MOVIMENTO

Sabato 19 maggio, ancora una volta No Tav in marcia

Sabato 19 maggio si torna a marciare in Val di Susa, per ribadire in modo ancora più determinato il NO alla Tav e a ogni opera inutile e dannosa del nostro paese. In questa occasione il tragitto del corteo sarà in bassa valle tra Rosta e Avigliana. La scelta è dovuta al fatto che proprio in quella zona sono stati stanziati fondi del valore di 1700 milioni di euro per un tunnel attraverso le colline moreniche. Al tempo stesso, poiché il cantiere di Chiomonte è sostanzialmente fermo da mesi (i famosi fondi non abbondano), le ditte appaltatrici stanno concentrandosi in opere minori di adeguamento della linea in bassa valle, nell’ottica di quel progetto di Tav low cost spesso emerso nelle proposte governative.

È passato quasi un anno dall’ultimo grosso corteo No Tav in valle, il 6 maggio 2017, quando più di 10.000 persone marciarono sotto una pioggia battente da Susa a Bussoleno.

In quest’anno molti fatti importanti nella storia dell’epica resistenza di questa vallata sono accaduti. A luglio, alla seconda edizione del Festival ad Alta Felicità decine di migliaia di persone visitano la valle per conoscere e supportare la lotta attraverso la musica, le escursioni, le iniziative culturali. Il successo va ben oltre le aspettative.

A ottobre la Valsusa viene martoriata per due settimane da una serie ininterrotta di incendi. Si scopre che una delle ragioni dei ritardi nei soccorsi è la riduzione degli investimenti in prevenzione e intervento, si scopre che vi sono solo due canadair a disposizione per un incendio di vastissime proporzioni a causa del forte vento di quei giorni. Un’ennesima beffa: la valle che lotta perché i fondi pubblici non vengano spesi in opere inutili e dannose ma in prevenzione e tutela del territorio deve subire sulla propria pelle la mancanza di quei fondi e di quella tutela.

A Natale invece, comincia ad avere rilevanza mediatica un fenomeno esistente già da anni ma in gran parte all’ombra. Dopo la chiusura del valico di Ventimiglia, la rotta attraverso la Valsusa per le montagne di Bardonecchia o di Claviere sta diventando una via primaria per i migranti che vogliono muoversi verso la Francia. La polizia francese lo capisce e inizia dal lato transalpino la caccia a chi, immerso in metri di neve, cerca di attraversare i boschi per arrivare verso Briançon. Dal lato italiano iniziano staffette di solidarietà, presidi e importanti manifestazioni per chiedere l’apertura del confine e la libertà di movimento e la questione rimane “calda” per molti mesi.

Recentemente sempre su quel confine va in scena una ridicola pagliacciata di neofascisti europei che trascorrono una domenica innalzando un confine con reti di plastica e ripetendo i loro slogan razzisti. Per aver reagito a quei fatti, tre compagni sono oggi ancora in carcere. Anche qui un ulteriore paradosso: vengono spesi i miliardi per collegare velocemente Lione a Torino, quindi “superare” ogni confine rapidamente e connettere l’Europa, ma è poi evidente quando questo sia possibile solo per chi è bianco, ha già un passaporto europeo e può permettersi il costo dell’alta velocità. A chi migra, spesso in fuga da guerre e povertà, i confini dell’Europa fortezza vengono chiusi: in questo modo è quindi rafforzato il controllo neoliberista del mondo che fa circolare le merci per fare profitto, ma permette il movimento solo a poche persone.

A febbraio infine viene reso pubblico il documento con cui la presidenza del Consiglio dichiara che le stime di crescita del traffico merci sono errate, quelle su cui si era basata l’approvazione dell’opera erano sovrastimate, il traffico merci è in forte calo. Il governo ormai non ha più vergogna e ammette che la Tav non serve a nulla, ma nessuno ne chiede conto in Parlamento, le elezioni sono ormai vicine. Perfino Crozza se ne accorge.

Ancora più recentemente, a fine aprile si giunge alla sentenza di Cassazione per il maxi processo No Tav che vede coinvolte decine di attivisti per la resistenza del 27 giugno alla Maddalena e del 2 luglio 2011 a Chiomonte. La Suprema Corte riduce le pene, ridimensiona i reati rinvia di nuovo in appello molti imputati perché venga rifatto il processo e perfino assolve: l’intero impianto accusatorio dei PM torinesi del pool di Caselli è completamente smontato. Una “vittoria” inaspettata che conferma l’accanimento reazionario di cui il movimento è stato vittima per anni.

E veniamo all’oggi, allo scenario inedito del prossimo governo gialloverde. La lotta in Valsusa è sempre stata indipendente da schieramenti partitici, previo il minimo comune denominatore antifascista. In valle il movimento 5 stelle si è storicamente schierato contro l’opera e questo gli ha permesso di avere percentuali alte in molti paesi. Ora i valsusini si trovano davanti al paradosso del futuro governo bicefalo, con una componente che formalmente è contraria (il M5S) e l’altra che è da sempre favorevole a tutte le grandi opere che possono finanziare o facilitare le classi imprenditoriali che sono la sua base elettorale (la Lega), tantopiù nelle terre del Nord dove hanno già fatto disastri come bretelle autostradali, passanti, MoSe e molto altro ancora.

Il movimento Notav ha sempre detto che non vi sono governi amici, e continuerà a non averne, sapendo sempre come relazionarsi con chi detiene il potere, ma sicuramente si avvicina una nuova sfida. Il “contratto” tra Lega e M5s è già stato cambiato da una versione iniziale in cui si parlava di una sospensione dei lavori a quella attuale, in cui è stata tolta la parola “sospensione” e si parla solo di ridiscutere il progetto. Ancora una volta l’ambiguità pentastellata, una volta a governo fa patti con i poteri forti come già fatto su altri temi, come quello dell’acqua o dello stadio della Roma.

La lotta non è certo finita, la strada è ancora in salita, ma la connessione tra democrazia dal basso, attivazione sociale e comunità che in Valsusa si è creata sarà in grado di elaborare nuove forme di resistenza. Quanto accaduto quest’anno con la questione frontiera dimostra ancora una volta che non c’entra nulla la sindrome nimby. In valle, al contrario si cerca faticosamente un modo differente di vivere e di fare politica contro la violenza sistemica del capitalismo. Per questa loro tentativo costante, i valsusini sono ancora oggi un movimento che stimola e motiva in tante parti del mondo.