ITALIA
Salvini alla conquista dell’Istat: la corsa di Blangiardo verso la presidenza
Come mai il governo giallo-verde, in particolare la sua anima salviniana, ha scelto un demografo cattolico con il pallino degli studi sull’immigrazione e qualche smaccata idea integralista sui temi della “vita”?
Nulla è casuale. Blangiardo negli scorsi anni ha infatti studiato da leghista, aspettando questo momento.
Da sempre inserito nell’ambiente milanese cattolico legato a Comunione e Liberazione, che alla Bicocca ha una certa rilevanza, negli ultimi anni ha seguito le innovazioni del potere locale e in particolare della Lega, che da lombarda si è fatta nazionale, passando da “Prima il Nord” a “Prima gli italiani”.
Uno studioso di demografia, esperto di immigrazione, fa molto comodo alla nouvelle vague salviniana. E infatti Blangiardo pubblica alla fine del 2016 un libello per Aracne (casa editrice specializzata nella pubblicazione di tesi di laurea e dottorato a pagamento) insieme a Giuseppe Valditara, a lungo responsabile di Alleanza Nazionale per scuola e università, famoso per essere uno degli autori della “riforma Gelmini” del 2010 e diventato leghista negli scorsi anni, e a Gianandrea Gaiani, giornalista esperto di “difesa”, noto per aver seguito le piste più innocentiste sul caso dei “Due Marò” e per avere proposto su Libero un blitz per liberarli.
Il pamphlet esce a fine 2016 con un titolo informativo: “Immigrazione. Tutto quello che dovremmo sapere”. Un anno dopo il titolo cambia e diventa più esplicito: “Immigrazione. La grande farsa umanitaria”.
Da lì in poi la vicinanza di Gian Carlo Blangiardo alla Lega si fa via via sempre più esplicita.
Venerdì 18 febbraio 2017 c’è la presentazione ufficiale del libro all’Hotel dei Cavalieri di Milano, appuntamento “imperdibile” con officiante Matteo Salvini in persona, insieme ai tre autori. Il moderatore è Marcello Foa, ora presidente della RAI, che recensirà entusiasticamente il libretto sul Giornale qualche settimana dopo.
Il 16 luglio 2017 Blangiardo è a Piacenza a “fare squadra” con Salvini, nella giornata organizzata per scrivere il programma della Lega verso le elezioni.
A fine luglio viene quindi indicato tra i professori che ispirano il programma della Lega. Rivediamo quell’elenco. Michele Geraci è ora sottosegretario allo sviluppo economico. Mario Pittoni è presidente della Commissione Istruzione del Senato. Armando Siri è sottosegretario al Ministero delle Infrastrutture. Paolo Arata è stato in pole position fino all’ultimo per il collegio di Arera, l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, dal quale è uscito Luigi Carbone. Manca un posto per Maurizio Leo, tributarista e collaboratore del Sole 24 ore, e – ovviamente per Gian Carlo Blangiardo.
Giuseppe Valditara sarà invece nominato a settembre 2018 capo dipartimento al Miur per la formazione superiore e la ricerca, dopo un lungo braccio di ferro sul suo nome tra il ministro leghista Bussetti e il viceministro in quota 5 Stelle, Lorenzo Fioramonti, in barba alle proteste di studenti e accademici.
Il destino di Marcello Foa è noto: presidente della RAI nonostante un percorso di nomina decisamente travagliato.
Torniamo a Blangiardo e alla sua personale integrazione nel mondo leghista.
Per tutto il 2017 il demografo interviene sui giornali per spiegare la sua opposizione al progetto di legge, che mai vedrà la luce, sullo ius soli, per il quale non riscontra alcuna necessità.
Il 27 ottobre 2017 il professore – ripreso dal Giornale – se la prende con Boeri, presidente dell’Inps, spiegando che non è vero che gli immigrati «ci pagano le pensioni».
Il 19 novembre 2017 partecipa alla “scuola di formazione politica” della Lega.
A gennaio 2018 è Salvini l’ospite, a un’iniziativa del “Family Day”. Sul palco con lui c’è anche Blangiardo.
