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Sahara Marathon, fra sport e diritti dei popoli

Si è corsa a fine febbraio, nella data di fondazione della RASD, la maratona che ha attraversato i campi profughi saharawi. Per l’occasione abbiamo parlato di sport e politica con Fatima Mahfud (Fronte Polisario in Italia) e Caterina Lusuardi (Rete Saharawi)

A fine febbraio si è tenuta la Sahara Marathon, la corsa organizzata dalla Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD) che ha attraversato i principali campi profughi saharawi. È una delle iniziative a sostegno di questo popolo che vive dal 1975 sotto occupazione o lontano dal suo territorio, occupato illegalmente (secondo le leggi internazionali) dal Marocco, che sfrutta le sue ricchezze, tra cui fosfati e risorse ittiche. Nel novembre 2020 è scoppiato un nuovo conflitto dopo quasi trent’anni di pace e l’ONU non riesce a sbloccare la situazione, nonostante la nomina del nuovo inviato personale delle Nazioni Unite per il Sahara Occidentale, Staffan de Mistura.

In questi 47 anni di occupazione marocchina sono sorte numerose organizzazioni che cercano di dar voce alla questione saharawi. Si tenta di darle spazio in diversi ambiti. Uno degli ambiti più attivi è quello sportivo grazie alla creazione della Sahara Maraton, una vera e propria gara che attraversa la zona dell’Algeria occidentale, vicino alla città di Tindouf, dove si trovano i campi profughi che ospitano 200.000 persone. La maratona, sul proprio sito, si descrive come una «manifestazione sportiva internazionale di solidarietà con il popolo Saharawi. La sua prima edizione e stata nel 2001, da una idea di Jeb Carney». L’organizzazione è affidata alla Segreteria di Stato della RASD con l’aiuto di numerosi volontari internazionali.

Esistono tre percorsi possibili: 42, 21, 10, che toccano i tre campi profughi saharawi di Smara, Aoserd e ElyAyoun. Vi è anche il percorso da 5 km totali che è riservato ai più giovani. Sono due gli obiettivi principali della maratona. Il primo è favorire lo sviluppo dell’attività sportiva tra i giovani saharawi, il secondo è promuovere e sviluppare progetti umanitari in loco.

Abbiamo raggiunto Fatima Mahfud, rappresentante in Italia del Fronte Polisario, e Caterina Lusuardi è la presidente della “Rete Saharawi” (una organizzazione che rappresenta l’Italia al Coordinamento Europeo di Solidarietà con il popolo saharawi (EUCOCO) a cui abbiamo chiesto altre informazioni sulla maratona e sulla situazione in Sahara Occidentale. Le due intervistate partono con una premessa, spiegando che «in Italia, già dagli anni 70, esisteva un solido e ampio movimento di solidarietà con la questione saharawi». Si è deciso di puntare sull’ambito sportivo, organizzando un evento come la Sahara Marathon, perché lo sport ha da sempre unito i popoli del mondo.

Partecipando alla maratona, si ha la possibilità di attraversare a piedi le province dei campi profughi saharawi. Una vera e propria ricerca sul campo che avviene nei giorni in cui si ricorda la fondazione della RASD nel 1976. La chiave di lettura della questione saharawi è però cambiata nel corso del tempo. Negli anni ’70 ed ’80 si è dato precedenza a una visione politica della vicenda. Di seguito, grazie ai progetti di cooperazione internazionale e con l’arrivo di Internet che ha permesso una comunicazione più ampia, hanno preso il via dei veri e propri “viaggi di conoscenza”.

Con la Sahara Maraton sono nati «legami non necessariamente politicizzati», affermano Mahfud e Lusuardi. Con questa manifestazione sono partiti progetti che coprono ambiti molto diversi tra loro: dal sostegno all’educazione allo sport, passando per la formazione del personale sportivo e la creazione di cooperative di lavoro locale.

La formazione sportiva riguarda discipline diverse: dal calcio alla boxe fino all’atletica leggera. Fondamentale è la formazione del personale femminile e l’insegnamento del rapporto che il corpo ha con la salute.

