ora seguendo un dettame renziano (che lo favorì nel decreto Sblocca Italia), è creare scala sovra-provinciale e quindi regionale, tramite un unico gestore.  Già ora le comunità locali fanno fatica a partecipare alla gestione del servizio idrico nella dimensione provinciale perché il processo non li tutela: vengono convocati poche volte l’anno e l’ente gestore mantiene il controllo dell’assemblea, figuriamoci se l’Ato diventa unico a livello regionale.

Con un Ato unico i sindaci dei comuni non avrebbero la capacità di farsi sentire perché avrebbero pochi delegati nella Conferenza dei Servizi e tutto passerebbe nelle mani delle aziende, anziché delle comunità locali. Il gestore unico del Lazio, anche se non viene esplicitato, non potrebbe che essere Acea, che ha già due dei territori più grandi del Lazio.

 

 

Nel 2012-2013 attraverso una raccolta firme e una forte pressione popolare si è lottato per avere una legge regionale a tutela della risorsa idrica, che fine ha fatto e perché?

La Legge Regionale n. 5 per la Gestione Pubblica dell’Acqua nel Lazio è stata approvata all’unanimità dal Consiglio Regionale nel 2014 dopo un percorso partecipativo dal basso condiviso con sindaci e comitati e territori. È una legge di principi che disegna una cornice verso cui andare per la gestione pubblica dell’acqua.

Due sono i suoi ambiti principali di applicazione. La prima era disegnare gli Ato: come suddividere quindi gli ambiti territoriali. La seconda era quale regolamento dovesse esserci tra comuni e il gestore ed era una componente molto importante per tracciare i paletti e i limiti entro il quale si deve muovere il gestore nel rispetto della volontà delle comunità locali.

Sono state fatte proposte molto precise, dopo lunghi studi, sopratutto per gli Ato che nella volontà della legge devono essere degli Abi, Ambiti di Bacino Idrografico disegnati sulla base dei bacini idrografici della regione, così ogni Ambito possa rispecchiare un’area geografica congrua, fare un proprio bilancio idrico e valutare i propri consumi sulla base delle proprie potenzialità senza prosciugare le risorse del proprio bacino o di quelli bacini confinanti (come accade invece per la città di Roma). Gli Abi individuati in questa modalità erano nove.

Era una proposta concreta che è stata osteggiata in ogni modo dalle varie giunte regionali di centrosinistra che si sono succedute. Spezzare la gestione idrica regionale in nove ambiti di bacino vuole dire rompere il dominio di Acea e favorire la gestione sulla base di consorzi di comuni  – che è esattamente quello che rifiuta l’azienda di piazzale Ostiense.

La realtà è che nessuna giunta regionale ha mai fatto nulla per mettere in difficoltà il governo ombra dell’acqua nel Lazio cioè Acea. La legge n.5 è formalmente in vigore ma le sue parti operative sono ferme. Se andasse avanti il percorso di giunta proposto da Zingaretti sarebbe un contrasto vero e proprio alla Legge 5. Paradossalmente verrebbe approvata una legge di iniziativa di Giunta in aperto contrasto a una votata all’unanimità dal Consiglio Regionale.

 

Immagine di copertina di Rajes Balouria da Pixabay