A luglio 2018 è tempo di nomine e il nome di Blangiardo trapela sui giornali associato all’Istat. E lui, incurante di qualsiasi “galateo istituzionale”, concede interviste a vari quotidiani, dal Messaggero a Libero.
Il 24 luglio esce l’intervista più significativa al professore, sulla Stampa. Lungi dall’allontanare da sé le perplessità di chi nota una decisa militanza politica, rincara la dose su tutti i fronti. Invece di smentire le voci, le conferma e dice: «Non conoscevo Giulia Bongiorno ma ci siamo subito intesi: è una persona pragmatica, come me. Adesso sto tornando in treno sul Lago Maggiore e aspetto con grande serenità quello che decideranno le istituzioni. È molto probabile che mi debba trasferire a Roma». Da notare che non era ancora partita la “manifestazione di interessi” che avrebbe dovuto portare la ministra a una scelta basata sul merito e le competenze.
Quindi si esprime a tutto campo: «Tornando agli immigrati non ho paura di parlare di espulsioni e porte chiuse. Qui non ci stanno: è un dato di fatto». «Bisogna togliere a tanti poveri disgraziati l’idea che la soluzione dei loro problemi sia indebitarsi per infilarsi su una barca o attraversare il deserto rischiando la vita». E ancora: «Prima dell’approvazione della legge sull’interruzione di gravidanza si diceva che ogni anno in Italia morivano 30 mila donne per aborto. Una scemenza. Le morti legate alla gravidanza – non solo per aborto – erano alcune centinaia». L’intervista si chiude con un grande classico: l’inutilità dello ius soli, perché la legge attuale funzionerebbe già benissimo.
La ministra Bongiorno fa partire in extremis il 27 luglio la call, nomina a inizio settembre una “commissione di esperti”, tre persone fra le quali solo un professore universitario, il prefetto Tronca e la magistrata della Corte dei Conti Rita Loreto.
Dopo due mesi di iter, si ritorna alla casella di partenza. Giulia Bongiorno sceglie all’interno della rosa selezionata dagli “esperti”. Ma il nome è sempre quello: Gian Carlo Blangiardo. Lo ufficializza in Consiglio dei ministri l’8 novembre, giovedì sera.
Sabato 10 novembre sul Corriere della sera Federico Fubini fa notare che forse si tratta di una nomina un pò azzardata, viste le posizioni così marcate del candidato: «a un presidente dell’Istat non basta essere indipendente; deve anche sembrarlo, al di sopra di ogni dubbio, perché delle sue statistiche possano fidarsi tutti».
Per tutta risposta, il giorno dopo Blangiardo è di nuovo sul palco della Lega, a un “dibattito” con Salvini, il sottosegretario Molteni, Mario Giordano e Armando Siri. I numeri che fornisce nell’occasione sui migranti sono alquanto discutibili.
Il resto è cronaca delle ultime settimane. La FLC CGIL interviene scrivendo alle commissioni parlamentari, chiedendo di rigettare la proposta del governo. I giornali inquadrano la questione della nomina all’interno degli scambi tra i partiti. Una spartizione in piena regola: ai 5 Stelle andrà la Consob, alla Lega l’Istat e a Forza Italia l’Antitrust. I lavoratori dell’Istat si riuniscono in assemblea convocati dalle Rappresentanze sindacali unitarie e con un ordine del giorno si esprimono all’unanimità contro la nomina del professor Blangiardo alla guida dell’ente, annunciando lo stato di agitazione. Sabato sono in piazza con Non Una Di Meno e espongono uno striscione che ironizza sulle posizioni di Blangiardo sulla vita che inizierebbe dal concepimento: «Presidenza Istat: Blangiardo inconcepibile». Viene distribuito un volantino e alcune frasi di Blangiardo sono lette al microfono.
Ieri pomeriggio, 27 novembre, la RSU dell’Istat di Roma ha inviato ai membri delle Commissioni Affari Costituzionali l’ordine del giorno dell’assemblea della scorsa settimana, corredato di una rassegna stampa e di un breve appunto sui rischi concreti di un uso distorto dei dati. La discussione alla Camera comincia oggi, 28 novembre.
