TERRITORI
Sala indagato? Più che mai valide le ragioni NoExpo!
Il coinvolgimento dell’ex commissario di Expo 2015 ora sindaco di Milano Beppe Sala in un processo sugli appalti per l’Esposizione universale, porta nuovamente alla ribalta le ragioni del movimento che all’Expo si è opposto.
“Noi l’avevamo detto!”. Mai come questa volta la frase un po’ retorica sembra corrispondere alla realtà dei fatti. Come preannunciato giovedì sera il Sindaco di Milano Giuseppe Sala ieri si è recato in Prefettura per presentare al Prefetto Marangoni la sua autosospensione dall’incarico istituzionale di sindaco. Sala risulta infatti indagato per falso ideologico e falso materiale nell’indagine sulla costruzione della cosiddetta Piastra nel sito che avrebbe ospitato l’Esposizione Universale del 2015. L’accusa sarebbe quella di aver retrodatato dei verbali relativi ad alcune nomine nella commissione giudicante l’appalto per i lavori della Piastra di Expo allo scopo di evitare ritardi nei cantieri. Expo 2015 – La gara vinta dalla Mantovani e un continuo scontro tra poteri
La notizia non è del tutto inattesa. Almeno da quando, a metà Novembre, la Procura Generale aveva avocato a sé l’indagine con un supplemento d’inchiesta di 30 giorni scontrandosi con la Procura della Repubblica che ne chiedeva l’archiviazione. Si era trattato solo dell’ultimo dei tanti scontri di potere sul campo di battaglia rappresentato da Expo 2015 e dai suoi affari miliardari. Scontri di potere che hanno visto coinvolti svariati centri di potere da quelli istituzionali a quelli imprenditoriali passando per la magistratura.
Ma facciamo un passo indietro.
Nel 2012 la Mantovani, colosso del cemento molto vicino al mondo del centro-destra (un nome tra tutti: l’ex-Governatore del Veneto Giancarlo Galan) aveva vinto la gara per i lavori sull’area dove sarebbe sorta Expo con un ribasso del 42 per cento sulla base d’asta. Un’offerta incredibile che le aveva permesso di stracciare la concorrenza di altri giganti delle costruzioni come Impregilo. A detta di Antonio Rognoni, all’epoca capo di Infrastrutture Lombarde, successivamente caduto in disgrazia dopo l’indagine e l’arresto nell’inchiesta del 2014, la Mantovani sarebbe poi rientrata dei prezzi stracciati con cui aveva vinto la gara concordando i prezzi delle nuove opere senza verificare la loro congruità approfittando delle varie deroghe concesse vista l’urgenza dei lavori. Un tipico gioco delle tre carte insomma. Si vince la gara di Expo con un prezzo bassissimo e si recupera gonfiando i costi delle opere realizzate successivamente sempre all’interno dei lavori della gara vinta.
Già all’epoca sulla questa vicenda era nata un’inchiesta e proprio su questa indagine era esploso un durissimo scontro (come vedete l’ennesimo…) all’interno della Procura di Milano tra l’allora procuratore capo Bruti Liberati e il suo sottoposto Alfredo Robledo che seguiva le indagini sulla corruzione. Con il secondo che accusava il primo di aver in qualche modo nicchiato, per motivazioni politiche, sulle indagini che riguardavano Expo.
I ritardi e la gestione emergenziale
Questa situazione contraddittoria ha fatto accumulare, come da tradizione italica, i consueti ritardi nell’avvio delle opere e dei cantieri. Da lì la gestione emergenziale di Expo 2015 con il fine supremo di “far fare bella figura all’Italia”. Da lì lo “stato d’eccezione” perpetuo (come dimenticare le schedature di massa dei lavoratori) e le tante opacità dell’intera vicenda.
Mentre nei palazzi del potere infuriavano queste battaglie la metropoli di Milano rimaneva piuttosto indifferente al grande evento che stava per avvicinarsi. Un granellino di sabbia negli ingranaggi di Expo veniva messo dalla lotta No Canal che impediva la speculazione del progetto Via d’Acqua in alcuni dei più importanti parchi della città.
Expo 2015 e la “città dove tutto funziona”
“Debito, cemento, precarietà”. Questi erano i tre pilastri chiave di lettura del movimento NoExpo. E proprio questa è la chiave di lettura da cui ripartire. Perché poi Expo 2015 si è svolta ed è stata un indubbio successo d’immagine per chi l’aveva organizzata (meno per quanto riguarda i conti…) tanto da vincerci un’elezione. Il Primo Maggio, la “Marcia delle spugnette” e la difficoltà di organizzare altre mobilitazioni contro il grande evento nei 6 mesi della sua durata sono stati anch’essi consegnati alla cronaca. Ma la narrazione della città splendente dove tutto funziona continua a marciare a pieno regime. Poco importa se poi, come abbiamo iniziato a ripetere in diversi articoli, quando si esce dalla Circonvallazione esterna la realtà dei fatti si incarica di smentire questa visione magica da sogno. Ed è questo il punto di partenza. La realtà concreta dei quartieri contro il racconto da favola del migliore dei mondi possibili. Come ribadito qualche tempo fa: ‘Non esistono due Milano: “la città che mette la quinta” (che tanto piace alla governance metropolitana) si regge sullo sfruttamento, l’abbandono, l’atomizzazione ed il disciplinamento di tante e tanti di cui non si parla mai; così come molteplici sono le resistenze a questa situazione’.
Una battaglia politica, non giudiziaria
Un’ultima considerazione altrettanto importante. Lontani da noi i festeggiamenti giustizialisti. Sala, il suo immaginario e il suo progetto di città vanno contrasta
ti e sconfitti politicamente nelle strade e nelle piazze. Le aule di giustizia non sono nelle nostre corde.