Quando chiediamo quali siano le maggiori difficoltà che, a oggi, il popolo saharawi è costretto ad affrontare, le rappresentanti di Rete Saharawi e del Fronte Polisario dicono che si deve parlare di due fronti. Il primo è «quello della gestione della vita quotidiana nel campo profughi. I saharawi sono riusciti a piegare a loro favore la vita nel deserto diventando in buona parte sedentari, costretti in molti a rinunciare al nomadismo». Nonostante le numerose difficoltà i saharawi non hanno mai perso la dignità cercando di garantire sanità, cultura e educazione per tutti. Il secondo aspetto, invece, è di natura prettamente politica visto che Mahfud e Lusuardi si chiedono quanto ancora i saharawi dovranno aspettare prima che possa essere attuato il loro diritto di autodeterminazione.

Durante le spiegazioni sportive sul sito della Sahara Maraton si usa molte volte l’aggettivo “popolare”. Come mai una scelta linguistica del genere? «Popolare perché possono partecipare tutti. Sono previsti percorsi anche brevi come quello da 5 km che puoi fare semplicemente camminando e salutando i saharawi che incontri lungo il percorso. È una festa che si vive camminando e che ti permette di conoscere il deserto e percorrere gli stessi sentieri tracciati dai primi saharawi arrivati lì e che non avevano mezzi di trasporto. Chi farà i percorsi lunghi assaporerà il silenzio di quello spazio, apparentemente senza barriere, e con lo sguardo verso un orizzonte ampio e lontano come fosse il confine del mondo».

Purtroppo lo sport viene anche usato come vetrina di eventi sportivi mondiali che invece ignorano la situazione del popolo saharawi. A Dahkla, località costiera sull’Oceano Atlantico in territorio occupato dal Marocco, si tiene infatti da alcuni anni una tappa importante del mondiale di kitesurf.

La spiaggia di Foum Labouir coi suoi venti, è considerata un luogo perfetto per la pratica di questa disciplina. L’evento è organizzato dalla Global Kitesports Association, uno dei più importanti organismi di kitesurf a livello mondiale, sotto l’egida della World Sailing Federation, la federazione mondiale che si occupa degli sport a vela, che non si è mai espressa sull’occupazione marocchina.

La rappresentante del Fronte Polisario in Italia è molto dura sull’argomento e sostiene che a Dakhla si svolga qualcosa di illegale. Questa presa di posizione deriva dal fatto che il Sahara Occidentale è «secondo il diritto internazionale un territorio non autonomo e il Marocco è una potenza occupante che non ha il diritto di autorizzare alcunché su quel territorio. Il problema è che da anni si impedisce di entrare nel Sahara Occidentale ai vari osservatori e si continua a spogliare quel terreno delle risorse naturali che porterebbero beneficio economico ai saharawi. Su questo ci sono sentenze a favore dei saharawi che si stanno cercando di applicare attraverso denunce e processi. Pertanto non si possono includere quei territori negli accordi commerciali e di pesca tra l’Unione Europea e il Marocco. Prima o poi questa sentenza sarà applicata».

Inoltre, continua la rappresentante del Fronte Polisario: «Attualmente il Sahara Occidentale si sta trasformando una prigione a cielo aperto perché si impediscono ai saharawi di uscire dalla loro case, come nel caso di Sultana Kaya prigioniera nella propria abitazione».

Quando viene chiesto alle due intervistate se si uscirà mai da questo stallo la risposta è decisa: «Il segretario generale è chiamato per ruolo a mantenere la stabilità, la giustizia e la ligia applicazione del diritto internazionale. L’ex segretario generale dell’Onu Kofi Annan dichiarando che la questione Sahara Occidentale rappresenta un vicolo cieco ha ammesso una incoerenza perché è sua prima responsabilità evitare che la questione saharawi entri in un vicolo cieco».

Questa forte presa di posizione è basata sul fatto che esistono «ingenti somme di denaro che le stesse Nazioni Unite hanno speso per la missione nel Sahara Occidentale. Non a caso esiste una vera e propria missione sulla questione, chiamata Missione delle Nazioni Unite per il referendum nel Sahara Occidentale». Iniziative come la Sahara Marathon possono però contribuire a far conoscere la realtà dei saharawi e la lotta che conducono pazientemente da quasi cinquanta anni.

Tutte le immagini per gentile concessione di Rete Saharawi