Le competenze
“Il Foglio”, unico giornale che ha difeso, con un articolo anonimo, la scelta governativa, sostiene che Blangiardo abbia un «gran curriculum per l’Istat».
La questione delle competenze è annosa. La legge prevede solo che il presidente dell’Istat debba essere un professore ordinario di economia, statistica o “materie affini”, ed avere “esperienza internazionale” (clausola aggiunta solo di recente).
Nel 2014, quando la ministra Madia propose Giorgio Alleva partì un appello firmato da un gran numero di professori, principalmente dei gruppi di economisti amici-nemici de “La Voce” e “Noise from Amerika”. La protesta di Boeri, Boldrin e compagnia era legata proprio alla presunta “incompetenza” di Alleva, reo di avere un basso H-Index e quindi un basso livello di competenza. L’appello si chiudeva denunciando «un caso in cui il merito e la competenza, di cui oggi tutti amano parlare, sono gli ultimi tra i motivi usati per decidere di una nomina di rilievo nella Pubblica Amministrazione».
Pur non considerando i criteri bibliometrici come una bibbia, quello che stupisce è che mentre 4 anni fa si schierò una truppa composita di bocconiani e affini per cercare di fermare la nomina di Alleva, oggi questi stessi luminari siano completamente silenti di fronte alla probabile nomina di un professore che ha uno standing paragonabile, se non inferiore, a quello del suo predecessore, e un’ “esperienza internazionale” difficilmente riscontrabile.
La coerenza del movimento 5 stelle
4 anni fa i componenti delle commissioni parlamentari eletti con il Movimento 5 Stelle decisero di votare contro la nomina di Alleva, mettendo al centro della loro critica il «cv non adeguato». I motivi per i quali i parlamentari pentastellati 5 anni fa votarono contro erano:
- la mancata trasparenza: il governo giallo-verde questa volta non ha neanche pubblicato la lista dei candidati
- la mancanza di esperienze internazionali, assenti nel caso di Blangiardo
- l’assenza di linee programmatiche: oggi del tutto sconosciute nel caso di Blangiardo.
- il «cv non adeguato»: come già detto il curriculum di Blangiardo non è certamente “eccellente” e sicuramente di livello inferiore rispetto ai due candidati dei quali si sa il nome: Vichi e Carfagna.
- L’accordo tra PD e Forza Italia: oggi il nome di Blangiardo è stato reso pubblico e confermato sulla stampa mesi prima dell’ufficialità, addirittura prima dell’inizio della fase di selezione, e l’accordo di spartizione si propone in modo sfacciato con la stessa Forza Italia, con tanto di poltrone già decise.
Non ho l’età
Blangiardo ha quasi 70 anni. Li compie il prossimo 20 dicembre. Se il calcolo cominciasse al concepimento, come ipotizza lui, sarebbe già in pensione e non avrebbe quindi i requisiti per essere nominato. Ma anche se formalmente è ancora professore all’università Bicocca, è davvero adatto a guidare un ente di oltre duemila lavoratori, con 7 sedi a Roma e altre 17 sparse per l’Italia, un professore che certamente non sarà riconfermato tra 4 anni (quando certamente non avrà più i requisiti) e per il quale tra meno di un anno si potrebbe porre già il problema di un incarico a un pensionato, formalmente vietato dalla legge, se non per un ulteriore anno e a titolo gratuito? E’ davvero una scelta lungimirante per l’Istituto Nazionale di Statistica quella di Blangiardo?
I superpoteri del presidente dell’Istat
Nel 2010-2011 si sviluppò l’ultima riforma dell’Istituto Nazionale di Statistica. Originata dal lavoro dell’ex presidente Enrico Giovannini, la riforma si concretizzò nel DPR 166/2010 e nel DPCM 28/4/2011. Quella riforma aveva due pilastri nell’organizzazione dell’Istituto.
Il primo era l’introduzione della “dirigenza amministrativa” nell’Istat, che si concretizzò nell’ingresso di funzionari del MEF all’interno di un ente che fino ad allora aveva trovato nei suoi tecnici le professionalità gestionali, creando caos e competizione tra il settore amministrativo e quello tecnico. Il provvedimento fu contrastato duramente, persino nelle aule giudiziarie, con esiti alterni.
Il secondo era la concentrazione, mai vista prima, nelle mani del presidente di tutti i poteri di nomina, sottraendoli al Consiglio d’Istituto. Inoltre il Consiglio, che è l’organo di programmazione, indirizzo e controllo, è saldamente nelle mani del presidente. Infatti due membri sono scelti dal governo e due dal COMSTAT (il Comitato di indirizzo e coordinamento dell’informazione statistica), a sua volta nominato in gran parte dal governo (e presieduto dallo stesso presidente dell’Istat). Il quinto e ultimo membro è… il presidente dell’Istat, il cui voto – in caso di parità – vale doppio.
A chi all’epoca si oppose al disegno di Giovannini, l’allora presidente risposte che la garanzia dell’autonomia dell’Istat era garantita dal presidente stesso, e dal fatto che per nominarlo il governo aveva bisogno, all’interno delle commissioni affari costituzionali di una maggioranza molto qualificata (il 66%). Infatti prima del 2009 la maggioranza necessaria era una “semplice” maggioranza del 50% + 1.
Dopo la nomina di Giovannini e con le modifiche alla normativa di quegli anni l’Istat non ha più conosciuto una stabilità nella sua guida.
Alleva è stato il primo caso di presidente non confermato dopo il primo mandato. Prima di lui avevano fatto il presidente per due mandati Alberto Zuliani (1993-1997 e 1997-2001) e Luigi Biggeri (2001-2009). Giovannini (2009-2013) ha completato il suo incarico in anticipo per entrare nel governo Letta. Quindi è stato nominato un presidente pro tempore, Antonio Golini (2013-2014), al quale è succeduto Giorgio Alleva (2014-2018).
Tutti maschi. E dire che la normativa europea prevede anche le “pari opportunità” nella procedura di nomina.
Super partes
Non credo all’imparzialità della scienza, ma è pur vero che i dati dell’Istat sono un patrimonio pubblico che va separato e difeso dalle interpretazioni, dalle tesi ad effetto, che dovrebbe essere in mano ai ricercatori, anche dell’Istat, agli analisti, ai commentatori, ai cittadini, ma non al presidente dell’Istituto Nazionale di Statistica.
Come si sono comportati i presidenti precedenti?
Enrico Giovannini ha fatto l’operazione opposta a quella di Blangiardo. Si è costruito, grazie all’Istat, una fama come “super partes”, è stato inserito dall’ex presidente della repubblica Napolitano fra i suoi “saggi”, e poi ha abbandonato l’ente per diventare ministro nel governo semi-tecnico di Letta.
Giorgio Alleva ha obbedito alle direttive governative, ma non per manipolare e orientare i dati, quanto per fare quello che tutti chiedono alla pubblica amministrazione: risparmiare. Ha portato l’Istituto a un organico inferiore, ha rinunciato a chiedere fondi ingenti per i censimenti, puntando tutto sull’utilizzo di banche dati e registri, con un bilancio certamente negativo, almeno secondo l’opinione dei lavoratori dell’Istat, anche perché tutta la riorganizzazione è stata decisa a tavolino da un gruppo ristretto di dirigenti scelti da Alleva.
Il fatto che nel recente passato i presidenti abbiano dato un’impronta forte all’Istituto, in virtù del potere che la norma assegna loro non è una consolazione. Semmai impensierisce ancora di più, con la prospettiva di un presidente che parte già schierato, con idee decisamente nette su argomenti al centro del dibattito politico oggi, dall’immigrazione alle pensioni, ai diritti delle donne.
Per il governo giallo-verde i dati dell’Istat sono cruciali: perché misureranno l’effettivo dispiegarsi e gli effetti positivi o negativi delle misure in cantiere, dalla flat tax al “reddito di cittadinanza”, e costituiranno la base contabile del braccio di ferro con l’Europa.